Il ricorso tributario è nullo per carenza di motivazione solo in casi di assoluta incertezza

proponiamo alcune recenti valutazioni della Cassazione sui motivi che deve contenere un ricorso tributario; in caso di carenza assoluta di motivazione il ricorso può essere nullo ma solo se ricorre l’assoluta incertezza!

banner-wp-evento-cefalu-giugno-2017-villani-BAi fini della enunciazione dei motivi previsti a pena inammissibilità del ricorso dall’art. 18 comma 2 lett. e) del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, è sufficiente anche un riferimento sommario ai motivi stessi. Insomma, la sanzione dell’inammissibilità è connessa solo alla mancanza assoluta, ovvero all’assoluta incertezza, ricorrendo quest’ultimo caso, allorquando l’enunciazione del motivo, che non deve attingere un particolare livello di specificità, si presenti tale da non consentire l’individuazione del nucleo della censura rivolta all’atto impugnat.”.

E’ quanto ha affermato la Suprema Corte, con la sentenza n. 10524 Sez. V, del 28 aprile 2017, la quale esprime un principio di diritto che in linea con quanto stabilito, secondo consolidato orientamento (Sez. 5, n. 25756 del 05/12/2014) per cui “premesso che il giudizio tributario è caratterizzato da un meccanismo di instaurazione di tipo impugnatorio, circoscritto alla verifica della legittimità della pretesa effettivamente avanzata con l’atto impugnato, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati, ed avente un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente, con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo in primo grado”, ha ritenuto nella fattispecie esaminata che il contribuente avesse evidenziato, sebbene in maniera sintetica, le ragioni del ricorso.

In particolare, la controversia riguardava la notifica di due avvisi di accertamento, recuperando a tassazione, quali redditi diversi D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 81, per l’anno 2001, un maggiore reddito imponibile, con maggiore Irpef accertata, oltre addizionali e sanzioni e, per l’anno 2003, un maggiore reddito imponibile, con maggiore Irpef accertata, oltre addizionali e sanzioni. Tale recupero scaturiva da un’indagine finanziaria effettuata sui rapporti intrattenuti dal contribuente con banche italiane ed, in particolare, su alcune movimentazioni bancarie (accrediti) provenienti da banche estere – che, secondo l’Agenzia delle Entrate, non sarebbero “risultate compatibili con la complessiva capacità contributiva del contribuente“, sicchè i relativi importi erano stati appunto qualificati come “redditi diversi“. Avverso tali avvisi di accertamento il contribuente presentava ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale, deducendo l’illegittimità di entrambi e di risiedere effettivamente a Montecarlo, nonchè l’infondatezza, sotto il profilo motivazionale e nel merito, delle contestazioni a lui mosse in relazione al fatto che le movimentazioni bancarie in contestazione rappresentavano dei meri girofondi. La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva parzialmente il ricorso. Avverso tale sentenza il contribuente proponeva appello alla Commissione Tributaria Regionale, che dichiarava la nullità del ricorso introduttivo del giudizio, essendo la narrazione lacunosa in fatto e diritto, atteso che dalla lettura del ricorso stesso non si evincevano le ragioni per le quali i comportamenti finanziari, peraltro monchi, del contribuente erano da ritenersi legittimi ed invece illegittima l’attività accertativa, peraltro decontestualizzata, dell’Agenzia delle Entrate.

Giova ricordare che, il ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale deve contenere (artt. 12 e 18 D.Lgs. 546/1992 e art.14 c.3 bis DPR 115/2002):

  • indicazione della commissione tributaria competente;

  • indicazione dei dati del ricorrente e del legale rappresentante (la residenza o sede legale, il domicilio eventualmente eletto nel territorio dello Stato, l’indirizzo di PEC e il codice fiscale);

  • indicazione dei dati dell’ufficio che ha emesso l’atto (l’ufficio finanziario o ente locale o agente della riscossione) nei cui confronti è proposto il ricorso;

  • copia dell’atto impugnato oggetto della domanda;

  • i motivi del ricorso;

  • procura a un difensore o a un soggetto abilitato all’assistenza tecnica (obbligatoria quando il valore della controversia supera 3.000,00 euro a partire dal 1 gennaio 2016 con l’obbligo anche di indicare la categoria di appartenenza del difensore ai sensi dell’articolo 12 del medesimo D.Lgs. n. 546/92, che consenta al giudice la liquidazione delle spese di lite secondo la tariffa professionale [come modificato dall’art. 9, c. 1, lett. e, del D.Lgs. n. 156/2015];

  • sottoscrizione del ricorrente o del difensore sia dell’originale che delle copie destinate alle altre parti. La sottoscrizione del difensore deve contenere l’indicazione: della categoria di cui all’articolo 12 alla quale appartiene il difensore; dell’incarico a norma dell’articolo 12, comma 7, salvo che il ricorso non sia sottoscritto personalmente; dell’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore.

