Interruzione del processo per cancellazione del difensore dall'albo professionale

la Cassazione ha sciolto il dubbio sugli effetti della notifica dell’atto di impugnazione eseguita nei confronti del difensore volontariamente cancellatosi dall’albo prima della notifica medesima, ma dopo il deposito della sentenza impugnata, e sulla idoneità (o meno) del medesimo atto alla instaurazione di un valido contraddittorio e all’impedimento del passaggio in giudicato della sentenza impugnata.

Le Sezioni Unite Civili hanno sciolto il dubbio sugli effetti della notifica dell’atto di impugnazione eseguita nei confronti del procuratore domiciliatario volontariamente cancellatosi dall’albo prima della notifica medesima, ma dopo il deposito della sentenza impugnata, ovvero sulla idoneità (o meno) del medesimo atto alla instaurazione di un valido contraddittorio e all’impedimento del passaggio in giudicato della sentenza impugnata.

La decisione n. 3702 del 13 febbraio 2013 è giunta alla conclusione (che si spiegherà a breve) dopo aver ripercorso anche l’assetto del previgente codice di rito e dei lavori preparatori di quello del 1940.

Da molti decenni, intorno alla fattispecie prospettata, si erano formati tre indirizzi interpretativi.

Il primo propendeva per l’inesistenza della notifica (Cass. SS.U. n. 935/68; Cass., sez. 2, 06.06.1969, n. 1986; Cass., sez. 3’, 25.09.1979, n. 4946; Cass., sez. 3’, 18.09.1986, n. 5676; Cass. SS.UU 21.11.1996, n. 10284; Cass., sez. 3’, 22.04.1997, n. 3468; Cass., sez. 1’, 17.07.1999, n. 7577; Cass., sez. 2’, 05.10.2001, n. 12294; Cass., sez. 2’, 06.03.2003, n. 3299; Cass., sez. 1’, 20.01.2006, n. 1180; Cass., sez. L, 21.09.2011, n. 19225; Cass., sez. 3’, 11.06.2014, n. 13244), osservando l’impossibilità di ulteriore esercizio della professione forense da parte del difensore non (più) iscritto all’albo (carente, per questo, di ius postulandi) e l’ inapplicabilità del principio di ultrattività del mandato , con contestuale necessità di garantire il rispetto del diritto di difesa (art. 24 Cost.) e al contraddittorio (art. 111 Cost.) della parte rappresentata dal difensore cancellatosi dall’albo.

La seconda chiave di lettura, fornita dal giudice di legittimità, era quella della nullità della notifica dell’atto di impugnazione (Cass. n. 12478/13; Cass. n. 9528/09; Cass. n. 27450/05; Cass. n. 11360/99); secondo questo pensiero, le notificazioni eseguite nei confronti di un procuratore, non più legittimato all’esercizio della professione, erano da ritenersi viziate, siccome non rispondenti alla previsione normativa di cui all’art. 330 c.p.c., in quanto indirizzate ad un soggetto non più abilitato a riceverle; pur tuttavia, tale giurisprudenza rilevava altresì che lo scostamento rispetto alle previsioni normative non è sempre causa di inesistenza dell’atto, dovendosi distinguere tra notificazioni inesistenti e nulle, con la conseguenza che doveva tenersi conto della circostanza che il domiciliatario cancellatosi volontariamente dall’albo non è un soggetto totalmente estraneo ma, proprio per il ruolo originariamente rivestito, è certamente collegabile al destinatario dell’atto; a conclusione di questa indagine, il medesimo indirizzo affermava che le notificazioni eseguite nei confronti del domiciliatario cancellatosi dall’albo erano, pertanto, nulle e non inesistenti, cosicché il vizio della notificazione dell’atto di gravame poteva essere sanato, con efficacia retroattiva, dalla costituzione volontaria dell’appellato o dando tempestivamente seguito all’ordine di rinnovazione della notifica medesima, ex art. 291 c.p.c..

La terza tesi, seguita in giurisprudenza, considerava invece addirittura valida siffatta notifica (Cass. n. 10301/12, Cass. n. 12261/09, Cass. n. 8054/04, Cass. n. 3142/04, Cass. n. 5197/99 e Cass. n. 13282/99); detto orientamento, ritenendo estranea la fattispecie alle ipotesi di applicazione dell’art. 301 c.p.c., c. 1, (che letteralmente cita ipotesi diverse, tutte accomunate dall’essere la perdita dello ius postulandi effetto non di un’azione volontaria, ma d’un evento esterno alla volontà dell’avvocato e da lui non controllabile), osservava che la cancellazione volontaria dall’albo produce, quale effetto indiretto, la rinuncia da parte dell’avvocato allo ius postulandi di cui dispone, in concreto, per tutti i propri clienti mandanti e, dunque, in ultima analisi, la rinuncia a tutti i mandati conferitigli; alla luce di queste premesse, soccorreva (sempre ad avviso di tale fronte giurisprudenziale) l’applicazione, sia pure sotto il solo lato passivo del potere di rappresentanza (vale a dire sotto il profilo della ricezione degli atti indirizzati alla parte rappresentata), del combinato disposto dell’art. 85 c.p.c., e art. 301 c.p.c., c. 3.

