La questione della prescrizione dei tributi: 10 o 5 anni?

Per affrontare criticamente la tematica della prescrizione dei tributi, il punto di partenza non può che essere una notissima sentenza delle Sezioni Unite che ha composto, si spera definitivamente, il reviviscente contrasto giurisprudenziale creatosi intorno alla suscettibilità o meno di un titolo di formazione extragiudiziale, qual è appunto la cartella esattoriale, di acquisire il regime della prescrizione ordinaria decennale.

stralcio cartelle esattorialiPer affrontare criticamente questa tematica di stretta attualità, il punto di partenza non può che essere la notissima sentenza delle Sezioni Unite n. 23397/2016 che ha composto, si spera definitivamente, il reviviscente contrasto giurisprudenziale creatosi intorno alla suscettibilità o meno di un titolo di formazione extragiudiziale, qual è appunto la cartella esattoriale, di acquisire il regime della prescrizione ordinaria decennale disposto dall’art. 2946 del Codice Civile.

Invero, già lo scorso decennio, le Sezioni Unite della Cassazione, nella troppo presto dimenticata sentenza n. 25790/2009, avevano affermato il principio secondo cui, anche dopo la notifica della cartella esattoriale, si applica il termine di prescrizione proprio del tributo, giacché la cartella è atto amministrativo che non può in alcun modo modificare tale termine.

Orientamento favorevole alle tesi difensive del contribuente che non ha però avuto modo di consolidarsi, in seguito ad un equivoco generato da alcuni obiter dicta giurisprudenziali (soprattutto della giurisprudenza giuslavoristica, come puntualizzato dalle Sezioni Unite) dove si menzionava l’art. 2953 C.C. senza alcun particolare approfondimento in merito alla genesi del titolo esecutivo posto a fondamento dell’azione di riscossione.

Risolvendo quindi l’annoso, ma purtroppo non nuovo, contrasto giurisprudenziale, la Corte Regolatrice ha stabilito con solare evidenza i seguenti principi, che si spera permangano nel tempo:

1) La cartella di pagamento e gli altri titoli che legittimano la riscossione coattiva di crediti erariali o degli enti previdenziali sono atti amministrativi privi dell’attitudine ad acquistare l’efficacia di giudicato;

2) La prescrizione ordinaria dei diritti è decennale ex art. 2946 Codice Civile, a meno che la legge non disponga diversamente, come invece avviene nel caso dei contributi previdenziali con l’art. 3 comma 9, Legge n. 335/1995 che stabilisce la prescrizione di 5 anni;

3) La disciplina della prescrizione è di stretta osservanza ed è insuscettibile di applicazione analogica.

Lasciando però irrisolta la questione relativa ai crediti tributari, in mancanza di una norma analoga all’art. 3 Legge n. 335/1995 “Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare” circoscritta alla materia previdenziale, in cui venga stabilito ex lege il regime prescrizionale, serrando gli spazi all’interpretazione giurisprudenziale.

Indi, facendo propri gli insegnamenti delle Sezioni Unite, la chiave di volta per sostenere il regime della prescrizione quinquennale dei tributi appare quindi la corretta interpretazione, scevra da condizionamenti e pregiudizi dommatici, dell’art. 2948 n. 4 del Codice Civile che dispone che si prescrivono in 5 anni:

gli interessi e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”, ricordando che in questa espressione la dottrina e la giurisprudenza ricomprendono da sempre, le prestazioni di canoni enfiteutici, i canoni di abbonamento per le forniture di elettricità, gas, acqua e servizi telefonici, le quote associative dovute da partecipanti a sodalizi, ed infine le spese condominiali.

In questo senso, nella giurisprudenza tributaria di merito precorritrice dei tempi è stata senz’altro una coraggiosa sentenza della CTR Sicilia – Catania n. 496/2011, che non sembra essere stata sufficientemente ripresa e commentata, malgrado avesse posto in rilievo tutte le criticità di cui oggi stiamo discutendo:

Si premette che nell’ambito tributario manca una disposizione generale analoga a quella dell’art.2946 cc., mentre vi sono previsioni specifiche (imposta di registro, imposta di successione e donazioni, diritti doganali ex art. 84 dpr. 43/1973 ), ma non persuade la tralatizia estensione della disposizione.

