In questo articolo esaminiamo la questione giurisprudenziale attinente la legittima utilizzabilità di informazioni provenienti da forme ufficiali di cooperazione internazionale di polizia, in ambito di processo penale tributario
La Cassazione Penale, con la sentenza n. 20421 del 9 maggio 2018 (vedi il testo integrale più sotto), ha affrontato e chiarito due interessanti questioni giurisprudenziali attinenti, in particolare:
- la legittima utilizzabilità – in seno al procedimento penale tributario – degli elementi informativi acquisiti secondo i network ufficiali di cooperazione internazionale di polizia, senza il ricorso alla procedura rogatoriale distintamente disciplinata dall’art. 729 c.p.p.;
- la legittimità dell’attuale impianto sanzionatorio tributario – così come riveniente dall’applicazione sistematica del D.Lgs. n. 472/1997, degli artt. 19, 20 e 21 del D.Lgs. n. 74/2000 e dall’art. 7 del D.L. n. 269/2003 – in ragione del quale, a seguito di una condotta illecita posta in essere nell’ambito di una società dotata di personalità giuridica, quest’ultima risponde delle sanzioni amministrativo-tributarie, mentre l’autore materiale/persona fisica, se ne ricorrono i presupposti, è destinatario della diversa sanzione penale tributaria, senza che quanto preceda possa violare il principio del ne bis in idem.
Con riguardo alla prima questione, la Corte – respingendo le doglianze del ricorrente circa dedotto l’inutilizzabilità della documentazione trasmessa dalla Polizia Giudiziaria Britannica alla Guardia di Finanza di Saronno senza far ricorso alla procedura della rogatoria internazionale – rinvia alla consolidata posizione giurisprudenziale formatasi sul punto affermando che la sanzione dell’inutilizzabilità sancita dall’art. 729 c.p.p., comma 1, come modificato dalla L. 5 ottobre 2001, n. 367, art. 13, è speciale e come tale non è applicabile in via estensiva o analogica al di fuori dello specifico ambito nel quale essa è prevista, cioè quello delle “rogatorie all’estero”.
Di conseguenza, la suddetta previsione sanzionatoria non è applicabile all’acquisizione di informazioni, emerse all’interno di un procedimento penale all’estero, che spontaneamente ed autonomamente l’Autorità giudiziaria di uno Stato ha offerto agli organi di polizia collaterali nazionali, secondo le vigenti e legittime procedure disciplinanti i network internazionali di cooperazione di polizia[1], quali OIPC-Interpol, Europol[2], S.I.Re.N.E. (Supplementary Information Request at the National Entries) dell’Area Schengen[3].
In altre parole, l’art. 729 c.p.p. deve essere interpretato in modo che siano inutilizzabili soltanto le prove acquisite o trasmesse dalle Autorità straniere in violazione di specifiche disposizioni internazionali inequivocabilmente dirette ad introdurre modalità inderogabili di acquisizione e di trasmissione rogatoriale.
Pertanto, la documentazione acquisita sui canali di polizia deve ritenersi
“pienamente utilizzabile, precisato anche che la spontaneità del conferimento nasce dal trasferimento avvenuto con un procedimento che ha seguito normali canali di cooperazione informativa, espressione di naturale collaborazione istituzionale nei settori di specifica competenza tra singole amministrazioni, senza che vi sia alcun limite ufficiale all’utilizzazione della stessa”.
Alla stessa documentazione può, quindi, applicarsi la
“disciplina di cui all’art. 234 c.p.p., in quanto non appare contestabile la natura documentale degli atti, essendo gli stessi ricognitivi di una realtà contabile, e assolutamente rilevanti per ricostruire il complessivo quadro finanziario, sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo, delle operazioni effettuate all’interno del contesto in cui si è sviluppato il fatto da accertare”.
Sulla questione, la Corte di Cassazione si era già pronunciata con la sentenza n. 11116 del 13.03.2009 (Sez. II pen.), vertente su un ricorso riguardante la condanna di alcuni soggetti per simulazione di reato di furto di autovetture e truffa in danno di ditte di autonoleggio e compagnie di assicurazione. In particolare, gli incolpati erano stati accusati di aver acquistato autovetture, preferibilmente di grossa cilindrata e di notevole valore, ovvero di averle noleggiate, per trasportarle successivamente all’estero dove venivano vendute.
I legali avevano lamentato, in sede di ricorso, la violazione degli artt. 234 e 729 c.p.p. realizzatasi attraverso l’acquisizione e l’utilizzazione delle annotazioni della polizia di frontiera rumena dalla quale risultavano gli ingressi in territorio estero delle autovetture rubate, nonché degli accertamenti di polizia riguardanti le reimmatricolazioni all’estero di tali veicoli.
Con la citata sentenza, la Suprema Corte argomenta che gli articoli del codice di procedura penale riguardanti le rogatorie non dettano una disciplina delle fonti di prova, ma disciplinano l’attività dei giudici e dei magistrati del pubblico ministero diretta all’acquisizione probatoria, considerato che, quando interessi uno Stato estero, l’esercizio delle ius puniendi incontra il limite della sovranità e non può esplicarsi senza l’adozione di procedure che garantiscano il consenso dello Stato richiesto.
Nell’assunto che la fonte di prova