Assegnazione beni ai soci: un caso di abuso del diritto

Segnaliamo un possibile caso di abuso del diritto in sede di assegnazione dei beni ai soci: società che utilizza direttamente l’immobile, intende conferire l’azienda ad una newco costituita dagli stessi soci della società conferente, locargli il bene immobile, assegnare l’immobile ai soci, sciogliersi e assegnare ai soci la partecipazione nella NEWCO SNC.

Assegnazione beni ai soci: un caso di abuso del diritto

(per operazione di conferimento, locazione immobile e assegnazione ai soci)

assegnazione immobile a socioL’Agenzia delle Entrate fornisce chiarimenti, con un proprio documento, in merito alla disciplina sull’abuso di diritto in materia di assegnazione e cessione agevolata di beni ai soci; in particolare le Entrate hanno ritenuto abusiva una serie complessa di operazioni di una società che conferiva l’azienda composta dai soci, locava il bene immobile della nuova società e assegnava il bene ai soci.

Con un interessante documento veicolato nella Risoluzione n. 99/E del 27 luglio 2017, l’Agenzia delle Entrate rispondendo ad una istanza di interpello ha fornito alcuni interessanti orientamenti in merito all’assegnazione agevolata dei soci: è elusivo far rientrare indebitamente un immobile nell’assegnazione agevolata; le operazioni cosiddette circolari realizzano ipotesi di abuso del diritto.

 

Il quesito relativo all’assegnazione e cessione agevolata ai soci

Una società tramite una istanza di interpello ha fatto presente che svolge attività di lavorazione e produzione articoli di pelletteria ed è proprietaria di un immobile strumentale utilizzato come sede dell’impresa.

La Società,

“entro il 30 settembre 2017, vorrebbe avvalersi della possibilità di assegnare (o cedere) il suddetto bene immobile ai soci”

beneficiando della disciplina dell’assegnazione e cessione agevolata ai soci, prevista dalla Legge di Stabilità 2016 (articolo 1, commi da 115 a 120, della legge 28 dicembre 2015, n. 208).

Il problema deriva dal fatto che allo stato attuale l’immobile non rientra nella disciplina agevolativa in esame, in quanto è utilizzato per l’esercizio dell’attività; la società

“intende conferire l’azienda svolgente l’attività di lavorazione e produzione articoli di pelletteria in una NEWCO SNC (costituita dagli stessi soci della Società) alla quale poi concede in locazione l’immobile”.

L’operazione di conferimento

“avviene in regime di neutralità fiscale ai sensi dell’articolo 176 del TUIR poiché la società conferente assume, come valore fiscale della partecipazione, l’ultimo valore fiscalmente riconosciuto dell’azienda conferita”.

In tal modo,

“l’immobile risulta locato alla NEWCO SNC (quindi non più strumentale all’attività) e si può procedere all’assegnazione o cessione agevolata”.

Successivamente all’assegnazione, la Società

“si scioglie senza preventiva messa in liquidazione e la partecipazione nella NEWCO SNC viene assegnata ai soci”.

La società pone il dubbio ai tecnici delle Entrate se tale comportamento vìoli le norme previste dal nuovo articolo 10 bis dello Statuto del Contribuente in tema di abuso del diritto.

La società ritiene che

“le operazioni che si intendono realizzare non costituiscono fattispecie di abuso del diritto. Non si realizza, infatti, un vantaggio fiscale indebito in quanto il risparmio d’imposta è legittimato dal legislatore che ha previsto la possibilità di estromettere dal regime di impresa gli immobili non strumentali a condizioni economiche più vantaggiose rispetto a quelle ordinarie”.

Il contribuente evidenzia, inoltre, che

“si tratta di operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali non marginali (soci vicini alla pensione che intendono tra qualche anno cessare l’attività e vendere l’immobile)”.

 

Concetto di abuso del diritto

L’abuso del diritto consiste nell’utilizzo di singole disposizioni dell’ordinamento giuridico secondo modalità che, pur rispettando la lettera delle specifiche norme utilizzate, portano però a un risultato difforme o addirittura antitetico rispetto ai principi e alle finalità che sottendono all’ordinamento giuridico di cui quelle stesse norme sono parte.

Utilizzato in ambito tributario, l’abuso del diritto consiste dunque nell’utilizzo, anche combinato, delle norme di diritto positivo che disciplinano il sistema fiscale, al fine di ottenere risparmi di imposta che, seppure coerenti rispetto alla lettera delle specifiche norme di riferimento, siano contrari alle logiche e ai principi cui è informato l’intero ordinamento tributario.

La nozione di abuso del diritto, se inquadrata nell’ambito del diritto tributario, viene sostanzialmente a coincidere con quella più comunemente utilizzata di elusione fiscale.