Invero, secondo l’autorevole dottrina citata dall’appellante, alla lacuna si deve rimediare mediante l’art. 2948 n. 4 c.c. per la periodicità delle obbligazioni tributarie, la cui cd. autonomia annuale non discende da ragioni dogmatiche, ma è mero espediente tecnico-operativo.

Conforme e ineccepibile è l’arresto giurisprudenziale invocato dall’appellante, del quale è opportuno trascrivere il passaggio centrale della motivazione : “… l ‘imposta diretta, annualmente addebitata al contribuente, rientra perfettamente nel concetto di “obbligazione periodica” … : il debito di imposta infatti sorge annualmente, a seguito della dichiarazione che ogni soggetto passivo deve effettuare annualmente (art. l dpr. 29.9.197 3 n. 600) sia pure in presenza dei relativi presupposti … l’imposta diretta deve essere pagata “periodicamente” a seguito di una generale previsione legislativa, che stabilisce regole valide e efficaci per ogni anno futuro”.

 

Miglior fortuna è sembrata avere la successiva sentenza della CTP di Reggio Calabria citata come però come isolata e “controcorrente” nel volume a cura di L. Viola “Prescrizione e decadenza, come farle valere in giudizio e relative strategie processuali” – Cedam 2015, pagg. 328 – 329:

Con la recente sentenza del 16 aprile 2014 la Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Calabria è tornata sul tema della prescrizione del credito erariale, orientandosi “in controcorrente” rispetto alla tendenza “uniforme”.

Secondo la Commissione all’art. 2948 n. 4 cod. civ. non dovrebbe essere attribuito un senso più ampio di quello che in realtà emerge dal dato letterale (in applicazione del canone ermeneutico lex tam dixit quam voluit)”.

Citiamo da questa sentenza i seguenti passi fondamentali:

“Per quanto concerne il tema della prescrizione (e la sua durata) del credito tributario (portato come nel caso di specie da una cartella non opposta), occorre ricordare in questa sede come non sussista nell’ordinamento alcuna norma particolare cui fare riferimento.

Detto questo occorre, preliminarmente, ricordare quella giurisprudenza della Suprema Corte secondo la quale se manca una pronuncia giurisdizionale, naturalmente, non può parlarsi di “giudicato”: la Cassazione (Sez. U. Sentenza n. 25790 del 2009) ha chiarito che l’ingiunzione fiscale, in quanto espressione del potere di auto accertamento e di autotutela della P.A., ha natura di atto amministrativo che cumula in sé le caratteristiche del titolo esecutivo e del precetto, ma è priva di attitudine ad acquistare efficacia di giudicato.

[…] Non vi sono ragioni per discostarsi da tale condivisibile giurisprudenza e, quindi, si deve escludere che la cartella di pagamento non opposta sia suscettibile di acquistare efficacia di giudicato, con conseguente applicazione della prescrizione decennale ex art. 2953 c.c..

[…] Non c’è dubbio che nei tributi locali, a fronte di una “teorica” prestazione di un servizio continuativo (teorica, in quanto la stessa è dovuta per la presenza del presupposto dell’imposta, ad es. di un immobile potenzialmente produttivo di rifiuti urbani, a prescindere dalla effettiva produzione), sorge l’obbligo “periodico” di corrispondere una somma, non direttamente relazionata al servizio ricevuto, ma a parametri diversi. Evidente la riconducibilità alla previsione del n. 4 dell’art. 2948 c.c.. 

Il contribuente, in questo caso, è tenuto a pagare periodicamente una somma che, sia pure autoritativamente determinata, costituisce corrispettivo di un servizio a lui reso, richiesto (concessione di uso di suolo pubblico, di uso di passo carrabile) o imposto (tassa per smaltimento rifiuti, contributo opere di risanamento idraulico del territorio), che in tanto si giustifica in quanto anno per anno il corrispondente servizio venga erogato; ne’ è necessario, per ogni singolo periodo contributivo, un riesame della esistenza dei presupposti impositivi, che permangono fino alla verificazione di un mutamento obiettivo della situazione di fatto giustificante il servizio, ne’ il corrispettivo potrebbe dall’utente essere corrisposto in unica soluzione, in quanto ab initio non determinato e non determinabile, ne’ nell’entità, ne’ nella durata.

