Fatture oggettivamente inesistenti e buona fede del contribuente

in caso di contestazione dell’indetraibilità dell’iva per operazioni oggettivamente inesistenti, si può far valere la buona fede del contribuente che ha utilizato la fattura contestata?

Sono sempre frequenti le contestazioni dell’Amministrazione finanziaria sull’inesistenza delle fatture ricevute, contabilizzate e dedotte dal contribuente. Tali violazioni sono rilevanti sotto il profilo fiscale e penale. Le sanzioni applicabili quindi sono legate all’indebita detrazione dell’Iva e all’infedele dichiarazione.

OPERAZIONE OGGETTIVAMENTE INESISTENTE

Sono oggettivamente inesistenti le fatture relative a operazioni in tutto o in parte prive di riscontro nella realtà. Si tratta così di documenti che attestano un fatto, sia esso cessione di beni o prestazione di servizi, mai avvenuto. L’inesistenza dell’operazione può anche essere parziale, nel qual caso si tratta di sovrafatturazione che può essere di due tipi: quantitativa, quando il documento attesta un maggior numero, rispetto al reale, di beni ceduti o prestazioni eseguite; qualitativa, quando la fattura attesta la cessione di beni e/o servizi aventi un prezzo maggiore di quelli forniti.

DETRAZIONE E IRRILEVANZA BUONA FEDE DEL CONTRIBUENTE

Le operazioni oggettivamente inesistenti non permettono la detrazione d’imposta. Difatti l’art. 19, c. 1, d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633 consente la detrazione IVA soltanto per le operazioni che siano vere e reali Trattandosi di operazioni oggettivamente inesistenti (cioè di mere espressioni cartolari che mai consentono la detrazione prevista dall’art. 19, c. 1, d.p.r. n. 633 cit.) la rilevanza della buona fede deve essere esclusa (Corte di Cassazione sentenza del 17 marzo 2017, n. 6920).

In tema d’IVA, l’Amministrazione finanziaria, che contesti al contribuente l’indebita detrazione relativamente ad operazioni oggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, ma non anche quello di dimostrare la mala fede del contribuente, atteso che, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede di quest’ultimo, che sa certamente se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo (Cass. civ. Sez. VI – 5 Ordinanza, 14-09-2016, n. 18118).

Nel caso in cui l’Ufficio ritenga che la fattura concerna operazioni oggettivamente inesistenti, cioè sia una mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, e quindi contesti l’indebita detrazione dell’Iva e/o deduzione dei costi, ha l’onere di fornire elementi probatori del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata (ad esempio, provando che la società emittente la fattura è una “cartiera“) e a quel punto passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate. Quest’ultima prova non potrà consistere, però, nell’esibizione della fattura, né nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia. In caso di accertata assenza dell’operazione, peraltro, è escluso che possa configurarsi la buona fede del cessionario o committente, il quale sa bene se ha ricevuto o meno una determinata fornitura di beni o prestazione di servizi (Cass. civ. Sez. V, 05-08-2015, n. 16437).

In tema d’IVA, in attuazione del principio di cartolarità posto a base del sistema impositivo va escluso il diritto alla detrazione, ai sensi dell’art. 19, c. 1, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione ad operazioni oggettivamente inesistenti non assumendo rilievo che il cessionario abbia versato al cedente l’ammontare del tributo sulla base della regolarità formale dell’operazione dal punto di vista contabile e fiscale, atteso che l’imposta è dovuta ogniqualvolta la fattura sia emessa, seppure per un’operazione non avvenuta o non avvenuta nei termini in essa descritti (Cass. civ. Sez. VI – 5 Ordinanza, 10-06-2015, n. 12111).

