Impresa familiare e convivenza di fatto: attribuzione del reddito

il reddito spettante ad un convivente di fatto che presta la propria opera all’interno dell’impresa familiare dell’altro convivente, è imputabile in proporzione alla sua quota di partecipazione agli utili, in applicazione del principio di trasparenza

Il reddito spettante ad un convivente di fatto che presta la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente, è imputabile in proporzione alla sua quota di partecipazione agli utili, in applicazione del principio di trasparenza di cui all’articolo 5, del DPR 917/8; il comma 4 di tale ultima norma richiama solo l’art. 230-bis del c.c. (Impresa familiare), e non anche l’art.o 230-ter del c.c., introdotto dalla Legge Cirinnà, recante la disciplina dei diritti spettanti al convivente che partecipa all’impresa dell’altro convivente.

Il riferimento contenuto in quest’ultima norma alla “partecipazione agli utili dell’impresa familiare” spettanti al convivente consente tuttavia di applicare a questa ipotesi i principi generali che hanno portato alla collocazione dell’impresa familiare all’interno dell’articolo 5, del DPR 917/86.

La risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 134/E del 26 ottobre 2017

Con la risoluzione 134/E del 26 ottobre 2017, l’Agenzia delle Entrate a seguito di una istanza di interpello ai sensi dell’art. 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212, ha fornito chiarimenti sul trattamento fiscale della quota che un contribuente, titolare di una ditta individuale, intende imputare, a titolo di partecipazione agli utili dal 2017, alla sua convivente di fatto in esecuzione dell’atto modificativo di impresa familiare, con il quale dichiarava la cessazione della prestazione d’opera resa in precedenza dalla madre e l’inserimento nell’impresa della convivente di fatto.

Il dubbio

L’interpellante titolare di una impresa individuale, riferisce di essersi avvalso della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze, cd. Legge Cirinnà) e di avere sottoscritto in data 29 novembre 2016 a mezzo scrittura privata autenticata del notaio un atto modificativo di impresa familiare nel quale dichiarava la cessazione al 31 dicembre 2016 della prestazione d’opera resa dalla madre e l’inserimento nell’impresa della sua convivente di fatto, come da dichiarazione anagrafica del novembre 2016.

L’istante afferma di avere effettuato nei termini previsti la cancellazione presso l’INPS, l’INAIL e la CCIA della madre e la contestuale iscrizione della convivente.

In data 31 marzo 2017, l’INPS emanava la circolare n. 66 dell’INPS in seguito alla quale l’istante veniva costretto alla cancellazione sin dall’origine della convivente di fatto, dall’INPS e dalla CCIA.

L’istante chiede chiarimenti in ordine alla validità dell’impresa familiare come risultante dall’atto notarile richiamato, con particolare riferimento alla possibilità di conferire, a decorrere dall’anno di imposta 2017 ed in applicazione dell’istituto di cui all’art. 230-ter c.c., una parte di utili alla convivente.

Le unioni civili: cenni

La legge 76/2016 (cd. legge Cirinnà) prevede che l’unione civile tra persone dello stesso sesso, considerata “formazione sociale” ai sensi degli artt. 2 e 3 Cost., è costituita da due persone maggiorenni dello stesso sesso, mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni.

Il regime patrimoniale ordinario dell’unione civile omosessuale consiste nella comunione dei beni (art. 159 c.c.), fatta salva la possibilità che le parti formino una convenzione patrimoniale. Resta ferma la possibilità di optare per la separazione dei beni.

Nel riconoscere a due persone maggiorenni dello stesso sesso il diritto di costituire un’unione civile, mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni si prevede la registrazione degli atti di unione civile nell’archivio dello stato civile. Il documento attestante la costituzione del vincolo deve contenere i dati anagrafici delle parti, l’indicazione del loro regime patrimoniale (comunione o separazione dei beni) e della loro residenza, oltre che i dati anagrafici e la residenza dei testimoni.

L’articolo unico della legge 76/2016, dispone ancora in ordine al cognome dell’unione civile prevedendo che le parti, mediante dichiarazione all’ufficiale di stato civile, possano indicare un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi; al contrario, i partner potranno anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome, se diverso.