In questo contesto interpretativo, la disciplina antielusiva è l’insieme delle norme che il legislatore fiscale ha espressamente inserito nell’ordinamento tributario, al fine di consentire all’amministrazione finanziaria di difendersi dai comportamenti del contribuente che, pur risultando formalmente legittimi, portano al conseguimento di quegli indebiti vantaggi fiscali che sono propri di chi “abusa del diritto”, appunto per pervenire a risultati difformi o antitetici rispetto a quelli per il cui raggiungimento il sistema giuridico nel suo complesso è posto a presidio.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 2234, del 30 gennaio 2013, ha affermato che in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che trova fondamento nell’art. 37-bis, del DPR 600/1973, secondo il quale l’Amministrazione finanziaria disconosce e dichiara non opponibili le operazioni e gli atti, privi di valide ragioni economiche, diretti solo a conseguire vantaggi fiscali, in relazione ai quali gli organi accertatori emettono avviso di accertamento, applicano ed iscrivono a ruolo le sanzioni di cui all’art. 1, c. 2, del D.Lgs. 472/1997 , comminate dalla legge per il solo fatto di avere il contribuente indicato in dichiarazione un reddito imponibile inferiore a quello accertato, rendendo così evidente come il legislatore non ritenga gli atti elusivi quale criterio discriminante per l’applicazione delle sanzioni, che, al contrario, sono irrogate quale naturale conseguenza dell’esito dell’accertamento volto a contrastare il fenomeno dell’abuso del diritto.

 

Orientamento giurisprudenziale in tema di abuso del diritto in ambito tributario

sentenza corte di cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9610 del 13 aprile 2017, ha affermato che è elusione fiscale il presupposto che sia costituita una società con il solo fine di acquistare un immobile ad uso personale; tale operazione ha come finalità un evidente risparmio di imposta ed è, pertanto, legittimo l’avviso di accertamento.

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, nei confronti di una società in accomandita semplice avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’aprile 2015, riguardante la controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso, ex art. 54 DPR 633/1972, per l’IVA sugli acquisti indebitamente detratta dalla società costituita nel 2003, ed esercente attività di “lavori generali di costruzione e di edifici“, e cancellata nel 2007, a seguito delle sola realizzazione di due unità immobiliari, vendute, nel 2006, ai due unici soci della stessa, in relazione all’anno d’imposta 2005, stante il carattere elusivo dell’attività svolta dalla società, priva di una valida ragione economica e posta al solo scopo di conseguire un risparmio d’imposta.

I giudici della commissione tributaria regionale nel respingere il gravame dell’Agenzia delle Entrate, hanno sostenuto, come già ribadito dai giudici di primo grado, che, essendo necessaria, al fine di integrare l’abuso del diritto, la coesistenza di un indebito vantaggio fiscale, dell’assenza di valide ragioni economiche e dell’utilizzo distorto di strumenti giuridici, nella specie, non ricorrevano i suddetti elementi strutturati, in quanto l’indebito vantaggio fiscale, pari a circa € 10.000,00, non può essere considerato tale a fronte di un operazione durata quattro anni con costi e ricavi superiori ad un milione di euro; inoltre per i giudici del merito erano “perfettamente sussistenti e valide le ragioni economiche poste a base della scelta di fare impresa (chiunque deve poter tentare) e, conseguentemente, lecito l’utilizzo degli strumenti giuridici all’uopo necessari”.

Avverso tale sentenza l’Agenzia delle Entrate è ricorsa in Cassazione.

Nel ricorso in Cassazione l’Agenzia delle Entrate censura la violazione degli artt. 54, 17 e 19 DPR 633/1972 e 2697 c.c., avendo l’amministrazione finanziaria, contrariamente a quanto ritenuto la CTR, fornito elementi sintomatici della condotta abusiva (utilizzare i benefici fiscali derivanti dalla tassazione delle imprese, ai fine di costruire ed acquistare abitazioni personali, avendo la società, nei primi tre anni, sostenuto solo ingenti costi e conseguito, solo nel 2006, ricavi, in misura pressoché pari ai costi, a seguito della cessione degli immobili costruiti ai due soci); il contribuente, sul quale ricadeva l’onere di provare l’esistenza di un contenuto economico dell’operazione diverso dal mero risparmio fiscale, si era limitato a dedurre di avere costituito la società al fine di costruire e rivendere immobili, ma che, essendo rimasti gli appartamenti costruiti invenduti egli era stato costretto ad acquistarli in proprio, con successiva chiusura della società, dopo circa quattro anni, stante l’insuccesso imprenditoriale.

Per la Cassazione la censura è fondata.

