Il principio di competenza nella giurisprudenza di Cassazione

A fine mese scade il termine per l’invio del modello redditi 2017 (dichiarazioni relative all’anno 2016): in vista degli ultimi controlli proponiamo una rassegna delle principali e recenti sentenze di Cassazione, e di prassi, che illustrano la corretta applicazione del principio di competenza nella definizione del reddito d’impresa.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21239 del 13 settembre 2017, torna a fare chiarezza sul principio di competenza.

Secondo indirizzo incontrastato nella giurisprudenza di questa Corte, in tema di determinazione del reddito d’impresa, la regola, dettata dall’art. 75 (ora 109), comma primo, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e prima ancora dall’art. 74, comma primo, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 – secondo cui i costi e gli altri oneri concorrono a formare il reddito dell’esercizio di competenza a meno che la loro esistenza o il loro ammontare non sia ancora determinabile in modo oggettivo, nel qual caso vanno calcolati nel periodo d’imposta in cui si verificano tali condizioni -, mira contemporaneamente a salvaguardare tanto la necessità di computare tutte le componenti nell’esercizio di competenza che l’esigenza di non addossare ai contribuenti un onere troppo difficile da rispettare e va interpretata nel senso che il dovere di conteggiarle nell’anno di riferimento si arresta soltanto di fronte a quei ricavi e a quei costi che non siano ancora noti all’atto della determinazione del reddito, e cioè al momento della redazione e presentazione della dichiarazione. In tal senso depone anche la correlativa disposizione di cui all’art. 14, comma terzo, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, – che consente alle società ed agli enti il cui bilancio dev’essere approvato, per legge o per statuto, da un’assemblea o da altri organi, di inserire nelle scritture contabili tutti gli aggiornamenti consequenziali all’approvazione fino al termine per la presentazione della dichiarazione -, altamente significativa anche perché poi estesa ad ogni soggetto in regime di contabilità semplificata (art. 9, comma primo, lett. b, d.l. n. 2 marzo 1989, n. 69, convertito dalla legge 27 aprile 1989, n. 154), e, soprattutto, in linea con la direttiva CEE 18/7/1978, secondo la quale occorre tener conto di tutte le perdite e i rischi, anche se conosciuti soltanto fra la data di chiusura del bilancio ed il giorno della sua compilazione (v. Cass. 27/02/2002, n. 2892)”.

I precedenti della Corte di Cassazione

In sede giurisprudenziale la Corte di Cassazione ha confermato l’inderogabilità del principio di competenza.

Tale regola mira a “contemperare la necessità di computare tutte le componenti nell’esercizio di competenza con l’esigenza di non addossare al contribuente un onere troppo difficile da rispettare. Quindi essa va interpretata nel senso che il dovere di conteggiare tali componenti nell’anno di riferimento si arresta soltanto di fronte a quei ricavi ed a quei costi che non siano ancora noti alt atto della determinatone del reddito, e cioè al momento della redazione e presentazione della dichiaratone” (Cass. 19671/2013).

Per converso, i componenti positivi o negativi che concorrono a formare il reddito possono essere imputati all’anno di esercizio in cui ne diviene certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare, qualora di tali qualità fossero privi nel corso dell’esercizio di competenza (Cass. 8250/2008, 3368/2013). La questione, quindi, concerne i limiti temporali entro i quali l’avvenuto conseguimento del carattere determinato dei componenti negativi possa ancora riferirsi, oltre che civilisticamente, anche fiscalmente all’esercizio in cui i corrispondenti componenti positivi sono stati conseguiti.

Rileviamo ancora ulteriori e recenti pronunce.

  • Con l’ordinanza n. 9317 del 28 aprile 2014 (ud. 2 aprile 2014) la Corte Suprema di Cassazione ha ribadito che (per tutte Cass. Sez. 5, Sent. n. 3418 del 12/02/2010) “in tema di reddito d’impresa, il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, (numerazione anteriore a quella introdotta dal D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344) nel prevedere che i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza e che, ai fini dell’individuazione di tale esercizio, le spese di acquisizione dei beni mobili si considerano sostenute alla data della consegna o spedizione, non consente di attribuire rilievo alla data in cui perviene la fattura della spesa sostenuta, né permette la detrazione dei costi in esercizi diversi da quello di competenza, non potendo il contribuente essere lasciato arbitro della scelta del periodo in cui registrare le passività, in quanto l’imputazione di un determinato costo ad un esercizio anzichè ad un altro può, in astratto, comportare l’alterazione dei risultati della dichiarazione, mediante i meccanismi di compensazione dei ricavi e dei costi nei singoli esercizi“. Di conseguenza, “non vi è dubbio perciò che l’omessa registrazione del reddito maturato nel periodo di competenza abbia legittimato l’Agenzia all’adozione dell’avviso di accertamento qui impugnato, avviso che è stato annullato dal giudice del merito in applicazione di un principio fallace”.