E’ prevista poi una serie di cause impeditive per la costituzione dell’unione civile , la presenza di una delle quali determina la nullità dell’unione stessa :

  • la sussistenza di un vincolo matrimoniale o di un’unione civile tra persone dello stesso sesso;
  • l’interdizione di una delle parti per infermità mentale; in caso sia soltanto promossa la causa di interdizione, il PM può chiedere che si sospenda il procedimento per l’unione civile; quest’ultimo riprende solo dopo la formazione del giudicato sulla causa per l’interdizione;
  • la sussistenza di rapporti di affinità o parentela tra le parti (primo comma dell’articolo 87 del codice civile);
  • la condanna definitiva di un contraente per omicidio consumato o tentato nei confronti di chi sia coniugato o unito civilmente con l’altra parte; se è stato disposto soltanto rinvio a giudizio, ovvero sentenza di condanna di primo o secondo grado ovvero una misura cautelare, la procedura per la costituzione dell’unione civile è sospesa sino a quando non è pronunziata sentenza di proscioglimento.

Diritti e doveri dell’unione civile

La legge Cirinnà disciplina i diritti e doveri derivanti dall’unione civile omosessuale, nella sostanza riproducendo il contenuto dell’art. 143 c.c. sul matrimonio (ad eccezione dell’obbligo di fedeltà): con la costituzione dell’unione civile le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi do- veri; l’unione comporta l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione non- ché di contribuire ai bisogni comuni, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capa- cità di lavoro professionale e casalingo.

Il comma 12, riproducendo le previsioni dell’art. 144 c.c., stabilisce che l’indirizzo della vita familiare e la residenza comune siano concordati tra le parti, spettando a ciascuna di essa il potere di attuare l’indirizzo concordato.

Analogamente al matrimonio, è previsto che il regime patrimoniale ordinario dell’unione civile con- sista nella comunione dei beni (art. 159 c.c.), fatta salva la possibilità che le parti formino una con- venzione patrimoniale; a quest’ultima si applicano le disposizioni del codice civile relative a forma (art. 162 c.c.), modifica (art. 163 c.c.), simulazione (art. 164 c.c.) e capacità dell’inabilitato (art. 166 c.c.) per la stipula delle convenzioni matrimoniali.

Anche in tal caso, come nel matrimonio, resta ferma la possibilità di optare per la separazione dei beni.

Sancendo l’inderogabilità per i contraenti dei diritti e doveri derivanti dalla costituzione dell’unione civile, stabilisce in tema di regime patri- moniale l’applicazione della disciplina delle sezioni II (fondo patrimoniale, artt. 167-171 c.c.), III (comunione legale, artt. 177-197 c.c.), IV (comunione convenzionale, artt. 210 e 211 c.c.), V (sepa- razione dei beni, artt. 215-219 c.c.) e VI (impresa familiare, art. 230-bis c.c.) del libro primo, titolo VI, del codice civile.

Il caso specifico

Con riferimento al caso oggetto del presente commento, l’Agenzia delle Entrate evidenzia che la suindicata legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stes- so sesso e disciplina delle convivenze) ha introdotto nel nostro ordinamento l’istituto dell’unione civile tra persone dello stesso sesso (art. 1) e disciplinato il regime delle convivenze di fatto, la cui definizione è contenuta nell’art. 1, c. 36, ovvero

due persone maggiorenni unite stabilmente da lega- mi affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile“.

La citata legge ha apprestato forme di tutela differenziate tra le parti dell’unione civile ed i convi- venti, estendendo solo alle prime ed in forza dell’art. 20,

le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole ‘coniuge’, ‘coniugi’ o termini equivalenti, contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regola- menti nonché negli atti amministrativi nonché nei contratti collettivi.

La Legge Cirinnà è intervenuta altresì sulla disciplina dell’impresa familiare, in una duplice direzio- ne:

  • da un lato, estendendo alle unioni civili la disciplina civilistica dell’impresa familiare di cui all’art. 230-bis del c.c. (mediante il rinvio contenuto nell’art. 1 c. 13 all’intero capo VI del titolo VI del libro primo del c.);
  • dall’altro introducendo nel codice civile l’articolo 230-ter, rubricato “Diritti del convivente“, recante la regolamentazione delle prestazioni di lavoro rese in favore del convivente more uxorio. Tale ultima norma riconosce “Al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente, il diritto di partecipazione agli utili dell’impresa fami- liare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avvia- mento, commisurata al lavoro prestato“.

Si prevede inoltre che il diritto di partecipazione non spetti “qualora tra i conviventi esista un rap- porto di società o di lavoro subordinato“.