Tuttavia a ben vedere anche con le imposte erariali (che non prevedono specifica disposizione normativa sulla prescrizione) si verifica un pagamento periodico annuale, come riferisce l’art. 2948 n. 4 c.c., il quale è bene riportarlo per intero prevede: “tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in periodi più brevi” .

[…] Nelle due principali imposte erariali (imposte dirette ed IVA) il debito di imposta sorge, annualmente, a seguito della dichiarazione che ogni soggetto passivo deve effettuare appunto “annualmente”.

[…] Non sembra al Collegio che la periodicità dell’obbligazione (anche nelle imposte dirette e nell’IVA) possa essere messa in dubbio solo perché, annualmente, occorre un’operazione di determinazione del dovuto sia perché, si ribadisce, la stessa determinazione avviene secondo dei criteri prestabiliti normativamente, sia perché non è questo che qualifica un tal tipo di obbligazione ma, semmai, la tenutezza a corrispondere, appunto, periodicamente un importo per delle prestazioni erogate dall’altra parte. 

L’eventuale accertamento annuale non fa venire meno la “causa debendi continuativa” che si ritiene sia il presupposto dell’applicazione dell’art. 2948 c.c. n.4.

Anche in materia di imposte dirette ed IVA è configurabile un rapporto obbligatorio continuativo, annuale, costituito dall’obbligazione “permanente” del contribuente, prevista dalla stessa Costituzione, di corrispondere, salvo una quota esente, un’imposta predeterminata dalla legge (sia nell’an che nel quantum), fondata sulla produzione di un reddito o la cessione di un bene (la cui mancanza, comporta l’insussistenza o la sospensione dell’obbligo di pagamento) a fronte della “somministrazione” di servizi indifferenziati che lo Stato si impegna a garantire.

A fortiori proprio l’obbligo per il concessionario di conservare copia delle cartelle di pagamento e dei relativi attestati di ricevimento per la durata di cinque anni (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26), per quanto di rilevanza contenuta, milita a sostegno della tesi di una prescrizione di pari durata”.

 

 

 

A questo punto, richiamando l’approdo giurisprudenziale delle Sezioni Unite n. 23397/2016 secondo cui la prescrizione decennale deve essere riconosciuta ed applicata solo laddove il credito sia divenuto definitivo in seguito ad una sentenza passata in giudicato e che la cartella di pagamento e gli altri titoli che legittimano la riscossione coattiva di crediti erariali o di enti previdenziali sono atti amministrativi privi dell’attitudine ad acquisire l’efficacia di giudicato e considerando, da un lato che non esiste una norma positiva che dispone la prescrizione decennale dei tributi e dall’altro lato che non può essere negato che le obbligazioni tributarie hanno fisiologicamente insita la caratteristica della periodicità, risulta fondata e sostenibile la tesi della prescrizione quinquennale di tutti i crediti tributari portati dalle cartelle esattoriali, in piena osservanza della disciplina prevista dall’art. 2948 numero 4 del Codice Civile.

A parere di chi scrive, il sostenere la tesi della prescrizione decennale dei tributi introduce un’evidentissima disarmonia nel sistema complessivo, calibrato sull’orizzonte temporale dei 5 anni, e non del decennio, come emerge da questi elementi inconfutabili:

1) Art. 25 DPR n. 602/1973 che, dispone, a pena di decadenza, che la cartella esattoriale deve essere notificata al più tardi, entro il 31 dicembre “del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di controllo formale prevista dall’ articolo 36-ter del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973”, il che vale a dire entro 5 anni dalla presentazione della dichiarazione.

2) Art. 26 DPR n. 602/1973 che prevede: “L’esattore deve conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso di ricevimento ed ha l’obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell’amministrazione”.

