in caso di omessa presentazione della dichiarazione nel termine di 90 giorni il contribuente si espone al rischio di un accertamento induttivo, anche se presenta la dichiarazione dopo i 90 giorni
La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 4785 del 24 febbraio 2017, in armonia al vigente quadro normativo di cui al disposto combinato dell’art. 39 del D.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 2 del D.P.R. n. 322/1998, nonché (per gli aspetti sanzionatori) dall’art. 5, c. 3, del D.Lgs. n. 74/2000 e dagli artt. 1 e 5 del D.Lgs. n. 472/1997, ha ribadito che, nel caso di omessa presentazione della dichiarazione ai fini I.V.A. e II.DD. ovvero nel caso di presentazione con ritardo superiore ai 90 giorni, l’Agenzia delle Entrate e del Territorio è legittimata a procedere alla riquantificazione e riqualificazione della capacità contributiva del soggetto mediante l’accertamento induttivo o extracontabile e, quindi, avvalendosi (se del caso) delle c.d. presunzioni “semplicissime”, prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
Con riferimento alla particolare metodologia utilizzabile dall’Amministrazione Finanziaria, si evidenzia – come noto – che l’accertamento induttivo, ai sensi del citato art. 39 del D.P.R. n. 600/1973, può trovare applicazione solo quando si ha una rappresentazione contabile del tutto inutilizzabile, o per l’inesistenza dell’impianto contabile stesso, o per la sua oggettiva indisponibilità e complessiva inaffidabilità, o perché vi è stato l’inadempimento dell’obbligo di dichiarare il reddito d’impresa.
Attraverso l’accertamento extracontabile, quindi, si giunge alla determinazione del reddito complessivo sulla base dei dati e dalle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza degli organi ispettivi, restando lontani dall’ambito delle risultanze contabili qualora esistenti e senza procedere alla necessaria rettifica delle voci ivi erroneamente indicate. Gli uffici dell’Amministrazione Finanziaria, di conseguenza, hanno la possibilità di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze documentali ove disponibili e possono avvalersi di prove meno rigorose come le presunzioni “semplicissime”, prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 c.c.1.
Il comma 2 dell’articolo 39 delinea in modo tassativo i presupposti al verificarsi dei quali l’Amministrazione Finanziaria è legittimata a porre in essere tale metodologia di accertamento. Questa può aver luogo quando il reddito d’impresa non è stato indicato nella dichiarazione; quando dal verbale di ispezione redatto ai sensi dell’art. 33 risulta che il contribuente non ha tenuto o ha comunque sottratto all’ispezione una o più delle scritture contabili prescritte dall’art. 14 ovvero quando le scritture medesime non sono disponibili per cause di forza maggiore se prevedibili2; quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni accertate ai sensi del primo comma dell’art. 39 ovvero le irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica (la giurisprudenza abbraccia una visione sostanziale secondo cui non è necessaria la presenza di numerose e gravi irregolarità ma è sufficiente anche un solo elemento oggettivo); quando il contribuente non ha dato seguito agli inviti disposti dagli uffici ai sensi dell’art. 32, c. 1, nn 3 – 4, del D.P.R. n. 600/1973 o dell’art. 58, c. 2, nn 3 – 4, del D.P.R. n. 633/1972; in caso di omessa presentazione dei modelli per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore o di indicazione di cause di esclusione o di inapplicabilità degli studi di settore non sussistenti, nonché di infedele compilazione dei predetti modelli che comporti una differenza superiore al 15 per cento, o comunque ad euro 50.000, tra i ricavi o compensi stimati applicando gli studi di settore sulla base dei dati corretti e quelli stimati sulla base dei dati indicati in dichiarazione3.
