La motivazione degli avvisi di accertamento catastali

L’indirizzo della Cassazione sulla motivazione degli atti di classamento ed attribuzione di rendita catastale conseguenti a procedura Docfa è andato consolidandosi nel senso che, l’obbligo di motivazione dell’avviso di classamento è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita, solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati

L’indirizzo della Corte di Cassazione sulla motivazione degli atti di classamento ed attribuzione di rendita catastale conseguenti a procedura Docfa è andato consolidandosi, nel senso che: “qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della procedura disciplinata dall’art. 2 del D. L. n. 16 del 1993, convertito in L. n. 75 del 1993, e dal D. M. n. 701 del 1994 (cd. procedura DOCFA), l’obbligo di motivazione dell’avviso di classamento è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati”.

Dove, in caso contrario, e cioè nell’ipotesi in cui la discrasia non derivi dalla stima del bene ma dalla divergente valutazione degli elementi di fatto indicati dal contribuente “la motivazione dovrà essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso” (da ultimo, Cass. ord. 12497/16 e Cassazione – Sez. Tributaria – sentenza n. 977, depositata il 17/01/2018).

Si tratta di orientamento che si pone in linea con quanto stabilito da Cass. 23237/14, la quale (richiamando Cass. ord. 3394/14) ha affermato che: “in ipotesi di classamento di un fabbricato mediante la procedura Docfa, l’atto con cui l’amministrazione disattende le indicazioni date dal contribuente deve contenere un’adeguata ancorché sommaria motivazione, che delimiti l’oggetto della successiva ed eventuale controversia giudiziaria, affermando, appunto, che l’Ufficio non può limitarsi a comunicare il classamento che ritiene adeguato, ma deve anche fornire un qualche elemento che spieghi perché la proposta avanzata dal contribuente con la Dofca viene disattesa”.

Nel farsi carico di alcune precedenti pronunce in materia, Cass. 23237/14 cit. ha rilevato come il principio così da essa accolto “contrasta solo in apparenza con la giurisprudenza citata dalla ricorrente (cfr., da ultimo, Cass. n. 2268 del 2014) secondo cui, in ipotesi d’attribuzione della rendita catastale a seguito della procedura Docfa, l’obbligo di motivazione è soddisfatto con l’indicazione dei dati oggettivi e della classe, trattandosi di elementi conosciuti o comunque facilmente conoscibili per il contribuente e tenuto conto della struttura fortemente partecipativa dell’atto”.

Quest’ultimo indirizzo deve trovare applicazione solo nel caso in cui “gli elementi di fatto indicati nella dichiarazione presentata dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e risultino, perciò, immutati, di tal che la discrasia tra la rendita proposta e la rendita attribuita sia la risultante di una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati: in tal caso, risulta evidente come la presenza e la adeguatezza della motivazione rilevino, non già ai fini della legittimità dell’atto, ma della concreta attendibilità del giudizio espresso”.

Diversamente deve, però, avvenire allorquando “la rendita proposta con la Dofca non venga accettata in ragione di ravvisate differenze relative a taluno degli elementi di fatto indicati dal contribuente”; ipotesi in cui “l’Ufficio dovrà, appunto, specificarle, sia per consentire al contribuente di approntare agevolmente le consequenziali difese, che per delimitare, in riferimento a dette ragioni, l’oggetto dell’eventuale successivo contenzioso, essendo precluso all’Ufficio di addurre, in giudizio, cause diverse rispetto a quelle enunciate; principio questo che si pone in consonanza con la più recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 9626 del 2012; ord. 19814 del 2012; n. 21532 del 2013; n. 17335 del 2014; n. 16887 del 2014), che, in tema di motivazione degli atti di modifica del classamento, ha, appunto, affermato che è necessaria l’enunciazione delle relative ragioni per consentire al contribuente il pieno svolgimento del suo diritto di difesa e per circoscrivere l’ambito dell’eventuale futuro giudizio”.

Orbene, come si evince dal su riportato orientamento di legittimità, questo livello di motivazione non può ritenersi sufficiente quando gli avvisi di accertamento disattendono la proposta variazione in categoria A2 proprio sulla base di una divergente valutazione degli “elementi di fatto” addotti dai contribuenti con procedura Docfa, e costituiti dall’asserito deterioramento degli immobili; dalla mancanza in essi delle caratteristiche tipologiche di lusso e, comunque, legittimanti il classamento di signorilità A1; dalla sopravvenuta diversa distribuzione degli spazi interni.

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L’ufficio deve sempre dare compiutamente conto dei motivi per cui esso ritiene di disattendere gli elementi di fatto addotti dai contribuenti a sostegno del passaggio da A1 ad A2; e tale onere di compiuta motivazione non viene meno per il solo fatto che la divergenza fattuale così ravvisata determini il ripristino della classificazione originaria.

Maurizio Villani
11 aprile 2018

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