Non sono dovute le sanzioni e gli interessi per il contribuente che si adegua alla prassi dell’Amministrazione Finanziaria, successivamente oggetto di modifica

le circolari ministeriali in materia tributaria non costituiscono fonte di diritti e obblighi, per cui, ove il contribuente si sia conformato a un’interpretazione erronea fornita dall’Amministrazione finanziaria, è esclusa l’irrogazione delle relative sanzioni e degli interessi

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12635 del 19 maggio 2017, è tornata a pronunciarsi sul principio di affidamento contenuto nello Statuto dei diritti del contribuente e sulle conseguenze giuridiche in relazione a comportamenti del contribuente che si sia adeguato a posizioni espresse in circolari dell’Amministrazione Finanziaria, successivamente oggetto di modifica.

Con la pronuncia in esame, la Suprema Corte ha ribadito che le circolari ministeriali in materia tributaria non costituiscono fonte di diritti e obblighi, per cui, ove il contribuente si sia conformato a un’interpretazione erronea fornita dall’Amministrazione finanziaria, è esclusa soltanto l’irrogazione delle relative sanzioni e degli interessi, senza alcun esonero dall’adempimento dell’obbligazione tributaria.

In merito, la Cassazione ha ripreso consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “il legittimo affidamento del contribuente comporta, ai sensi della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, commi 1 e 2, l’esclusione degli aspetti sanzionatori, risarcitori ed accessori conseguenti all’inadempimento colpevole dell’obbligazione tributaria, ma non incide sulla debenza del tributo, che prescinde del tutto dalle intenzioni manifestate dalle parti del rapporto fiscale, dipendendo esclusivamente dall’obiettiva realizzazione dei presupposti impositivi” (cfr Cassazione nn. 10195/2016, 5934/2015).

Soffermandoci sulle richiamate disposizioni dello Statuto del Contribuente, si evidenzia che l’art. 10 (contenente un principio intimamente connesso con le previsioni normative a tutela della chiarezza, trasparenza e certezza dei rapporti tra contribuente e Fisco) prevede che questi devono essere improntati alla collaborazione e buona fede.

Il principio di buona fede è desumibile dall’art. 1337 c.c., in ragione del quale il comportamento delle parti deve rispettare la regola generale di correttezza della condotta e, pertanto, la generalità dei rapporti tra soggetto pubblico e soggetto privato deve svolgersi nel rispetto della trasparenza ed imparzialità dell’azione amministrativa e della collaborazione e buona fede del privato cittadino.

Ai sensi del comma 2 dell’art.10 di cui sopra, non sono irrogate sanzioni nè richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’Amministrazione Finanziaria, ancorchè successivamente modificate dall’amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell’amministrazione stessa.

L’Amministrazione Finanziaria (attraverso note, circolari, risoluzioni, telegrammi, pubblicazioni…) pone in essere un’importante attività di coordinamento, armonizzazione ed interpretazione che, sebbene abbia una efficacia vincolante meramente interna nei confronti degli uffici gerarchicamente sottoordinati, in concreto condiziona l’attività posta in essere da tutti quei soggetti che intervengono nel rapporto giuridico d’imposta quali gli organi accertatori, le Commissioni Tributarie, le categorie professionali e gli stessi soggetti passivi dell’obbligazione tributaria. Pertanto, a tutela dell’affidamento e della buona fede del contribuente, ed anche a garanzia della certezza delle norme disciplinanti il rapporto d’imposta, si prevede la non applicabilità di sanzioni né di interessi moratori in capo al contribuente che abbia adeguato il proprio comportamento fiscale all’interpretazione fornita dall’Amministrazione Finanziaria tramite i propri atti di cui sopra e successivamente modificata dal legislatore attraverso una norma di interpretazione autentica.

L’art. 10 prevede, altresì, al comma 3 che le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria o quando si traduce in una mera violazione formale senza alcun debito di imposta. Tale disposizione ha un’importanza fondamentale dal momento che, come sottolineato dalla stessa Corte Costituzionale con la sentenza n. 392 del 16 novembre 1993, sussiste una estrema difficoltà di comprensione della normativa tributaria alla luce dell’instabilità e mutevolezza caratterizzanti tale settore, troppo spesso connotato da un difetto endemico di coordinamento ed organicità.