3) Art. 20 comma 3 D. Lgs. 472/1997 (Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie) che dispone: “Il diritto alla riscossione della sanzione irrogata si prescrive nel termine di cinque anni. L’impugnazione del provvedimento di irrogazione interrompe la prescrizione, che non corre fino alla definizione del procedimento”.

 

Tali dati normativi depongono in ordine alla fondatezza della tesi della prescrizione di 5 anni, giacché è perfettamente logico e coerente con il sistema la disposizione di legge che impone la conservazione di un atto fintanto che il credito sia ancora esigibile, in quanto non prescritto.

E così pure la notifica dell’atto impositivo deve avvenire entro l’arco di tempo (quinquennio) il cui il tributo risulta esigibile, altrimenti si arriverebbe all’assurdo della notifica di un atto portante un credito già prescritto, esponendo l’asserito creditore a costi ed a fondate opposizioni del debitore, che aggraverebbero ulteriormente i costi.

4) E’ assodato in giurisprudenza che i tributi locali si prescrivono in 5 anni (ex plurimis, si veda la sentenza della Cassazione n. 20213/2015 in materia di Tarsu/Tia) e non si vede in cosa tali tributi, per cui è stata ampliamente riconosciuta la fisiologica caratteristica della periodicità, con pacifica applicazione dell’art. 2958 CC, si differenzino ontologicamente dai tributi erariali dello Stato Centrale.

Come dicevamo, in seguito all’emissione della sentenza delle Sezioni Unite del novembre 2016, l’orientamento, che prima era un eufemismo definire minoritario, ha iniziato via via ad affermarsi nella giurisprudenza tributaria di merito, e ad oggi si registra un numero sempre maggiore di decisioni di CTP e CTR che aderiscono alla tesi della prescrizione quinquennale delle cartelle esattoriali portanti crediti per imposte, sanzioni e relativi interessi.

Si citano, ovviamente dimenticandone qualcuna, le seguenti sentenze in ordine cronologico:

  • Sentenza CTP di Milano n. 1466/2017 del 20/02/2017
  • Sentenza CTP di Avellino n. 267/2017 del 23/02/2017
  • Sentenza CTR di Roma n. 1050 del 07/03/2017
  • Sentenza CTR di Roma n. 1229 del 14/03/2017
  • Sentenza CTP di Napoli n. 6871/2017 del 30/03/2017
  • Sentenza CTR di Genova n. 572 del 13/04/2017
  • Sentenza CTP di Milano n. 4269 del 20/06/2017
  • Sentenza CTP di Lecco n. 76 del 23/03/2018

E, da ultimo, la recentissima sentenza della CTR Lombardia di Milano n. 1883/2018 del 23/04/2018, che ribadisce, in perfetta linea con l’insegnamento delle Sezioni Unite che la prescrizione ordinaria decennale, ex art. 2946 C.C. “si applica solo in presenza di titolo giudiziale divenuto definitivo”.

Anche se non adeguatamente approfondito nel merito, un certo spiraglio in tal senso pare aprirsi nella recente giurisprudenza della Cassazione – Sezione Tributaria, che, in una controversia avente ad oggetto l’imposta di registro ed accessori per l’anno 1996, in accoglimento del ricorso del contribuente ha concluso che:

 

Ciò premesso il principio, di carattere generale, secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c., si applica con riguardo a tutti gli atti – in ogni modo denominati – di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali, ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonché  di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali, nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via” (Cass. n. 1997/2018).

 

Infine non sono mancate, anche in tempi recenti, sentenze di diverso avviso, che, evidenziando la criticità delle Sezioni Unite nel passo citato hanno affermato, in toni quasi moralistici, l’erroneità del nel sostenere la tesi della prescrizione quinquennale generale dei tributi, non cogliendo evidentemente le ragioni di armonizzazione del sistema sopra elencate:

“[…] ciò offre l’occasione di esaminare la recente sentenza 17/11/2016 n. 23397 delle SS.UU. civili della Corte di Cassazione per escludere categoricamente che essa abbia affermato, come pretende una parte professionalmente non disinteressata della dottrina, che i crediti si prescrivono tutti in cinque anni.

