Il vecchio accertamento sintetico era una presunzione legale

il vecchio redditometro continua ad occupare le aule di giustizia: secondo la Cassazione tale tipo di accertamento sintetico si basava su una presunzione legale ed invertiva l’onere della prova a carico del contribuente

Con l’ordinanza n. 11973 del 12 maggio 2017, la Corte di Cassazione, tornando ad occuparsi del vecchio accertamento sintetico, ha ribadito che si trattava di una presunzione legale, pur se relativa, sgombrando il campo dalle tesi che conducevano ad una presunzione semplice.

Il fatto oggetto della pronuncia

La Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna ha respinto l’appello proposto dal contribuente avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Bologna che ne aveva rigettato parzialmente il ricorso contro l’avviso di accertamento.

La CTR osservava, in particolare, che “trattandosi di accertamento sintetico basato sul ‘redditometro’ secondo la presunzione legale relativa prevista dall’art. 38, d.P.R. 600/1973, l’Ente impositore aveva fornito prova adeguata degli ‘indici presuntivi’ di maggior reddito, mentre la contribuente non aveva fatto altrettanto in assolvimento del proprio onere di prova contraria”.

Per la Corte, “Anzitutto va ribadita la natura ‘legale’ ancorchè relativa della presunzione de qua (cfr. da ultimo Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 17487 del 01/09/2016). In secondo luogo si deve poi anche dare seguito al principio che «In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali ed il contribuente deduca che tale spesa sia il frutto di liberalità, ai sensi dell’art. 38, comma 6, del d.P.R. n. 600 del 1973, (applicabile ‘ratione temporis’), la relativa prova deve essere fornita dal contribuente con la produzione di documenti, dai quali emerga non solo la disponibilità all’interno del nucleo familiare di tali redditi (nella specie, da parte della madre, titolare di maggiore capacità economica), ma anche l’entità degli stessi e la durata del possesso in capo al contribuente (nella specie, il figlio) interessato dall’accertamento» (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 1332 del 26/01/2016, Rv. 638740)”.

Brevi riflessioni

Nel vigore del vecchio strumento, abbiamo sempre sostenuto che il redditometro dava luogo ad una presunzione legale ai sensi dell’art. 2729 c.c., poichè è lo stesso dettato normativo che impone di ritenere come diretta conseguenza di determinati fatti noti (la disponibilità di beni o servizi) il fatto ignoto (capacità contributiva).

Il giudice tributario, quindi, una volta constatata la sussistenza degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” accertati dall’ufficio, non ha il potere di negare a tali “elementi” la capacità presuntiva “contributiva” che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, dovendo solo limitarsi a valutare la prova che il contribuente offre in ordine alla provenienza non reddituale (cfr. sentenza Cass. n. 22936 del 17 ottobre 2007, dep. il 30 ottobre 2007).

La prova contraria (nei casi in cui l’amministrazione finanziaria proceda all’accertamento dei redditi del contribuente in base alla presunzione secondo cui l’acquisto di beni di ingente valore è indizio del possesso di un reddito adeguato a sorreggere l’acquisto stesso) rimane a carico del contribuente.

In tema di accertamento sintetico è sufficiente che vi siano elementi e circostanze di fatto certi che, provando un determinato ammontare di spesa, presuppongono la disponibilità di un corrispondente reddito globale, senza la necessità di conoscere i cespiti certi dai quali il reddito stesso possa derivare, restando a carico del contribuente l’onere di provare l’inesistenza della capacità reddituale.

Il thema decidendum rimane perciò circoscritto alla questione della sufficienza della prova, che il contribuente deve offrire, sul fatto che l’elemento posto dagli organi di controllo, a base della presunzione di reddito, non è invece indice di capacità contributiva ( per esempio, che il denaro utilizzato per l’acquisto sia di un terzo soggetto; ma occorre, in questo caso, che il contribuente dia contezza della tracciabilità del denaro, non bastando la sola affermazione che l’incremento patrimoniale è frutto di un prestito o di un regalo).

Per la Corte (sentenza n. 19403/2005) il ricorso al redditometro esonera l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova e le consente di emettere un valido avviso di accertamento ricorrendo ad un mero calcolo matematico; resta onere del contribuente fornire in sede giudiziaria la prova contraria a quanto dedotto attraverso il redditometro.