Partendo, quindi, dalla stessa giurisprudenza costituzionale, è necessario evidenziare il fatto che il diritto tributario rappresenta il comparto normativo caratterizzato dai maggiori elementi di incertezza, quali ad esempio l’eccessiva e frenetica produzione di leggi, regolamenti, circolari e risoluzioni oltre alla mancata coordinazione degli orientamenti amministrativi, spesso poco chiari; a questa situazione si deve aggiungere la presenza di non uniformi orientamenti giurisprudenziali e la insita difficoltà della normativa fiscale ad adattarsi tempestivamente alle non stabili soluzioni applicative che si concretizzano nelle pratiche finanziarie e commerciali. Nel comparto amministrativo non sempre è possibile stabilire se una determinata applicazione di una norma sia scorretta, in quanto non è facile individuare con certezza la disposizione tributaria applicabile al caso concreto.

Conscio di tali problematiche il legislatore fiscale ha codificato da tempo specifiche disposizioni, aventi una funzione scusante e, quindi, impeditiva dell’applicazione delle relative sanzioni, in presenza di situazioni di obiettiva incertezza della normativa fiscale. Soprattutto nell’ambito dell’applicazione delle penalità di carattere amministrativo, sono da tempo conosciuti i problemi che si manifestano sul piano della concreta configurabilità della colpevolezza a seguito dell’inadempimento degli obblighi fiscali in conseguenza di interpretazioni normative non condivise dall’Amministrazione.

In particolare:

  • il decreto ministeriale 1 settembre 1931, emanato in attuazione dell’articolo 63 della legge 7 gennaio 1929 n.4 , abrogato dall’articolo 329 del decreto legislativo 472 del 1997, stabiliva che, nel settore delle imposte indirette, “può essere consentito l’abbandono totale delle pene pecuniarie quando le violazioni si riferiscono a casi di dubbia applicazione di tributi e come tali riconosciuti dall’Amministrazione Centrale”;

  • l’articolo 15 del regio decreto 17 settembre 1931, n. 1608, disponeva la non applicabilità della sanzione in capo ai soggetti obbligati alla presentazione della dichiarazione nel caso in cui l’esistenza del reddito era “fondatamente contestabile”. Tale norma è stato oggetto di estensione per il tramite del Testo Unico n.645 del 22 gennaio 1958, poiché si è prevista l’inapplicabilità delle sanzioni nel caso di omessa, tardiva ed incompleta dichiarazione, se i relativi obblighi erano fondatamente contestabili “per obiettiva incertezza sull’esistenza dei presupposti dell’obbligazione tributaria”;

  • l’ultimo comma dell’articolo 48 del D.P.R. n. 633/1972 disponeva, in modo analogo all’articolo 55 del D.P.R. n. 600/1973, che: “Gli organi del contenzioso tributario possono dichiarare non dovute le pene pecuniarie quando la violazione è giustificata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce”;

  • l’articolo 6 del decreto legislativo 18 dicembre 1997 n. 472 individua opportunamente una serie di “cause di non punibilità”, le quali escludono automaticamente, ed a seconda dei casi, la responsabilità o la punibilità dell’autore quando la violazione della normativa tributaria è dovuta a: errore sul fatto, quando l’errore non sia determinato da colpa (primo comma); obiettive condizioni di incertezza sulla portata dell’ambito applicativo delle disposizioni, nonché all’indeterminatezza delle richieste di informazioni o dei modelli della dichiarazione e per il pagamento(secondo comma); mancato pagamento per fatto denunciato all’Autorità Giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi(terzo comma); ignoranza inevitabile della legge tributaria(quarto comma); forza maggiore (quinto comma).

    Tali disposizioni assumono importanza rilevante poiché si è estesa la potestà di disapplicazione delle sanzioni, in caso di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono le violazioni, non solo al giudice tributario ai sensi dell’articolo 8 del decreto legislativo n. 546 del 1992, ma anche all’Amministrazione Finanziaria e al giudice ordinario. A tal proposito, infatti, la Circolare del Ministero delle Finanze n. 180 E del 10 luglio 1998 sottolinea che: “La previsione riprende il contenuto dell’art. 8 del D.Lgs. n. 546 del 1992 e di altre settoriali disposizioni già presenti nell’ordinamento, ma abbraccia un ambito più vasto, attribuendo il potere di non applicare le sanzioni, oltre che al giudice tributario, anche agli uffici e al giudice ordinario (anche fuori dai casi nei quali questi opera come giudice dell’impugnazione nell’ambito del processo speciale tributario) e con riferimento a fattispecie ulteriori rispetto a quelle in precedenza contemplate. Esprime quindi una disciplina generale ed organica della materia capace di sostituirsi a tutte le disposizioni previgenti (art. 15 delle Disposizioni sulla legge in generale)”;

  • l’art.15 del D.Lgs. 20 marzo 2000 nr.74, in materia di reati tributari riferiti alle imposte dirette e all’imposta sul valore aggiunto, prevede la non punibilità per le violazioni derivanti dall’applicazione di norme tributarie in merito alla cui applicazione sussistono obiettive condizioni di incertezza;

  • l’art. 16 del D.Lgs. nr.74/2000 prevedeva, altresì, la non punibilità del contribuente che si sia conformato al parere reso dal Comitato antielusivo (abrogato dal D.Lgs. n. 158/2015).

