Un caso di deducibilità dei costi black list

la deduzione dal reddito d’impresa dei costi black list, cioè sostenuti in un paradiso fiscale, è soggetta a forti limitazioni ma se ne può dimostrare l’effettività; un caso reale dalle aule della C.T.P. di Firenze

Commercialista_Telematico_Post_1200x628px_Dichiarazione_RedditiLa Commissione Tributaria Provinciale di Firenze, con la sentenza n. 1397/1/16 del 18.10.2016, ha affrontato il tema della deducibilità dei costi black list.

Nel caso di specie una società farmaceutica aveva impugnato l’avviso di accertamento notificato ai fini IRAP per l’anno 2009.

In seguito ad una verifica fiscale effettuata dalla Guardia di Finanze venivano contestati alcuni costi derivanti da operazioni intercorse tra la società e soggetti residenti in Stati a fiscalità privilegiata, sulla considerazione che essi non sarebbero stati deducibili ai sensi dell’art. 110, c.10, del TUIR, in quanto non risultavano provate le esimenti di cui al comma 11 della stessa norma.

A seguito d’invito da parte dell’Agenzia delle Entrate, la ricorrente forniva la documentazione riguardante ciascuna delle società coinvolte nelle contestazioni, consistenti in certificazioni CERVED, certificazioni degli organi governativi locali, estratti del sito internet, contratti ed altra documentazione ufficiale attestante l’effettivo svolgimento delle prestazioni fatturate.

L’Ufficio, tuttavia, non valutava positivamente tale produzione e con l’avviso di accertamento impugnato, recepiva il contenuto del PVC ed affermava che i costi sostenuti dalla ricorrente per le transazioni in questione non erano deducibili ai fini IRAP per un maggior imponibile di € 221.708,00.

Più in particolare, l ‘Ufficio assumeva come indeducibili dalla base imponibile IRAP, i costi derivanti da operazioni intercorse con soggetti aventi sede in paesi black list e cioè Isola di Jersey, Hong Kong, Malaysia…

La ricorrente adduceva quindi a sostegno della propria difesa, di aver dato dimostrazione di entrambe le esimenti indicate dalla normativa in materia di costi da black list e pertanto chiedeva l’annullamento dell’atto impugnato con condanna dell’Ufficio alla refusione delle spese di lite.

La Commissione ha ritenuto il ricorso meritevole di accoglimento, rilevando che l’applicabilità del divieto di cui all’art. 110, c. 10, è esclusa dal comma 11, dello stesso articolo qualora ricorrano due esimenti fra loro alternative e cioè nel caso in cui le imprese residenti forniscano la prova o che le imprese domiciliate fiscalmente all’estero svolgevano prevalentemente un’attività commerciale effettiva (prima esimente), oppure che le operazioni rispondono ad un interesse economico effettivo e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione (seconda esimente).

Nel caso di specie, ad avviso dei giudici, non vi era dubbio che le operazioni contestate avevano avuto una concreta esecuzione.

A dimostrazione di ciò era del resto stata allegata ampia ed esaustiva documentazione che faceva fede circa l’effettiva esecuzione delle operazioni.

La ricorrente aveva poi dimostrato anche la presenza di un effettivo interesse economico ad effettuare tali operazioni.

Al fine infatti di assicurarsi i servizi di promozione farmaceutica nel vasto territorio dei paesi dell’area dell’Africa francofona, la società ricorrente aveva la necessità di disporre di un soggetto di riferimento che fosse dotato di un’articolata rete di informatori scientifici e che conoscesse le normative ed i regolamenti necessari ad ottenere le autorizzazioni amministrative richieste per svolgere tale tipo di attività in conformità con le legislazioni vigenti nei paesi africani.

A tal fìne la ricorrente si era per esempio rivolta ad una società residente nelle Isole del Canale, dotata di una ampia struttura di informatori scientifici del farmaco, che operavano nei nove stati dell’Africa francofona e che svolgeva effettiva attività commerciale nel settore farmaceutico.

Una tale circostanza, inoltre, secondo la CTP, provava anche l’effettivo interesse economico della società ad avvalersi di questo modello di business, che garantendo un unico referente per la promozione dei farmaci in nove paesi diversi, permetteva alla ricorrente di aggredire il mercato africano con costi contenuti.

I rapporti con la società del Canale si erano peraltro interrotti nel 2010, allorchè era stato individuato un nuovo partner commerciale in una società del Burkina Faso.

E nell’anno contestato (2009) i costi addebitati dalla società con sede nell’isola del Canale erano stati comunque inferiori rispetto a quelli riguardanti le altre annualità e più convenienti di quelli che, dal 2010, aveva poi addebitato la società del Burkina Faso per la stessa attività del medesimo settore geografico.

Infine quanto alla questione riguardante lo svolgimento prevalente di attività commerciale effettiva era lo stesso Ufficio che, presa in esame la documentazione probatoria presentata dalla ricorrente, dava atto che dalla documentazione prodotta emergeva lo svolgimento di attività di informazione scientifica e che dunque era incontestabile che la società estera svolgesse una effettiva attività commerciale.

La Commissione osservava infine che la ricorrente, dovendo distribuire prodotti farmaceutici in Malesia, Corea del Sud e Cina etc, doveva gioco forza affidarsi a partners locali, i quali, residenti sul territorio, erano in grado di offrire servizi che soltanto un soggetto ben radicato nel tessuto economico del Paese avrebbe potuto eseguire in maniera efficace.

Si evidenzia comunque che la Commissione Tributaria Provinciale non ha preso in considerazione la questione relativa agli effetti della nuova disciplina in tema di black list, come recentemente modificata con la Legge di Stabilità 2016.

L’art. 5, comma 1, del D.Lgs 147/2015, con effetto dal 2015, aveva peraltro già stabilito che i costi di cui trattasi, purché afferenti operazioni effettive, erano da considerarsi deducibili nei limiti del valore normale dei beni acquistati, salva la prova dell’effettivo interesse economico conseguito dal soggetto passivo IRES, laddove poi l’art. 1, comma 142, della L 208/2015 ha infine del tutto abrogato l’art. 110 commi 10-12 bis, con effetto dal 2016, dovendo quindi ora i costi in questione essere considerati deducibili secondo i criteri generali ex art. 109 TUIR.

Con il decreto legislativo n. 158 del 2015 erano state inoltre apportate modifiche anche relativamente all’entità delle sanzioni tributarie, laddove, in particolare, la sanzione per infedele dichiarazione era stata ridotta dal 90% al 180% dell’imposta dovuta, mentre prima era stabilita in misura del 100% al 200% dell’imposta.

Il dato testuale normativo è in ogni caso inequivocabile e non consente applicazioni retroattive delle discipline normative sostanziali successivamente intervenute.

Quanto invece alle disposizioni del decreto legislativo n. 158 del 2015, la riforma del sistema sanzionatorio, in senso più favorevole al contribuente, dovrebbe in effetti comunque trovare applicazione anche per le violazioni commesse anteriormente, in attuazione del principio del favor rei.

L’estensione di nuove misure sanzionatone anche ai fatti anteriori, del resto, è stata espressamente prevista dall’Agenzia delle Entrate, con la Circolare n. 4/E del 4 marzo 2016, proprio relativamente alle violazioni commesse anteriormente al decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158.

 

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22 giugno 2017

Giovambattista Palumbo