Successivamente, la Suprema Corte, con la sentenza n. 25386/2007, ha ritenuto che gli accertamenti effettuati mediante redditometro si sottraggono all’obbligo di motivazione ex art. 3, c. 2, della L. 7 agosto 1990, n. 241, con la conseguenza che l’Amministrazione finanziaria è esonerata da qualunque prova ulteriore rispetto ai fatti indicativi di capacità contributiva individuati dal redditometro e posti a base della pretesa fiscale (nel caso di specie: possesso di automobili), gravando sul contribuente l’onere di dimostrare che il reddito presupposto sulla base del redditometro non esiste o esiste in misura inferiore. La sentenza si innesta all’interno di quel filone giurisprudenziale della Cassazione secondo cui la semplice esistenza degli “indizi” codificati nei cosiddetti redditometri legittima l’accertamento dell’ufficio e determina il trasferimento dell’onere della prova in carico al contribuente (cfr., ex pluribus, la sentenza della Cassazione n. 20519 del 22 settembre 2006).

Ricordiamo, ancora, che con l’ordinanza n. 19637 del 16 settembre 2010 (ud. del 26 giugno 2010) la Corte di Cassazione, nell’esaminare ancora una volta la problematica della prova contraria nell’ambito dell’accertamento sintetico, ha ribadito la propria posizione, gravando il contribuente dell’onere della prova contraria. Costituisce, infatti, principio consolidato “quello secondo il quale, in materia di accertamento dell’imposta sui redditi ed al fine della determinazione sintetica del reddito annuale complessivo, secondo la previsione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38 la sottoscrizione di un atto pubblico (nella specie: una compravendita) contenente la dichiarazione di pagamento di una somma di denaro da parte del contribuente può costituire elemento sulla cui base determinare induttivamente il reddito posseduto, in base all’applicazione di presunzioni semplici, che l’ufficio finanziario è legittimato ad applicare per l’accertamento sintetico, risalendo dal fatto noto a quello ignoto, restando poi sempre consentita, a carico del contribuente, la prova contraria in ordine al fatto che manca del tutto una disponibilità patrimoniale, essendo questa meramente apparente, per avere l’atto stipulato, in ragione della sua natura simulata, una causa gratuita anzichè quella onerosa apparente (Cass. nn. 86658/2002, 5991/2006 23252/2006)”. Nella fattispecie, il giudice a quo, ha escluso che la contribuente abbia fornito la prova contraria.

E con l’ordinanza n. 14896 del 5 settembre 2012 (ud. 5 luglio 2012) la Corte di Cassazione ha assegnato al contribuente l’onere di smentire le risultanze dell’accertamento sintetico. Per la Corte, “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il metodo disciplinato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4, – come via via modificato – consente, a fronte di circostanze ed elementi certi, che evidenzino un reddito complessivo superiore a quello dichiarato o ricostruibile su base analitica, la determinazione del maggior imponibile in modo sintetico, in relazione al contenuto induttivo di tali circostanze ed elementi. Pertanto, la norma esige dati certi con riguardo alla esistenza del maggiore reddito imponibile e, in presenza di dati siffatti, richiede la individuazione dell’entità del reddito stesso con parametri indiziari, in via di deduzione logica del fatto taciuto dal dichiarante da quello noto, secondo i comuni canoni di regolarità causale. Ne consegue che, in presenza di dati certi ed incontestati, non è consentito pretendere una motivazione specifica dei criteri in concreto adottati per pervenire alle poste di reddito fissate in via sintetica nel cosiddetto redditometro, in quanto esse, proprio per fondarsi su parametri fissati in via generale, si sottraggono all’obbligo di motivazione, secondo il principio stabilito dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 2, (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 327 del 11/01/2006, n. 10350 del 2003)”.

La sentenza che si annota supera, quindi, definitivamente, il precedente pronunciamento emesso dalla stessa Suprema Corte (ordinanza n. 2806 del 6 febbraio 2013, ud. 20 dicembre 2012) dove si era è parlato di presunzioni semplici. Al fine della determinazione sintetica del reddito annuale complessivo, secondo la previsione dell’art. 38, del D.P.R. n.600/73, “che consiste nell’applicazione di presunzioni semplici, in virtù delle quali (art. 2727 c.c.) l’ufficio finanziario è legittimato a risalire da un fatto noto (nella specie, l’esborso di rilevanti somme di denaro per l’acquisto di quote sociali) a quello ignorato (sussistenza di un certo reddito e, quindi, di capacità contributiva) – la presunzione semplice generava l’inversione dell’onere della prova, trasferendo a Q. l’impegno di dimostrare che il dato di fatto sul quale essa si fondava non corrispondeva alla realtà; in particolare, nella specie, che il pagamento del prezzo non sarebbe avvenuto e, quindi, l’effettuata acquisizione di beni non denotava una reale disponibilità economica, suscettibile di valutazione a fini fiscali, poichè il contratto stipulato, in ragione della sua natura simulata, avrebbe avuto una causa gratuita anzichè quella onerosa apparente (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 5991 del 17/03/2006, n. 327 del 2006)”.

10 giugno 2017

Gianfranco Antico