DIRITTI DEL CONVIVENTE

Art. 230-bis codice civile

Al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato.

Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato.

L’analisi delle Entrate

I tecnici delle Entrate nell’analizzare la domanda posta dal contribuente, evidenziano che nel caso in esame la scelta del legislatore di introdurre una disciplina specifica per il convivente, diversa da quella dell’impresa familiare regolata dal precedente art. 230-bis del c.c., riflette l’intenzione di mantenere su posizioni differenti la collaborazione del convivente rispetto a quella del familiare (o della parte civile, alla quale la disciplina dell’impresa familiare è applicabile), come si evince da al- cune diversità di rilievo dei regimi previsti dagli articoli 230-bis e 230-ter del c.c..

Tra queste, l’esclusione del convivente dal diritto al mantenimento nonché dal diritto alla partecipazione alle decisioni dell’impresa, diritti spettanti invece al familiare ed alla parte civile (art. 230-bis com- ma 1 c.c.)

Elementi costitutivi della fattispecie delineata dall’art. 230-ter del c.c. sono
  1. il rapporto di convivenza;
  2. lo svolgimento stabile di prestazioni di lavoro;
  3. l’esistenza di un’impresa cui risulti connessa la prestazione lavorativa

La disciplina recata dall’art. 230-ter c.c. è infine una disciplina residuale, applicabile solo laddove non sia configurabile tra i conviventi un diverso rapporto, “di società o di lavoro subordinato”.

Il regime tributario dell’impresa familiare è regolato dal comma 4, dell’articolo 5 del DPR 917/86, recante la disciplina fiscale dei redditi delle imprese familiari di cui all’articolo 230-bis, del codice civile.

La citata norma stabilisce che tali redditi siano imputati,

limitatamente al 49 per cento dell’ammontare risultante dalla dichiarazione dei redditi dell’imprenditore … a ciascun familiare che abbia prestato in modo continuativo e prevalente la sua attività di lavoro nell’impresa, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili“.

Per i tecnici delle Entrate tale imputazione proporzionale osservano i tecnici delle Entrate non può superare complessivamente il 49% dell’ammontare del reddito risultante dalla dichiarazione annuale dell’imprenditore ed è subordinata al rispetto delle condizioni elencate alle lettere a), b) e c) del comma 4, della medesima norma.

L’imputazione proporzionale con il limite del 49% presuppone a sua volta la partecipazione all’impresa di un soggetto avente lo status di familiare, ovvero

il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado“.

L’Agenzia delle Entrate osserva che l’articolo 5, comma 4, del DPR 917/86, richiama solo l’art. 230-

bis del c.c e non anche l’art. 230-ter del c.c., che reca la specifica disciplina dei diritti spettanti al convivente che partecipa all’impresa dell’altro convivente.

Ciò porterebbe ad escludere, secondo i tecnici delle Entrate, l’applicazione a tale ultima ipotesi della norma fiscale richiamata. Tuttavia, il riferimento alla “partecipazione agli utili dell’impresa familiare” spettanti al convivente, contenuto nell’art. 230-ter, consente di applicare anche a questa fattispe- cie i principi generali che hanno portato alla collocazione dell’impresa familiare all’interno dell’arti- colo 5, del DPR 917/86.

L’Agenzia delle Entrate ricorda che, con circolare n. 40 del 1976, il Ministero delle Finanze ha pre- cisato che tale collocazione non significa che nel caso di impresa familiare si tratta di reddito pro- dotto in forma associata, ma ribadisce il principio di trasparenza, in virtù del quale il reddito prodotto da un determinato soggetto tra quelli contemplati dallo stesso art. 5, è imputato a ciascuno degli aventi diritto, indipendentemente dalla percezione del reddito ed in proporzione alle rispettive quote di partecipazione agli utili.

Nello stesso documento di prassi si precisa, inoltre, la duplice qualificazione dei redditi conseguiti nell’esercizio dell’impresa familiare, ovvero reddito d’impresa per il titolare (attesa la natura dell’impresa familiare come impresa individuale), redditi di partecipazione per i collaboratori fami- liari.

Ciò considerato, si ritiene che il reddito spettante alla convivente di fatto, derivante dalla partecipa- zione agli utili dell’impresa del convivente sia a lei imputabile in proporzione alla sua quota di par- tecipazione.

16 NOVEMBRE 2017

Federico Gavioli

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