  • Con la sentenza n. 7841 del 17 aprile 2015 (ud. 19 novembre 2014) la Corte di ha dato continuità al principio affermato nella pronuncia n. 3484 del 2014, “secondo il quale i componenti positivi o negativi che concorrono a formare il reddito possono essere imputati all’anno di esercizio in cui ne diviene certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare, qualora di tali qualità fossero privi nel corso dell’esercizio di competenza, precisando tuttavia che i costi sostenuti dopo la chiusura dell’esercizio contabile di riferimento, ma incidenti sul ricavo netto determinato dalle operazioni, dell’anno già definito, devono costituire elementi di rettifica del bilancio dell’anno precedente, così concorrendo a formare il reddito d’impresa di quell’anno ed incidendo legittimamente in flessione sullo stesso – senza che sia lasciata al contribuente la facoltà di decidere a quale anno imputare tali costi – tutte le volte in cui siano divenuti noti, in quanto certi e precisi nell’ammontare, prima della delibera approvativa del risultato d’esercizio”. Nel caso di specie la contestazione riguardava il mancato rispetto del principio di competenza con riguardo ai costi per extrabonus corrisposti ai dirigenti in relazione all’anno 1999 e portati in deduzione nel 2000.

  • Con la sentenza n. 19418 del 30 settembre 2015 (ud. 16 giugno 2015) ha affermato che in tema di imposte sui redditi d’impresa, i componenti positivi o negativi che concorrono a formare il reddito possono essere imputati all’anno di esercizio in cui ne diviene certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare, qualora di tali qualità fossero privi nel corso dell’esercizio di competenza” (3484/14), osservando che tale regola mira a “contemperare la necessità di computare tutte le componenti nell’esercizio di competenza con l’esigenza di non addossare al contribuente un onere troppo difficile da rispettare. Quindi essa va interpretata nel senso che il dovere di conteggiare tali componenti nell’anno di riferimento si arresta soltanto di fronte a quei ricavi ed a quei costi che non siano ancora noti all’atto della determinazione del reddito, e cioè al momento della redazione e presentazione della dichiarazione” (19671/13), fermo per contro che i componenti positivi o negativi che concorrono a formare il reddito possono essere imputati all’anno di esercizio in cui ne diviene certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare, qualora di tali qualità fossero privi nel corso dell’esercizio di competenza (3368/13). Nel caso di specie, per la Corte, la sentenza impugnata, allorchè ha escluso la legittimità della ripresa operata in punto di indennizzo per i danni da forzata inattività, ritenendo inappropriata la regolazione di esso in base al principio di competenza, si è attenuta al comando giuridico formulato dall’art. 75 T.U.I.R., affermando che esso “non potesse essere accertato nel suo ammontare nell’anno 2003 in quanto i fattori che concorrono alla determinazione del danno emergente e del lucro cessante non possono essere completamente definibili a priori, ma vanno verificati attraverso la produzione di svariati documenti, fatto che richiede un apprezzabile tempo per la determinazione stessa del danno“.

  • Con la sentenza n. 6332 dell’1 aprile 2016 (ud. 18 dicembre 2015) la Corte di Cassazione ha affermato che che i costi, per essere ammessi in deduzione quali componenti negativi del reddito di impresa, debbono soddisfare i requisiti di effettività, inerenza, certezza, determinatezza (o determinabilità) e competenza (Cass. n. 10167 del 2012; nn. 3258, 12503 e 24429 del 2013; nn. 1565, 13806 e 21184 del 2014; nn. 426, 1011 e 7214 del 2015). Peraltro, dal primo comma della stessa norma – per cui i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, per i quali le precedenti norme del presente capo non dispongono diversamente, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza; tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni – si desume che, in mancanza di diverse disposizioni specifiche, laddove vi sia incertezza nell’an o indeterminabilità nel quantum, il principio di cassa soppianta quello di competenza. In altri termini, i componenti negativi che concorrono a formare il reddito possono essere imputati all’anno di esercizio in cui ne diviene certa l’esistenza – o determinabile in modo obiettivo l’ammontare – qualora di tali qualità fossero privi nel corso dell’esercizio di competenza (Cass. n. 3368 del 2013 citata)”. Per la Corte, dalla prescrizione dell’art. 75 cit., “si desume che, per le spese e gli altri componenti negativi di cui non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare, il legislatore prevede una deroga al principio della competenza, consentendo la loro deducibilità nel diverso esercizio nel quale si raggiunge la certezza della loro esistenza ovvero ammontare (Cass. n. 17568 del 2007)”.