Le sezioni unite della Cassazione, anche con riguardo alle imposte dirette, hanno affermato che non può non ritenersi insito nell’ordinamento, come diretta derivazione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale.

La Cassazione, secondo un recente orientamento giurisprudenziale, ha altresì affermato, in punto di onere della prova, che

“costituisce condotta abusiva l’operazione economica che abbia quale suo elemento predominante ed assorbente lo scopo di eludere il fisco, sicché il divieto di siffatte operazioni non opera qualora esse possano spiegarsi altrimenti che con il mero intento di conseguire un risparmio di imposta, fermo restando che incombe, sull’Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo che delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale”.

La Cassazione, in conclusione, nell’accogliere uno dei motivi del ricorso dell’Agenzia delle Entrate cassa la sentenza impugnata con rinvio alla CTR che in diversa composizione si dovrà pronunciare anche in riferimento alle spese del presente giudizio di legittimità.

La risposta delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate osserva preliminarmente che secondo il disposto del comma 1, articolo 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, e successive modificazioni, recante la “Disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale“, affinché un’operazione possa essere considerata abusiva l’Amministrazione Finanziaria deve identificare e provare il congiunto verificarsi di tre presupposti costitutivi:

  1. la realizzazione di un vantaggio fiscale indebito, costituito da “benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario”;
  2. l’assenza di sostanza economica dell’operazione o delle operazioni poste in essere consistenti in “fatti, atti e contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali”;
  3. l’essenzialità del conseguimento di un vantaggio fiscale.

L’assenza di uno dei tre presupposti costitutivi dell’abuso determina un giudizio di assenza di abusività.

Attraverso il successivo comma 3, il legislatore ha chiarito espressamente che non possono comunque considerarsi abusive quelle operazioni che, pur presentando i tre elementi sopra indicati, sono giustificate da valide ragioni extrafiscali non marginali (anche di ordine organizzativo o gestionale che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa o dell’attività professionale).

Per richiedere il parere dell’Agenzia in ordine alla abusività di una determinata operazione o fattispecie, le istanze di interpello, come specificato con la circolare n. 9/E dell’1 aprile 2016, debbono, fra l’altro- indicare:

  • il settore impositivo rispetto al quale l’operazione pone il dubbio applicativo;

  • le puntuali norme di riferimento, comprese quelle passibili di una contestazione in termini di abuso del diritto con riferimento all’operazione rappresentata.

L’Agenzia delle Entrate procede in via prioritaria alla verifica della possibilità di effettuare la valutazione anti abuso richiesta e, in caso affermativo, alla verifica dell’esistenza del primo elemento costitutivo, l’indebito vantaggio fiscale, in assenza del quale l’analisi antiabusiva deve intendersi terminata.

Diversamente, al riscontro della presenza di indebito vantaggio, si proseguirà nell’analisi della sussistenza degli ulteriori elementi costitutivi (assenza di sostanza economica e essenzialità del vantaggio indebito).

Infine, solo qualora si dovesse riscontrare l’esistenza di tutti gli elementi, l’Amministrazione Finanziaria procederà all’analisi della fondatezza e della non marginalità delle ragioni extra fiscali.

Nel caso in esame, occorre ricordare che l’articolo 1, commi da 115 a 120, della legge n. 208 del 2015, ha introdotto un regime fiscale agevolato di carattere temporaneo per consentire l’assegnazione e la cessione agevolata ai soci dei beni immobili diversi da quelli strumentali per destinazione e dei beni mobili iscritti in pubblici registri, nonché per la trasformazione in società semplici delle società che hanno per oggetto esclusivo o principale la gestione dei predetti beni.

L’agevolazione in questione si traduce nella facoltà della società di assegnare o cedere i beni ai soci mediante l’assolvimento di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’Irap pari all’8%, ovvero al 10,5% per le società considerate non operative o in perdita sistematica in almeno due dei tre periodi di imposta precedenti a quello in corso al momento dell’assegnazione.

Nella disciplina dell’assegnazione agevolata vi rientrano i beni immobili diversi da quelli strumentali per destinazione, le cui caratteristiche devono essere verificate nel momento dell’assegnazione .

Il cambiamento di destinazione d’uso anche se effettuato in prossimità della data di assegnazione per acquisire lo status di bene agevolabile è scelta preordinata all’esercizio di una facoltà prevista dal legislatore dalla quale origina un legittimo risparmio di imposta non sindacabile ai sensi dell’articolo 10-bis della legge n. 212 del 27 luglio 2000 (cfr. circolare n. 26/E del 2016).

 

Le conclusioni

L’Agenzia delle Entrate rileva che la Società intende:

  • conferire l’azienda in una NEWCO SNC costituita dagli stessi soci della società conferente;
  • concedere in locazione l’immobile alla NEWCO SNC;
  • assegnare l’immobile ai soci;
  • sciogliersi e assegnare ai soci la partecipazione nella NEWCO SNC.

