Segnalazione da spesometro di partita IVA cessata: e se la fattura fosse falsa? Il rischio Antiriclaggio del consulente…

dopo il problema della detrazione IVA, oggi analizziamo un secondo attuale problema che riguarda le partite IVA cessate segnalate tramite il nuovo spesometro: tali fatture potrebbero essere potenzialmente false (fatture per operazione inesistenti?) il che dovrebbe far nascere il sospetto previsto dalle norme antiriciclaggio… e quindi la segnalazione…?

normativa antiriciclaggioDa più parti nei convegni, ma anche sui social network si discute della necessità o meno di effettuare una segnalazione di operazione sospetta (SOS) all’UIF quando l’Agenzia delle Entrate (Ade) ritorna una ricevuta di “spesometro” con segnalazione di partita IVA cessata.

Tralasciando ovviamente i semplici errori di contabilizzazione che dovranno essere sistemati o gli errori del sistema perché la partita IVA al controllo risulta attiva o anche le cessazioni avvenute successivamente alla data di emissione della fattura, ma prima di inviare lo “spesometro” che sono ovviamente regolari, quando il professionista riceve comunicazione dall’Ade nella ricevuta dello spesometro che relativamente ad un fornitore di un suo cliente la partita IVA è cessata e da un controllo su Entratel si accorge che è successo anni fa, qualche dubbio se lo deve porre.

Le fatture potrebbero essere potenzialmente false (il che dovrebbe far nascere il sospetto previsto dalle norme antiriciclaggio) e quindi costituire reato presupposto per la normativa antiriciclaggio. Il cliente del professionista le ha probabilmente anche già pagate e quindi se sono veramente false e lo sapeva ha anche concorso nel reato, poi le dedurrà come costo e se superasse i limiti previsti dal D.lgs. 74/2000 commetterebbe anche il reato di utilizzazione di documenti falsi nella futura dichiarazione dei redditi.

Naturalmente dopo la segnalazione dell’Ade il professionista chiede al cliente che (lo assicura magari giurando sui suoi figli) di cadere dalle nuvole e il professionista (per vari motivi tra cui, non ultimo, quello di non perdere il cliente) è portato a credergli. Poi fra un paio d’anni gli ispettori della G. di F. o dell’Ade scoprono che invece il cliente ne era perfettamente a conoscenza (o poteva ragionevolmente esserlo) e il professionista pur essendo stato messo in condizione di farlo dalla segnalazione dell’Ade sullo spesometro, non si è fatto venire il sospetto e non ha segnalato la potenziale operazione sospetta.

Non bisogna dimenticare che l’obbligo di segnalazione scatta anche quando il professionista “ha ragionevoli motivi per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo da parte dei propri clienti”.

Devono essere segnalate anche le operazioni che sono state solo “tentate” anche se non andate a buon fine!!! 

Ovviamente la segnalazione, se dietro al sospetto del professionista non c’è una effettiva sostanza, non creerà alcun danno al cliente perché verrà abbandonata dall’UIF e il cliente stesso non lo verrà a sapere. La mancata segnalazione, invece, se il professionista non ha sospettato quando avrebbe dovuto e poi si scopre che la sostanza invece c’era, porta ad una sanzione di 3.000 euro, salvo sanzioni maggiorate da 10 a 100 volte (da 30.000 a 300.000) in caso di particolare gravità, recidiva e continuazione sistematica.

In ogni caso l’eventuale SOS va fatta quando il professionista ne viene a conoscenza e cioè dopo che gli è arrivata la ricevuta dello spesometro con la segnalazione di partita IVA cessata. Prima non lo poteva sapere e nessuno lo obbliga a fare il controllo anagrafico sul sito dell’ADE o in CCIAA quando registra un documento in quanto i dati li deve prendere dalla fattura.

Il sospetto di una potenziale falsità può nascere dal fatto che se un soggetto vende con partita IVA cessata da anni, potrebbe anche non essere lui a porre in essere la vendita, ma un terzo che non vuole apparire e utilizza la consolidata clientela dell’altro che ha cessato (con la sua complicità ovviamente visto che ci mette la faccia!). Si tratterebbe di fattura soggettivamente falsa in quanto l’operazione è realmente avvenuta, ma la falsità non deve essere provata.

Non è necessario, infatti che vi sia la fondatezza dei motivi per sospettare, ma è sufficiente che siano anche solo “ragionevoli” e la valutazione della ragionevolezza è troppo discrezionale per rischiare che in futuro qualche giudice pensi che fosse ragionevole quello che il professionista stimava che non lo fosse. Il cliente del professionista che acquista merce potrebbe anche essere ignaro dei retroscena e acquistare in buona fede; in fondo sta trattando con un fornitore che non gli ha detto di aver cessato l’attività. Non può sapere se il suo fornitore, magari abituale, sta facendo da prestanome.

Quando però il consulente viene a sapere che la partita IVA di quel fornitore è cessata anni fa deve ovviamente interpellare il suo cliente e farsi venire il sospetto che dietro ci sia un giro di prestanome e che forse il suo cliente lo sapeva (anche se assicura di no) e, in ogni caso, potrebbe aver utilizzato fatture false.

Mi rendo conto che si tratta di situazioni al limite, ma come sappiamo l’antiriciclaggio alimenta e a sua volta si basa sulla cultura del sospetto.

 

Leggi anche: Antiriciclaggio e professionisti parte 1: norme e sanzioni

 

18 ottobre 2017

Giuseppe Zambon