Gli interventi di prassi sul principio di competenza

Sul punto vanno segnalati diversi interventi di prassi che possono essere di ausilio, da un punto di vista pratico, per evitare il rischio della doppia imposizione.

  • Con la circolare n. 23/E del 4 maggio 2010 l’Agenzia delle Entrate ha riconosciuto la deduzione (nel periodo di imposta di effettiva competenza) di costi oggetto di recupero per mancato rispetto del principio di competenza, può essere in ogni caso riconosciuta. “Il diritto al rimborso della maggiore imposta versata con riguardo a un periodo d’imposta antecedente o successivo a quello oggetto di accertamento, decorre dalla data in cui la sentenza che ha affermato la legittimità del recupero del costo non di competenza è passata in giudicato, ovvero dalla data in cui è divenuta definitiva, anche ad altro titolo, la pretesa dell’Amministrazione finanziaria al recupero del costo oggetto di rettifica. Da tale data, infatti, si deve ritenere affermato irrevocabilmente anche il diritto del contribuente a dedurre nel periodo di imposta di effettiva competenza il componente negativo”. L’istanza di rimborso della maggiore imposta versata può essere presentata, ai sensi dell’art. 21, c. 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992, entro due anni dal passaggio in giudicato della sentenza ovvero dalla data in cui è divenuta definitiva, anche ad altro titolo, la pretesa dell’Amministrazione finanziaria al recupero del costo oggetto di rettifica. In nessun caso, ovviamente, potrà accogliersi l’istanza di rimborso del contribuente, qualunque sia la norma invocata, nel caso in cui la pretesa dell’Amministrazione finanziaria al recupero del costo oggetto di rettifica non si sia resa definitiva. Avverso l’eventuale silenzio rifiuto dell’amministrazione è ammesso ricorso, ai sensi dell’art.19 del D.Lgs. n. 546 del 1992, nel termine di prescrizione ordinaria decennale. Il diritto al rimborso dell’imposta indebitamente versata non comporta il venir meno o la rideterminazione delle sanzioni originariamente irrogate per effetto del disconoscimento del costo non di competenza, né degli interessi dovuti.

  • Con la circolare n. 29/E del 27 giugno 2011 l’Agenzia delle Entrate correttamente ritiene di confermare che rientri tra gli atti “ad altro titolo”, –he danno diritto alla presentazione dell’istanza di rimborso, gli atti di accertamento fiscale compresi gli strumenti deflattivi del contenzioso. Afferma testualmente la nota d’agenzia: “il diritto al rimborso di cui trattasi consegue a tutte le ipotesi in cui il rilievo divenga definitivo, e quindi anche nelle ipotesi di accertamento resosi definitivo per mancata impugnazione nei termini o per acquiescenza, nonché nei casi di accertamento con adesione o conciliazione giudiziale”.

  • Con la circolare n. 35/E del 20 settembre 2012 (punto 1.4) il documento di prassi estende i principi contenuti nella citata circolare 23/E del 2010, relativamente ai componenti negativi, “anche alla ipotesi di non corretta imputazione temporale di componenti positivi, ripresi a tassazione dall’ufficio accertatore in un periodo di imposta successivo rispetto a quello in cui gli stessi componenti hanno già concorso alla determinazione del reddito. Ciò in quanto anche in tale ipotesi si realizza un fenomeno di doppia imposizione che deve essere evitato”.

  • Con la circolare n. 31/E del 24 settembre 2013 viene precisato che i principi finalizzati ad evitare che in capo al contribuente si verifichino fenomeni di doppia imposizione, trovano applicazione non solo nell’ipotesi di rettifica da parte degli organi di controllo, ma anche nel caso in cui il contribuente abbia autonomamente rettificato precedenti errori contabili, applicando correttamente i principi contabili.

 

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12 ottobre 2017

Gianfranco Antico