In sostanza, la società conferitaria svolgerebbe la medesima attività della Società (conferente), nonché sarebbe composta dai medesimi soci e avrebbe la medesima forma giuridica di società in nome collettivo. Il bene immobile sarebbe utilizzato dalla società conferitaria nella medesima attività d’impresa della Società (conferente), con l’unica differenza che proprietari giuridici ne sarebbero i soci e non la società.

I tecnici delle Entrate evidenziano che l’operazione complessiva proposta dalla Società assume profili abusivi, perché consente al bene immobile di poter rientrare indebitamente nella disciplina dell’assegnazione agevolata prevista dall’articolo 1, commi da 115 a 120, della legge n. 208 del 2015.

In particolare, sotto il profilo dell’indebito risparmio d’imposta, le operazioni di conferimento d’azienda, locazione dell’immobile e successiva liquidazione della società conferente appaiono funzionali esclusivamente a far rientrare il bene immobile tra quelli agevolabili, con conseguente tassazione della plusvalenza in capo alla Società assai inferiore rispetto all’imposizione ordinaria.

Il risparmio fiscale conseguito dalla Società è rappresentato dalla tassazione sostitutiva inferiore rispetto a quella ordinariamente prevista con l’operazione di assegnazione dei beni; un risparmio da ritenersi indebito in quanto si pone in contrasto con la disciplina agevolativa in esame, la cui ratio è quella di offrire l’opportunità, tramite l’assegnazione ai soci o anche la trasformazione in società semplice, di estromettere dal regime di impresa i beni immobili diversi da quelli strumentali per destinazione, a condizioni fiscali meno onerose di quelle ordinariamente previste, quegli immobili per i quali allo stato attuale non si presentano condizioni di impiego mediamente profittevoli.

L’Agenzia delle Entrate osserva che la modifica della destinazione dell’immobile, operata strumentalmente con le operazioni di conferimento, locazione alla NEWCO SNC dell’immobile e successiva liquidazione della Società, avviene, quindi, solo formalmente ed è effettuata al solo fine di poter beneficiare della disciplina agevolativa in esame.

Pertanto, si ravvisa un indebito vantaggio fiscale, risultando elusa la ratio della disposizione che intende favorire l’estromissione degli immobili diversi da quelli strumentali per destinazione.

Sotto il profilo dell’assenza di sostanza economica, la fattispecie delineata, ossia il conferimento d’azienda nella NEWCO SNC (conferitaria) composta dai medesimi soci della conferente, la successiva locazione del bene immobile all’impresa conferitaria, l’assegnazione del bene ai soci e lo scioglimento della società conferente , comporterebbe il realizzarsi di una operazione che assume il carattere della circolarità, in quanto il percorso seguito condurrebbe ad un risultato finale sostanzialmente identico al punto di partenza in termini di utilizzo del bene nella medesima attività d’impresa, non potendosi ricondurre l’assegnazione del bene ai soci ad una sostanziale estromissione dal regime d’impresa.

In altri termini, l’operazione delineata comporta che la Società non estrometta, di fatto, il bene immobile nell’attività d’impresa; cosa che avverrebbe, invece, nel caso in cui l’immobile assegnato ai soci non sia di nuovo impiegato nella medesima attività d’impresa dalla società.

Ciò posto, l’intera operazione appare priva di sostanza economica, assumendo la stessa profili di circolarità, poiché per la sua realizzazione manca il soddisfacimento di un interesse economico diverso da quello del perseguimento di un vantaggio fiscale. In merito, la costituzione della NEWCO SNC non è idonea a confutare la circolarità dell’operazione poiché, di fatto, tale società (conferitaria) svolgerebbe la medesima attività della Società (conferente), nonché sarebbe composta dai medesimi soci e avrebbe la medesima forma giuridica di società in nome collettivo.

Con riferimento all’essenzialità del vantaggio fiscale indebito, l’Agenzia delle Entrate evidenzia che l’insieme delle operazioni non è diretta al soddisfacimento di un interesse economico diverso da quello del perseguimento di un vantaggio fiscale. Infatti, nell’operazione in esame non si ravvede altro “vantaggio” se non quello rappresentato complessivamente dal beneficiare di un’imposta sostitutiva inferiore rispetto a quella ordinariamente prevista nei casi di assegnazione di beni.

In definitiva, deve ritenersi che la complessa operazione rappresentata sia abusiva, in quanto risultano integrati tutti gli elementi costitutivi dell’abuso del diritto e non si ravvisano ragioni extrafiscali non marginali a sostegno degli atti prospettati.

 

23 agosto 2017

Federico Gavioli