In estrema sintesi, come tra l’altro affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza del 18 dicembre 2006 n. 27068, mentre in presenza di irregolarità della contabilità meno gravi, contemplate dal comma 1 dell’articolo 39 D.P.R. n. 600/1973, l’amministrazione può procedere a rettifica analitica, utilizzando gli stessi dati forniti dal contribuente, ovvero dimostrando, anche per presunzioni, purché munite dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c., l’inesattezza o incompletezza delle scritture medesime, allorquando, invece, constati un’inattendibilità globale delle scritture (o al ricorrere dei tassativi presupposti di fatto dianzi indicati), l’ufficio è autorizzato, ai sensi del successivo comma 2, a prescindere da esse ed a procedere in via induttiva, avvalendosi anche di semplici indizi sforniti dei requisiti necessari per costituire prova presuntiva.
Da ultimo, la Corte di Cassazione (con la sentenza n. 17968/2013) ha ribadito che “nell’accertamento delle imposte sui redditi, il comportamento del contribuente che – come nella specie – ometta di rispondere ai questionari previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, n. 4 e non ottemperi alla richiesta di esibizione di documenti e libri contabili relativi all’impresa esercitata, impedendo in tal modo, o comunque ostacolando, la verifica dei redditi prodotti da parte dell’Ufficio, vale di per sè solo ad ingenerare un sospetto sull’attendibilità di dette scritture, rendendo “grave” la presunzione di attività non dichiarate desumibile dal raffronto tra le percentuali di ricarico applicate e quelle medie del settore, e, conseguentemente, legittimo l’accertamento induttivo emesso su quella base dall’Ufficio del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d)“.
In merito, l’organo giudicante ha richiamato altresì la propria precedente posizione interpretativa già espressa con la sentenza n. 12262 del 2007, secondo la quale “è, infatti, da ritenersi che il comportamento omissivo del contribuente, che trascuri di rispondere ai questionari previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, n. 4 e non ottemperi alla richiesta di esibizione di documenti e libri contabili relativi all’impresa esercitata, impedendo in tal modo, o comunque ostacolando, la verifica dei redditi prodotti da parte dell’Ufficio, valga di per sè solo a ingenerare un più che giustificato sospetto sull’attendibilità di quelle scritture, rendendo “grave” la presunzione di attività non dichiarate”.
Chiariti i presupposti di diritto al ricorrere dei quali l’Amministrazione è legittimata a ricorrere all’accertamento induttivo, occorre soffermarsi sulla definizione di “dichiarazione omessa”. Al riguardo si evidenzia che, come espressamente affermato dal disposto di cui all’articolo 2 del D.P.R. n. 322/1998, “le dichiarazioni presentate con un ritardo superiore ai novanta giorni si considerano omesse” pur rappresentando “titolo per la riscossione delle imposte dovute in base agli imponibili in esse indicati e delle ritenute indicate dai sostituti d’imposta”.
Dal punto di vista sanzionatorio, inoltre: ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs. 74/2000, come modificato dall’art. 5, c. 1 lett. a del D.Lgs. n. 158/2015, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad euro cinquantamila.
Ai fini dell’applicazione della menzionata misura sanzionatoria, non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto.
Tale fattispecie criminosa (secondo quanto previsto dall’art. 13 del D.Lgs. n. 74/2000, modificato dal D.Lgs. n. 158/2015) non è punibile se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali; ai sensi degli artt. 1 e 5 del D.Lgs. n. 471/1997, nei casi di omessa presentazione della dichiarazione, si applica la sanzione amministrativa dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell’ammontare delle imposte dovute. Se la dichiarazione omessa è presentata dal contribuente entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo e, comunque, prima dell’inizio di qualunque attività amministrativa di accertamento di cui abbia avuto formale conoscenza, si applica la sanzione amministrativa dal sessanta al centoventi per cento dell’ammontare delle imposte dovute, con un minimo di euro 200.
