Visto di conformità irregolare e processo al professionista

è possibile sospendere, in quanto pregiudicato, il giudizio concernente l’irrogazione di una sanzione al professionista per l’irregolare rilascio del visto di conformità in attesa della definizione del processo contro un contribuente vistato?

Sanzioni

L’articolo 39 del D.Lgs. 9/7/1997 n. 241 configura la sanzione amministrativa da euro 258 a euro 2.582 per visti infedeli di conformità, ai soggetti indicati nell’articolo 35 dello stesso decreto, che rilasciano il visto di conformità, ovvero l’asseverazione, infedele. Lo stesso art. 39 del D.Lgs. n. 241 del 1997 stabilisce che, in caso di visto infedele, i CAF e i professionisti abilitati sono tenuti, nei confronti dello Stato o del diverso ente impositore, al pagamento di un importo corrispondente alla somma dell’imposta, degli interessi e della sanzione, nella misura del 30%, che sarebbe stata richiesta al contribuente ai sensi dell’articolo 36-ter del D.P.R. n. 600 del 1973. L’Agenzia delle Entrate nella Circolare n. 7/E del 26.2.2015 ha chiarito che la responsabilità in capo al CAF o al professionista sorge solo in caso di visto infedele ed è espressamente esclusa qualora l’infedeltà del visto sia stata determinata da una condotta dolosa o gravemente colposa del contribuente.

In definitiva, il rilascio di un visto di conformità infedele (ferma restando l’applicazione della specifica sanzione legata alla violazione commessa dal contribuente) viene sanzionato (art. 39 comma 1 lett. a D.lgs. n. 472 del 1997) con l’applicazione di una sanzione amministrativa, da un minimo di € 258, ad un massimo di € 2.582. In caso di violazioni particolarmente gravi o ripetute, è prevista la sospensione dell’autorizzazione ad apporre il visto per un periodo da 1 a 3 anni. Ove persistano ripetute violazioni, successive al periodo di sospensione, l’Amministrazione Finanziaria può inibire il rilascio del visto. La sanzione è soggetta alle disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie (D.Lgs. n. 472/1997), per quanto compatibili.

La sanzione per il rilascio del visto di conformità infedele viene irrogata dalla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate competente, in ragione del domicilio fiscale del professionista. Viene redatto, per ogni anno solare, un unico atto di contestazione. Tale atto, sino a che interviene decadenza del potere sanzionatorio, può essere integrato o modificato. I provvedimenti (atti di contestazione ed irrogazione sanzioni) vengono trasmessi agli ordini di appartenenza dei professionisti, per l’eventuale adozione di ulteriori provvedimenti. E’ comunque evidente che non tutte le circostanze che possono dare luogo ad una rettifica della dichiarazione sono oggetto di controllo in sede di rilascio del visto di conformità.

Di conseguenza, in base al principio di colpevolezza (art. 5 d.lgs. n. 472 del 1997) le sanzioni a carico dei professionisti si applicheranno solo nei casi in cui, in sede di controllo, emerga una discordanza che avrebbe dovuto essere riscontrata, effettuando opportunamente i controlli in sede di rilascio del visto di conformità.

Quesito

In presenza di giudizio avente ad oggetto l’irrogazione di una sanzione al professionista per l’irregolare rilascio del visto di conformità1 e della certificazione tributaria attestante il regolare comportamento nella redazione delle dichiarazioni dei redditi, che si fonda su altro atto pregiudiziale, l’avviso di accertamento a carico del contribuente, occorre sospendere il giudizio pregiudicato in attesa della definizione del giudizio principale pregiudiziale, concernente l’avviso di accertamento a carico del contribuente?

La risposta negativa a tale quesito è stata fornita dalla recente ordinanza del 10 aprile 2017 n. 9204 della Corte di Cassazione sulla base delle seguenti argomentazioni: ”Non sussiste una situazione di pregiudizialità necessaria, in quanto il rapporto di pregiudizialità richiesto dall’articolo 295 c.p.c. nell’esigenza di evitare un conflitto tra giudicati, non può configurarsi nelle ipotesi di cause pendenti tra soggetti diversi (nella fattispecie, il giudizio tra società contribuente ed Amministrazione finanziaria, da un lato, ed il giudizio tra professionista incaricato dalla prima per la presentazione delle dichiarazioni dei redditi ed Amministrazione finanziaria, dall’altro lato), perché la pronuncia di ciascun giudizio, non potendo fare stato nei confronti delle diverse parti dell’altro, non può perciò stesso costituire il necessario antecedente logico – giuridico della relativa decisione

Sospensione del processo

L’art. 9, c. 1, lett. o, del D.Lgs. n 156/2015 apporta modifiche all’art. 39 del D.Lgs. n. 546/1992, che reca le ipotesi di sospensione del processo. Sono in particolare inseriti due nuovi commi, 1-bis e 1-ter, che regolano le richieste di sopsensione.

La sospensione del processo è disposta dalla Commissione tributaria ogniqualvolta essa stessa o altra Commissione tributaria debba risolvere una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa. È stato in tal modo riprodotto il contenuto dell’art. 295 c.p.c., concernente la sospensione necessaria del processo. Il comma 1-bis introduce, pertanto, un’ulteriore ipotesi di sospensione necessaria, che si aggiunge a quella già prevista dal comma 1 (disposta quando è presentata querela di falso o deve essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o la capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio).