Ebbene , alla luce di questo triplice assetto esegetico, le Sezioni Unite hanno espresso questi principi di diritto.

  • La notifica dell’atto d’appello eseguita al difensore dell’appellato che, nelle more del decorso del termine di impugnazione, si sia volontariamente cancellato dall’albo professionale, non è inesistente – ove il procedimento notificatorio, avviato ad istanza di soggetto qualificato e dotato della possibilità giuridica di compiere detta attività, si sia comunque concluso con la consegna dell’atto – ma nulla per violazione dell’art. 330 c.p.c., comma 1, in quanto indirizzata ad un soggetto non più abilitato a riceverla, atteso che la volontaria cancellazione dall’albo degli avvocati importa per il professionista la simultanea perdita dello ius postulandi tanto nel lato attivo quanto in quello passivo.

  • Tale nullità della notifica – ove non sia stata sanata, con efficacia retroattiva, mediante sua rinnovazione dando tempestivamente seguito all’ordine ex art. 291 c.p.c., comma 1, o grazie alla volontaria costituzione dell’appellato – importa nullità del procedimento e della sentenza d’appello, ma non anche il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, giacchè l’art. 301 c.p.c., comma 1, deve ricomprendere tra le cause di interruzione del processo, secondo interpretazione costituzionalmente conforme in funzione di garanzia del diritto di difesa, anche l’ipotesi dell’avvocato che si sia volontariamente cancellato dall’albo, con l’ulteriore conseguenza che il termine di impugnazione non riprende a decorrere fino al venir meno della causa di interruzione o fino alla sostituzione del difensore volontariamente cancellatosi“.

Il supremo collegio di nomofilachia confuta così quello che finora si era rivelato come il prevalente orientamento giurisprudenziale, arroccato intorno alla circostanza che, neanche la cancellazione dall’albo di un procuratore poteva individuarsi come utile a determinare l’interruzione del processo, non essendo la suddetta cancellazione prevista nell’art. 301 c.p.c. tra gli eventi che producono tale effetto.

Il responso è destinato a svolgere effetti anche nel processo tributario; del resto, la pronuncia qui scrutinata si manifesta sostanzialmente conforme con quanto argomentato dallo stesso giudice di ultima istanza , e nell’ambito di una lite tributaria, con la sent. n. 19325/20111; con tale arresto si osservava, infatti, che la notificazione dell’atto di appello tributario presso lo studio dell’avvocato, domiciliatario del contribuente, cancellato dall’albo professionale, non è inesistente ma deve considerarsi piuttosto affetta da nullità, sanabile anche mediante la costituzione in giudizio della parte intimata, in quanto eseguita in un luogo avente un riferimento con il destinatario dell’atto.

Notoriamente si distingue il caso della cancellazione c.d. volontaria dall’albo, da quella che consegua ad un provvedimento autoritativo o sia conseguenza di una incompatibilità.

Anche in questo caso non vi è univocità di pensiero da parte della giurisprudenza di legittimità. Nel 2012, i giudici di piazza Cavour (scrutinando appunto il tema della cancellazione del difensore dall’albo professionale per motivi disciplinari e delle conseguenze sul procedimento in corso) concludeva a favore dell’interruzione automatica del processo a far data dal provvedimento di cancellazione disciplinare, analogamente alle ipotesi di radiazione e sospensione del difensore ai sensi dell’art. 301 c.p.c. (Cass. civ. Sez. III, 31 gennaio 2012, n. 1355).

Detto verdetto si collocava in quello che appare l’indirizzo maggioritario (ex plurimis Cass. Civ., 17 dicembre 2010, n. 25641 tra i due ulteriori fronti giurisprudenziali accennati) e che concentra la propria conclusione sul fatto che la cancellazione del difensore dall’albo professionale per motivi disciplinari (e quindi non volontaria) è figura assimilabile alla radiazione e sospensione e, come tale, riconducibile anch’essa, in virtù di un’interpretazione estensiva, agli eventi interruttivi di cui all’art. 301 c.p.c..

L’altro orientamento, quello praticamente minoritario (Cass., 11 dicembre 1950, n. 2708, in Mass. Giur. It., 1950, 654), invece, si appella alla tassatività delle cause di interruzione, nega efficacia interruttiva alla cancellazione del difensore dall’albo professionale ancorché non dipesa da motivi volontari.

15 giugno 2017