Ciò posto, la Corte di Cassazione, con la richiamata sentenza n. 4785 del 24 febbraio 2017, nel ribadire quanto disposto dall’art. 2 del D.P.R. n. 322/1998, ribadisce il parallelismo tra dichiarazione omessa e dichiarazione presentata oltre i 90 giorni dalla scadenza dei termini, affermando testualmente che “Stante l’equiparazione tra dichiarazione fuori termine e omessa dichiarazione, trova, pertanto, applicazione l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, condiviso dal Collegio, secondo cui, nelle ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione da parte del contribuente, la legge abilita l’ufficio delle imposte a servirsi di qualsiasi elemento probatorio ai fini dell’accertamento del reddito e, quindi, a determinarlo anche con metodo induttivo ed anche utilizzando, in deroga alla regola generale, presunzioni semplici prive dei requisiti di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 3, sul presupposto dell’inferenza probatoria dei fatti costitutivi della pretesa tributaria ignoti da quelli noti, di tal che, a fronte della legittima prova presuntiva offerta dall’ufficio, incombe sul contribuente l’onere di dedurre e provare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi della predetta pretesa (cfr., ex plurimis, Cass., sez. trib., 03/10/2007, n. 20708). Ne consegue che la sentenza impugnata, fondata su di un evidente errore di diritto, nel non considerare che, per le ragioni esposte, l’accertamento del quantum della pretesa tributaria, può essere fondato su presunzioni semplici, prive del requisito di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 3, va cassata, con rinvio, anche per le spese, alla Commissione Regionale Sicilia in diversa composizione, che provvedere alla decisione del proposto gravame uniformandosi ai principi di diritto innanzi”.
2 maggio 2017
Nicola Monfreda
1 Il codice civile all’articolo 2727 definisce le presunzioni come “le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato”; le presunzioni legali sono disciplinate da specifiche norme e si distinguono in assolute (iuris et de iure) che non ammettono la prova contraria e relative (iuris tantum) che invece stabiliscono una inversione dell’onus probandi. Differentemente, le presunzioni semplici sono disciplinate dall’articolo 2729 c.c., in ragione del quale “le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice [116 c.p.c.], il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti“.
2 Sulla natura dell’accertamento induttivo e sulla sua conseguente legittima adozione in caso di indisponibilità della documentazione contabile per causa di forza maggiore, si rinvia a quanto affermato da CIPOLLA G.M., L’accertamento contabile e l’accertamento extracontabile negli artt. 54 e 55 DPR n. 633/1972, Riv. dir. trib. 2000, 6, 615. L’autore, infatti, afferma “Giova qui chiarire che il riconoscimento all’accertamento induttivo di una natura sanzionatoria o parasanzionatoria non implica che, a monte della sanzione, vi sia necessariamente un comportamento illecito del contribuente. Se infatti si collega la sanzione dell’accertamento induttivo al comportamento contra legem del contribuente (il quale non ha tenuto affatto la contabilità o non l’ha tenuta in modo regolare) si deve pervenire alla conclusione che nessun comportamento illecito e, quindi, nessuna sanzione è configurabile nel caso di indisponibilità delle scritture per causa di forza maggiore. Se, invece, si ritiene – come sembra potersi ritenere – che le norme (tutte le norme) sull’accertamento induttivo hanno la funzione di indurre il contribuente a tenere correttamente le scritture contabili, si può sostenere che anche la disposizione dettata dall’art. 39, comma 2, lett. c) DPR n. 600/1973 ha, in senso generalissimo, natura sanzionatoria (o, comunque, parasanzionatoria).” Sul punto si rinvia, altresì, a Fantozzi A., Prospettive dell’accertamento nella riforma tributaria, in Riv. Guardia di Finanza, 1981, 10; Tinelli G., Riflessioni sulla prova per presunzioni nell’accertamento del reddito d’impresa, in Riv. dir. fin., 1986, I, 489.
3 Come da ultimo previsto dall’ art. 23, c. 28, lett. c, D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 luglio 2011, n. 111, successivamente sostituito dall’art. 8, co. 4, D.L. 2 marzo 2012, n. 16.