Su richiesta conforme delle parti, il processo è sospeso nel caso in cui sia iniziata una procedura amichevole ai sensi delle Convenzioni internazionali per evitare le doppie imposizioni, oppure quando sia iniziata una procedura amichevole ai sensi della Convenzione sull’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate n. 90/463/CEE del 23 luglio 1990. Quando tra due o più sentenze sussista un vincolo di consequenzialità – pregiudizialità e non è possibile realizzare il simultaneus processus, ex art. 274 c.p.c., il giudice deve utilizzare l’istituto della sospensione necessaria, per evitare il rischio del conflitto di giudicati (Cass. 23-11-2015 n. 23892 sez. T). La sospensione necessaria del processo è applicabile qualora risultino pendenti, davanti a giudici diversi, procedimenti legati tra loro da un rapporto di pregiudizialità tale che la definizione dell’uno costituisce indispensabile presupposto logico-giuridico dell’altro, nel senso che l’accertamento dell’antecedente venga postulato con effetto di giudicato, in modo che possa astrattamente configurarsi l’ipotesi di conflitto al giudicato. La pregiudizialità sussiste solo quando la definizione di una controversia costituisca l’indispensabile antecedente logico-giuridico dell’altra (Cass. 4 giugno 2001, n. 7506)2. Il rapporto di non può peraltro configurarsi nelle ipotesi di cause pendenti tra soggetti diversi, perchè la pronuncia di ciascun giudizio, non potendo fare stato nei confronti delle diverse parti dell’altro, non può perciò stesso costituire il necessario antecedente logico-giuridico della relativa decisione. E’ pregiudicato (esempio: quello in cui è stata domandata la restituzione di quanto versato in modo indebito), finché non sia passato in giudicato quello contenente pregiudiziale (esempio: il processo in cui si decide del diritto ad usufruire di un regime di esenzione è causa pregiudiziale che va risolta con sentenza dotata dell’efficacia del giudicato prima di quello in cui c’è la richiesta di quanto versato in modo indebito); naturalmente, la sospensione non è possibile qualora la sentenza pronunciata nel giudizio pregiudiziale sia già passata in giudicato. Naturalmente, la parte che invochi la sospensione di un giudizio, ha l’onere di dimostrare la pendenza di un’altra controversia e la sussistenza di un rapporto di dipendenza tra i due giudizi (Cass., sez. trib., 4 giugno 2001, n. 7506)3.

31 maggio 2017

Isabella Buscema

1 La disciplina dell’abilitazione al rilascio del visto di conformità delle dichiarazioni va rinvenuta nell’art. 35, c. 3, del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, il quale stabilisce espressamente che soggetti abilitati al rilascio, su richiesta dei contribuenti, del visto di conformità delle dichiarazioni da loro predisposte sono soltanto i soggetti indicati alle lettere a b del comma 3 dell’articolo 3 del D.P.R. 22 luglio 1998 n. 322 e, quindi, in base alla norma richiamata, soltanto gli iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali e dei consulenti del lavoro (lettera a) nonché i soggetti iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la sub categoria tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o diploma di ragioneria (lettera b). I professionisti che abitualmente esercitano attività di consulenza fiscale (cosiddetti tributaristi), quindi, indipendentemente dalla rilevanza specificamente attribuita al visto di conformità delle dichiarazioni dall’art. 10, c. 7, del D.L. 1 luglio 2009, n. 78 ai fini della fruizione delle compensazioni dei crediti Iva, in base alle disposizioni generali non sono legittimati al rilascio del visto (TAR del Lazio 19-11-2010 n. 33676). L’appellato ha rilasciato dei visti di conformità senza alcun controllo della documentazione indicata e necessariamente esibita dai contribuenti per fruire degli oneri e/o detrazioni di imposte, quali ad esempio interessi per mutui ipotecari per costruzione prima abitazione, per spese sanitarie, per contributi integrativi previdenziali, per spese di ristrutturazione, spese di istruzione. Né l’appellato ha giustificato le ragioni di tali discordanze che hanno poi determinato a carico dei contribuenti l’attivazione dell’Ufficio per il recupero degli oneri deducibili e/o imposte dovute. In definitiva, si ribadisce, non si addebita al CAAF la responsabilità della correttezza dei dati derivanti dalle dichiarazioni fiscali , come erroneamente ritenuto dal giudice a quo (controllo spettante ex post all’Ufficio in sede di controllo automatizzato ex art 36bis del DPTR 660/73 ndr art 36bis del DPR 600/73 e/o art. 54 DPR 533/73), ma l’aver rilasciato il visto di conformità infedele, in assenza di corrispondenza tra il dichiarato e la documentazione fornita dal contribuente (CTR di Roma 08-01-2016 n. 2).

2 Si pensi alla pregiudizialità logica esistente tra il giudizio in cui si chiede l’accertamento del diritto ad usufruire di un regime agevolativo e il giudizio in cui oltre al riconoscimento di tale agevolazione sia domandata la restituzione di quanto versato in modo indebito.

3 Tra la controversia che oppone il contribuente all’Agenzia del Territorio in ordine alla impugnazione della rendita catastale attribuita ad un immobile, e la controversia che oppone lo stesso contribuente al comune avente ad oggetto l’impugnazione della liquidazione dell’Ici gravante sull’immobile cui sia stata attribuita la rendita contestata, sussiste un rapporto di pregiudizialità che impone la sospensione del secondo giudizio, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., fino alla definizione del primo con autorità di giudicato, in quanto la decisione sulla determinazione della rendita si riflette necessariamente, condizionandola, sulla decisione sulla liquidazione dell’imposta (Cass., sez. trib., 11 dicembre 2006, n. 26380).