Un caso di condanna di Equitalia alla lite temeraria

segnaliamo un caso di condanna di Equitalia alle spese per lite temeraria: la condanna deriva dal fatto che Equitalia aveva avviato una causa in assenza dei presupposti necessari. In particolare, veniva contestata non solo la tardiva emissione di diverse cartelle ma anche l’inadeguatezza delle stesse notificate (o almeno con tentata notifica) al domicilio di residenza e non a quello fiscale già noto

La Cassazione ha respinto il ricorso presentato da Equitalia Spa avverso il giudizio della CTR che aveva già condannato l’amministrazione stessa al risarcimento dei danni ex art.96 c.p.c. a favore di un contribuente, in quanto l’amministrazione aveva avviato una causa in assenza dei presupposti necessari. In particolare, veniva contestata, non solo la tardiva emissione di diverse cartelle, ma, anche l’inadeguatezza delle stesse notificate (o almeno con tentata notifica) al domicilio di residenza e non a quello fiscale già noto.

Di conseguenza, ha ritenuto corretto l’operato del giudice tributario che ha il diritto di “liquidare in favore del cittadino il danno derivante dall’esercizio, da parte dell’A.F., di una pretesa impositiva temeraria, in quanto connotata da mala fede o colpa grave […] atteso che il concetto di responsabilità processuale deve intendersi comprensivo anche della fase amministrativa che, qualora ricorrano i predetti requisiti, ha dato luogo all’esigenza di instaurare un processo ingiusto ”.

FATTI E DECISIONE

Equitalia E.TR. Spa impugna per cassazione la decisione della CTR Puglia che, confermando la decisione di primo grado, aveva ritenuto illegittime le cartelle di pagamento n. 014/2006/00094052/21/0000, per Iva, Irpef ed Irap per l’anno di imposta 2001, e n. 014/2007/00164271/08/000, per Iva, Irpef ed Irap per l’anno di imposta 2002, nonché la conseguente iscrizione di ipoteca legale, perché non notificati, ed aveva condannato Equitalia al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c., quantificati in euro 15.000,00, assumendo con cinque motivi:

(1) La nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, 1^ C., nn. 3 e 5, c.p.c., per erronea valutazione della documentazione e dei presupposti di fatto e di diritto, nonché per violazione e falsa applicazione di norme di diritto.

Secondo la Cassazione tale motivo è inammissibile per una pluralità di profili atteso, in primo luogo, il cumulo delle censure dedotte, tanto più rilevante nella specie poiché le diverse prospettazioni – il vizio di falsa applicazione della legge (che si risolve in un giudizio sul fatto contemplato dalle norme di diritto positivo applicabili al caso specifico) e il vizio per insufficienza e incongruità della motivazione (che comporta un giudizio sulla ricostruzione del fatto giuridicamente rilevante) – sono in stretto rapporto di correlazione nello svolgimento del motivo, che investe, in termini disorganici ed in assenza di una chiara separazione, vuoi la ritualità della produzione dei nuovi documenti, vuoi la valutazione di questi ultimi e di quelli già prodotti, vuoi l’osservanza delle norme sulla notificazione, vuoi la valutazione sulla sufficienza dei presupposti per l’iscrizione dell’ipoteca, e si risolve, in sostanza, in una impropria sollecitazione ad una rinnovata lettura delle risultanze di causa.

La censura, inoltre, è del tutto carente di autosufficienza, attesa l’omessa riproduzione della relata delle notifiche e della pertinente documentazione richiamata.

La CTR, in ogni caso, ha valutato la produzione documentale in appello, ritenendo, quanto alle notifiche relative ad altre sei cartelle (asseritamente a fondamento dell’ipoteca legale), che esse non solo fossero tardive ma anche irrilevanti ai fini del giudizio, mentre, quanto alle notifiche delle cartelle opposte, che le prove fossero inadeguate perché attestanti “la tentata notifica” al domicilio di residenza “anziché … al diverso domicilio fiscale già noto … per aver ritualmente notificato … atti inerenti ad altre precedenti vicende tributarie”, rationes queste non censurate dal ricorrente.

(2) La violazione, ai sensi dell’art. 360, 1^ c., n. 1, c.p.c., di norme di diritto ed erronea valutazione della produzione documentale circa la cartella n.014/2007/00164271/08/000, per ultrapetizione in assenza di una domanda di annullamento da parte del contribuente.