Il ricorso deve inoltre indicare i seguenti elementi, la cui mancanza non comporta l’inammissibilità, ma l’applicazione di una sanzione amministrativa:

  • codice fiscale del ricorrente e del difensore;

  • numero di fax del difensore;

  • indirizzo di PEC (posta elettronica certificata) del difensore abilitato;

  • dichiarazione di valore della controversia, dato “dall’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato”.

Accanto agli elementi necessari, nel ricorso possono trovare spazio gli elementi eventuali, ossia:

-il codice fiscale del ricorrente;

-l’istanza di sospensione dell’atto impugnato;

– l’istanza di riunione ad altro procedimento connesso.

L’omessa indicazione del rappresentante legale di una persona giuridica non determina l’inammissibilità dell’impugnazione proposta qualora l’identità di questi sia ricavabile dall’enunciazione esplicita avvenuta nelle memorie illustrative (Cass. civ., Sez. V, 30 giugno 2010, n. 15584).

Orbene, va detto che nell’art. 18 D.Lgs. 546/1992 è stato riscritto il comma 3 sia per una maggiore leggibilità, sia per introdurre l’obbligo per i difensori di dichiarare la categoria di appartenenza ex art. 12 del decreto; tale indicazione è anche necessaria per consentire al giudice la liquidazione delle spese di lite secondo la tariffa della categoria di appartenenza.

Ebbene, tra gli elementi del ricorso introduttivo “i motivi” rivestono fondamentale importanza in quanto le argomentazioni di difesa non possono essere successivamente integrate tranne nei casi in cui siano prodotti documenti non conosciuti (Cassazione, Sez. Trib., sent. 10 novembre 2006, n. 24083).

Peraltro, i motivi di ricorso concorrono a individuare il thema decidendum e a fissare i limiti della pronuncia del giudice, che non dispone al riguardo di poteri officiosi (Cass. 15.10.2013 n. 23326, Cass. 19.04.2013 n. 9552, Cass. 18.01.2013, n. 1289). Altresì, la loro indicazione non soddisfa soltanto un requisito di forma del ricorso, ma orienta e circoscrive sin dall’inizio della lite (con i limitati aggiustamenti consentiti dall’art. 24 D. Lgs. 31.12.1992, n. 546) i poteri decisori della commissione. Pertanto, il giudice tributario non può rilevare l’esistenza di un’esimente, in mancanza di una domanda del contribuente, che ha l’onere di dimostrare la ricorrenza, nella fattispecie concreta, dei relativi presupposti (Cass. 02.10.2013, n. 22524)1.

Si espongono pertanto esaustivamente i fatti e gli elementi di diritto posti a supporto della domanda. Quanto al petitum, è da osservare che la giurisprudenza ha espresso il principio della tassatività dell’indicazione dell’atto impugnato (Cass. civ., Sez. V, 19 marzo 2008, n. 7332); tuttavia, la corretta allegazione in loco dell’esatta indicazione dell’atto impugnato è stata ritenuta bastevole ai fini dell’individuazione del medesimo (CTP Milano, Sez. XXXI, 2 marzo 2011, n. 57). Quanto invece alla causa petendi, non sono ammissibili: il ricorso privo di motivazioni, cosiddetto “interruttivo” (Cass. civ., Sez. V, 14 maggio 2010, n. 11783); il ricorso che rimandi a motivi di altro gravame, cosiddetto per relationem (Cass. civ., Sez. V, 12 maggio 2011, n. 10387).

Sulla base dei principi appena richiamati ecco che, per gli Ermellini risultano chiaramente evincibili le ragioni di fatto e diritto per le quali il contribuente ha chiesto al giudice tributario l’annullamento dei suddetti avvisi di accertamento. Da qui, accogliendo il motivo di ricorso, cassata la sentenza impugnata, rinviano ad altra sezione della commissione tributaria regionale che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

17 maggio 2017

Maurizio Villani

Iolanda Pansardi

1Utet “Codice commentato del processo tributario” G. Bonilini- M. Confortini, pag. 377.