La questione di cui la S.C. era investita era, in realtà, l’operatività o meno della conversione, prevista dall’art. 2953 c.c., del termine di prescrizione breve in quello ordinario decennale, nelle fattispecie originate da atti di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva, nelle ipotesi in cui la definitività dell’accertamento del credito derivi da atti diversi rispetto ad una sentenza passata in giudicato.

La S.C. ha ricordato che, una volta scaduto inutilmente il termine perentorio per proporre opposizione avverso un c.d. titolo para giudiziale – come la cartella esattoriale – il titolo diviene definitivo e il diritto incontestabile, senza minimamente toccare la questione della prescrizione ex art. 2953 cod. civ.” (Sentenza CTR Lombardia – Milano n. 139/2018).

 

Va anche rimarcato che questa impostazione potrebbe essere semmai sostenuta per quanto riguarda le sole imposte, ma non per le somme dovute a titolo di sanzioni e di interessi che, sovente, nelle cartelle più datate, costituiscono la parte preponderante del credito esattoriale.

Infatti, la giurisprudenza tributaria non sembra puntualizzare con la necessaria attenzione che, relativamente alle sanzioni esiste la norma specifica (proprio al pari dell’art. 3 Legge n. 335/1995) che il diritto alla riscossione coattiva si prescrive in 5 anni.

Si tratta dell’art. 20 comma 3 del D. Lgs. N. 472/1997Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell’articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662” che così recita:

Il diritto alla riscossione della sanzione irrogata si prescrive nel termine di cinque anni. L’impugnazione del provvedimento di irrogazione interrompe la prescrizione, che non corre fino alla definizione del procedimento”.

E così pure, in materia di interessi, l’art. 2948 del Codice Civile dispone espressamente che gli interessi, qualunque tipo di interessi, si prescrivono in 5 anni.

Ragion per cui, alla luce dei principi espressi dalle Sezioni Unite, non si può fondatamente sostenere che alle cartelle esattoriali portanti crediti tributari si applica tout court la prescrizione decennale.

Semmai, infatti, per i motivi anzidetti, è opinabile la sola questione delle imposte, giacché dovrebbe essere definitivamente assodata la prescrizione di 5 anni di sanzioni ed interessi.

Per completezza, occorre evidenziare che, malgrado il nitidissimo insegnamento delle Sezioni Unite in materia giuslavoristica, si è assistito ad un tentativo di far passare una sorta di revirement della Suprema Corte.Niente di più infondato.

Basandosi infatti sulla giurisprudenza della Sezione terza della Cassazione in materia fallimentare, in particolare su una sentenza pubblicata il 16/12/2016 ma decisa nella Camera di Consiglio del 20/10/2016 e quindi anteriormente alla pronuncia delle Sezioni Unite del 17/11/2016, è stato affermato che la Suprema Corte avrebbe “rivisto il suo orientamento”.

Tuttavia questa sentenza, come la successiva n. 3095/2017 sempre della medesima sezione III, che evidentemente ripropone un orientamento consolidatosi all’interno della medesima sezione, sono state redatte e motivate come se proprio non fosse stata emessa la sentenza delle Sezioni Unite, non essendoci un vaglio critico dell’approdo della Corte Regolatrice.

Semplicemente la Sezione Terza della Cassazione si è allineata alla giurisprudenza precedente al 17/11/2016, sanzionata dalle Sezioni Unite come frutto di un “misunderstanding” giuridico.

L’auspicio di questo contributo è quindi che vengano riaffermati in ogni sede e con forza i principi di diritto esposti nella sentenza delle Sezioni Unite n. 23397/2016 dopo che erano purtroppo rimasti sopiti per quasi un decennio e che si possa finalmente consolidare anche nella giurisprudenza tributaria l’orientamento della prescrizione quinquennale dei crediti erariali, che, come riteniamo di aver dimostrato, è in piena armonia con tutto il sistema esattoriale, indiscutibilmente calibrato sull’orizzonte temporale dei 5 anni.

 

Roberto Molteni

9 ottobre 2018