Secondo la Cassazione tale secondo motivo è pure inammissibile sia per essere stata l’ultrapetizione denunciata ai sensi del 1^ c., n. 1, dell’art. 360 c.p.c. anziché del n. 4, sia per difetto di autosufficienza attesa la mancata indicazione e riproduzione degli atti pertinenti che attesterebbero la mancata proposizione da parte del contribuente della domanda di annullamento, necessaria tanto più a fronte della specifica ed argomentata indicazione della CTR.

(3) Nullità, ai sensi dell’art. 360, 1^ c., n. 1, c.p.c., per motivi attinenti la giurisdizione per aver la CTR statuito sulla domanda di risarcimento danni per lite temeraria.

Secondo la Cassazione tale terzo motivo è infondato poiché – secondo la costante e consolidata giurisprudenza della Corte – il giudice tributario può “conoscere anche la domanda risarcitoria proposta dal contribuente ai sensi dell’art. 96 c.p.c., potendo, altresì, liquidare in favore di quest’ultimo, se vittorioso, il danno derivante dall’esercizio, da parte dell’A.F., di una pretesa impositiva “temeraria”, in quanto connotata da mala fede o colpa grave, con conseguente necessità di adire il giudice tributario, atteso che il concetto di responsabilità processuale deve intendersi comprensivo anche della fase amministrativa che, qualora ricorrano i predetti requisiti, ha dato luogo all’esigenza di instaurare un processo ingiusto” (SS.UU., n. 13899/2013; SS.UU., n. 14554/2015).

(4) Nullità, ai sensi dell’art. 360, 1^ c., n. 3, c.p.c., per violazione di norme di diritto, per aver ritenuto fondata la domanda di risarcimento danni ex art. 96 c.p.c., doglianza che reitera.

Secondo la Cassazione tale quarto motivo è infondato. La CTR, infatti, non ha statuito ex art. 96 c.p.c. in assenza di prova sul danno o di mala fede o, comunque, di illegittimità della condotta ovvero di assenza di dolo o colpa dell’amministrazione, ma, con riferimento ai diversi momenti della fase amministrativa e di quella giudiziale (la mancata considerazione della regolare pratica di condono, conclusa diversi anni prima dell’iscrizione a ruolo; lo sgravio operato con cinque anni di ritardo e a giudizio instaurato; iscrizione ipotecaria su notifica della cartella inesistente; omessa cancellazione dell’iscrizione in difformità della statuizione giudiziale e successiva rettifica per un importo inferiore al minimo di legge, con ulteriore aggravio per il contribuente; richiesta, in sede processuale, di conferma dell’iscrizione ipotecaria con riguardo ad atti estranei al giudizio e per importi non legali), ha ritenuto raggiunta la prova dell’an, con un giudizio logico ed articolato, neppure oggetto di specifica censura.

Con riferimento al quantum debeatur, inoltre, la CTR ha evidenziato che, in assenza di elementi oggettivi di valutazione, la liquidazione del danno poteva operarsi esclusivamente con “riguardo al danno morale conseguente all’accertata inesistenza del diritto degli enti impositori a chiedere l’iscrizione ipotecaria sul patrimonio del contribuente e ai conseguenti disagi psicologici che tale condotta ha provocato”, operando la quantificazione sì in via equitativa ma sulla “base degli elementi di causa”, specificamente e ripetutamente richiamati, sicché, anche per tale aspetto, non sussiste la contestata violazione di legge, senza che, per contro, il percorso motivazionale sia stata oggetto di specifica censura.

(5) Per contraddittoria motivazione.

Secondo la Cassazione con riguardo a tale quinto motivo, la delimitazione del risarcimento ai soli danni morali derivanti dall’illegittima iscrizione ipotecaria esclude, poi, ogni contraddittorietà nella individuazione della sola Equitalia E.TR. Spa come unico responsabile, ferma restando, in ogni caso, l’inammissibilità della doglianza atteso che, in tema di solidarietà passiva nei rapporti obbligatori, il corresponsabile, che sia stato condannato con esclusione del rapporto di solidarietà, ove non abbia proposto alcuna domanda di rivalsa nei confronti del preteso condebitore solidale, è privo di interesse ad impugnare tale sentenza “perché essa non aggrava la sua posizione di debitore dell’intero, né pregiudica in alcun modo il suo eventuale diritto di rivalsa” (v. ex multiis Cassazione n.21774/2015; n. 2227/2012; n. 14753/2007).

Pertanto, la Cassazione ha rigettato il ricorso proposto da Equitalia Spa, condannando l’Amministrazione alla rifusione delle spese a favore del contribuente, liquidate in euro 7.800,00, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.

Antonino Pernice

31 marzo 2018