Per quanto concerne le disposizioni processuali, il previgente articolo 39-bis del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, introdotto dal D.P.R. 3 novembre 1981 n. 739, ed ora l’articolo 8 del decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546, attribuiscono agli organi giurisdizionali tributati il potere-dovere di disapplicare le sanzioni non penali, relative a tutti i tributi rientranti nella competenza delle Commissioni Tributarie, nel momento in cui sussistono obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito applicativo delle disposizioni fiscali alle quali si riferisce la violazione. Le sentenze della Corte di Cassazione n. 2979 del 10 aprile 1990, n. 7154 del 6 luglio 1990, n. 6951 del 23 giugno del 1993, n. 6256 del 11 marzo 1994, n. 2820 del 11 gennaio 1995, nella vigenza dall’articolo 39-bis, ora sostituito dall’articolo 8 del decreto legislativo 546 del 1992, hanno riconosciuto la rilevabilità d’ufficio di tale esimente, poiché in tal caso non può essere applicato il principio del nec ultra petita; infatti, la circolare n. 98/E del 23 aprile 1986 del Ministero delle Finanze afferma che: “l’incertezza interpretativa può essere rilevata dal giudice anche se non adita in giudizio dal contribuente”.

Il concetto di obiettiva condizione di incertezza non è codificato nel nostro ordinamento ma è possibile desumerne la portata attraverso il ricorso alle posizioni giurisprudenziali ed alla prassi amministrativa. In riferimento all’articolo 8 del decreto legislativo n. 546 del 1992 la circolare ministeriale n. 98/E del 23 aprile 1996 ritiene che: “deve trattarsi di incertezza oggettiva- come, ad esempio, nei casi di divergenze di contenuto tra atti ufficiali dell’amministrazione-non anche di incertezza derivante da condizioni soggettive del ricorrente”. Il ministero, attraverso la Circolare n. 180/E del 10 luglio 1998,ha chiarito la portata dalla previsione in esame precisando che: “Si deve reputare che sussista incertezza obiettiva di fronte a previsioni normative equivoche, tali da ammettere interpretazioni diverse e da non consentire, in un determinato momento, l’individuazione certa di un significato determinato. Una tale situazione, non infrequente rispetto alle norme tributarie assai spesso complesse e non univoche, si può verificare, ad esempio, in presenza di leggi di recente emanazione rispetto alle quali non si sia formato un orientamento interpretativo definito, ovvero coesistano orientamenti contraddittori.”

In merito alla portata dell’esimente dell’obiettiva incertezza sono individuabili in dottrina due principali e distinti orientamenti; il primo, definito “oggettivistico”, ritiene necessario che l’incertezza sia generale, concreta ,riscontrabile e ben determinata, in modo che ogni soggetto, nel momento di applicazione della norma, sia costretto a riconoscerne l’impossibilità di una spedita comprensione oltre alla difficoltà di trarre dalla stessa utili indicazioni circa la propria sfera applicativa. Il giudice deve limitarsi a verificare l’esistenza di un nesso di causalità diretto ed immediato tra tale carattere di incertezza e la violazione realizzata, in conseguenza di una valutazione avente ad oggetto esclusivamente la norma, al fine di stabilire se questa possa essere definita di incerta portata ed applicazione. Il secondo orientamento, definito “soggettivistico”, ritiene che non si può prescindere da una adeguata tutela della buona fede del singolo e dell’affidamento dello stesso circa un’interpretazione considerata verosimile; l’accertamento della condizione di obiettiva incertezza della norma fiscale, quindi, dovrebbe tener conto anche delle particolari condizioni soggettive personali che possano aver viziato il procedimento di formazione della comprensione della disposizione violata.

