La fase di start up di un’azienda, che rende impossibile la generazione di ricavi in fase preparatoria, esclude l’applicazione della normativa sulle società di comodo.
Per la Corte di Cassazione – sentenza n. 24314 del 3 novembre 2020 – in tema di società di comodo:
“l’impossibilità per l’impresa di conseguire il reddito minimo secondo il meccanismo di determinazione di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4-bis, per situazioni oggettive di carattere straordinario, deve essere intesa non in termini assoluti, bensì elastici, identificandosi con uno specifico fatto, non dipendente dalla scelta consapevole dell’imprenditore, che impedisca lo svolgimento dell’attività produttiva con risultati reddituali conformi agli standards minimi legali ovvero ne ritardi l’avvio oltre il primo periodo di imposta”.
La fase di start up esclude lo status di comodo: il fatto
La Direzione regionale della Puglia dell’Agenzia delle Entrate ha dichiarato l’improcedibilità dell’istanza di interpello disapplicativo ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37-bis, comma 8, avanzata dalla società, contestando l’assenza di documentazione comprovante l’impossibilità, dedotta dall’istante, di conseguire ricavi, incrementi di rimanenze e proventi nelle misure minime indicate nella L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30.
Sulla base di tale atto, l’Ufficio periferico competente, dopo aver determinato il reddito di impresa ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 3, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, ha notificato alla predetta società avviso di accertamento e di irrogazione di sanzioni, riguardante l’IRES e l’IRAP per l’anno di imposta 2006.
Avverso l’atto di accertamento, la contribuente ha proposto impugnazione davanti alla Commissione tributaria provinciale, contestando l’operata in