Sia da parte della dottrina che della giurisprudenza sono stati profusi sforzi tesi all’individuazione di criteri che consentono di individuare la condizione di obiettiva incertezza della norma tributaria. Dall’analisi delle principali trattazioni esistenti sul punto, possono essere individuate le seguenti situazioni: esistenza di precedenti pronunce giurisprudenzali in contrasto fra loro o che siano favorevoli al comportamento del contribuente, ovvero in contrasto con l’orientamento formulato, per il medesimo oggetto, dall’Amministrazione Finanziaria; orientamenti amministrativi poco chiari, contraddittori o fra loro in contrasto ovvero inesistenza di orientamenti ed indicazioni da parte dell’Amministrazione Finanziaria; riconoscimento dell’incertezza della norma interpretata da parte del legislatore attraverso una norma di interpretazione autentica; dubbi interpretativi in merito a novità legislative; formulazione ambigua, equivoca o comunque contraddittoria della norma ovvero norme in contrasto tra loro; conformità del comportamento del contribuente alle circolari dell’amministrazione ovvero alle indicazioni fornite da quest’ultima; opinioni dottrinali in contrasto o favorevoli alla soluzione adottata dal contribuente; mutamenti d’indirizzo dell’amministrazione rispetto a posizioni precedentemente espresse.

Alcune importanti statuizioni giurisdizionali hanno individuato determinati casi specifici ritenuti idonei ad impedire l’applicazione delle sanzioni amministrative alle violazioni conseguenti a situazioni di obiettiva incertezza normativa.

Le sentenze della Cassazione, sez. trib., 20 maggio 2002, n.17515 e n.13482 del 30 ottobre 2001, oltre alla sentenza n. 2136 della Commissione tributaria centrale, Sezioni Unite, 11 febbraio 1976, hanno ritenuto sussistente la condizione di non applicabilità della sanzione amministrativa per obiettiva condizione di incertezza in presenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, i quali valgono, dunque, al fine di escludere l’applicazione della sanzione non penale conseguente alla violazione commessa dal contribuente. La sentenza della Commissione tributaria centrale, sez. XXIV, 25 marzo 1981, n. 1169 e la sentenza n. 4060 del 30 aprile 1992 della sez. XXVI del medesimo organo, hanno riconosciuto sussistente tale condizione in presenza di comportamenti, atti o interpretazioni contraddittorie dell’Amministrazione Finanziaria. Ulteriore condizione è individuabile nella sopravvenuta emanazione di modifiche normative necessarie per superare un pregresso stato di incertezza come evidenziato dalla sentenza n. 7463, 11 novembre 1991 della Commissione tributaria centrale.

Tale condizione è stata, inoltre, riconosciuta nel caso dell’emanazione di nuove disposizioni particolarmente complesse a modifica di una differente e pregressa regolamentazione dalla sentenza n. 8054, del 12 settembre 1984 della Commissione tributaria centrale, sez. XVI. La giurisprudenza in alcuni casi ha abbracciato un’impostazione di tipo soggettivistica, dando rilevanza anche alle condizioni personali dell’agente (ad esempio le sentenze n. 281 del 14 gennaio 1989 e n. 3922 del 28 febbraio 1992 della Commissione tributaria centrale); in altri casi ha quasi del tutto escluso ogni rilevanza alle difficoltà soggettive del contribuente nell’attività di comprensione e di applicazione delle disposizioni violate, abbracciando un’impostazione oggettivistica (ad esempio le sentenze del 21 febbraio, n.1298, e del 27 maggio 1983 della Corte di Cassazione).

In conclusione si ritiene utile fare riferimento alle considerazioni contenute nella sentenza n. 11233 del 23 agosto 2001, Cass.Civ., Sez. V: “in tema di sanzioni amministrative per violazione delle norme tributarie, pur dovendosi escludere che ad integrare un’obiettiva incertezza sulla portata di una norma sia sufficiente di per sé una sua formulazione letterale in modo non assolutamente chiaro ovvero l’assenza nell’esegesi della medesima di un orientamento giurisprudenziale , al quale il destinatario del precetto possa conformare la propria condotta (ed infatti è in ogni caso onere dello stesso la ricerca dell’interpretazione più conforme alla lettera ed alla ratio legislativa), l’errore assume sicuramente rilievo, al fine della dichiarazione di non applicabilità delle sanzioni non penali previste delle leggi tributarie, quando la disciplina normativa si articoli in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità del loro contenuto derivante da elementi positivi di confusione”.

L’art.10 dello Statuto del Contribuente prevede, altresì, l’insanzionabilità delle violazioni meramente formali e, quindi, di quelle violazioni che non incidono sulla determinazione della base imponibile, sull’imposta e sul versamento del tributo, né tantomeno sulle azioni di controllo da parte degli organi dell’Amministrazione Finanziaria.

Tale principio è stato recepito nel diritto punitivo tributario amministrativo tramite l’art. 7 del D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32 che, nel modificare l’art.6 del D.Lgs. n. 472/1997, ha previsto che non sono punibili le violazioni che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo.

21 giugno 2017

Nicola Monfreda e Serena Aveta