Per orientamento univoco della giurisprudenza di legittimità, nell’ipotesi di fatture che l’Amministrazione ritenga relative ad “operazioni inesistenti” (per mancanza assoluta dell’operazione o per la divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale), è tenuta a provare che l’operazione oggetto della fattura non è mai stata posta in essere anche solo con presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti . Sarà il contribuente a dover dimostrare, con adeguata prova contraria, l’effettività dell’operazione

OPERAZIONE SOGGETTIVAMENTE INESISTENTE

Sono soggettivamente inesistenti le fatture riferite a operazioni realmente avvenute, ma tra soggetti differenti rispetto a chi compare nel documento Di sovente l’amministrazione finanziaria scopre che (a fronte di operazioni realmente avvenute: cessioni di beni o prestazioni di servizi) – il cedente o il prestatore non hanno la struttura idonea per effettuare l’operazione fatturata o ancora, a seguito di alcune operazioni, scompaiono e non adempiono ai principali obblighi fiscali (dichiarazione, versamento).

Si parla, così, di fatture soggettivamente inesistenti, in quanto l’operazione è effettivamente avvenuta, ma tra soggetti diversi da quelli indicati nella documentazione. Proprio in virtù della reale effettuazione dell’operazione, l’articolo 8 del Dl 16/2012 ha riconosciuto ai fini della imposizione diretta la deducibilità del costo relativo a fatture soggettivamente inesistenti.

RILEVANZA BUONA FEDE DEL CONTRIBUENTE

Il Fisco, il più delle volte contesta l’indebita detrazione dell’Iva, all’acquirente del servizio, o dei beni. A fronte di queste contestazioni in materia di Iva corrisponde, in genere, lo stupore del contribuente acquirente, il quale è solito rappresentare di non conoscere, né di poter avere notizie, circa la correttezza e l’onestà del venditore o prestatore, ma di aver effettivamente ricevuto la cessione di beni, o la prestazione e di averla regolarmene pagata.

Il Fisco deve dimostrare che la detrazione è «indebita». Il contribuente si può difendere provando di essere in buona fede.

Qualora l’amministrazione contesti ad un contribuente il diritto alla detrazione Iva in ragione di una supposta inesistenza soggettiva delle operazioni, è onere della medesima amministrazione provare che il soggetto passivo interessato sapeva o avrebbe dovuto sapere (in base ad indizi idonei ad avvalorare il sospetto) che l’operazione era in realtà inserita in un meccanismo di evasione dell’Iva.

È poi onere del contribuente dimostrare, anche in via alternativa, di essere stato in “buona fede” e cioè di non essersi trovato (utilizzando la diligenza esigibile dall’operatore accorto in relazione alle circostanze) nella situazione oggettiva di poter conoscere il carattere fraudolento delle operazioni e dei soggetti coinvolti, oppure di non essere stato in grado di superare l’ignoranza circa la fittizietà dei soggetti. (Cassazione sentenze nn. 9608/16, 6864/16 e 2630/16).

Alla luce della costante giurisprudenza europea e della Cassazione, la detraibilità dell’Iva è collegata alla prova della “buona fede” da parte del cessionario. In sostanza, per poter detrarre l’Iva relativa a fatture soggettivamente inesistenti, il contribuente deve provare di non aver avuto consapevolezza della falsità delle fatture (buona fede, attraverso una serie di elementi e circostanze che consentano di poterne escludere la sua conoscenza e conoscibilità.

La Corte di Cassazione è ormai pressoché unanime nel ritenere che, qualora l’Erario contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni soggettivamente inesistenti, è onere del contribuente dimostrare la propria buona fede. In mancanza di tale prova, l’ufficio può procedere legittimamente a recuperare l’Iva indebitamente detratta.

In buona sostanza, la giurisprudenza è concorde nel sostenere che solo l’imprenditore che abbia adottato tutte le misure che si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione posta in essere non faccia parte di una frode, deve poter fare affidamento sulla liceità dell’operazione, senza rischiare di perdere il proprio diritto alla deduzione dell’imposta sul valore aggiunto pagata a monte.

Ne consegue che, se l’amministrazione sospetta dell’operazione indicata in fattura, ma soprattutto della veridicità del fornitore, per detrarre l’Iva il contribuente deve provare la “buona fede” del proprio comportamento. Il giudice del merito, dunque, è chiamato a valutare non solo se il contribuente fosse consapevole della fittizietà del soggetto prestatore o cedente (buona fede), ma anche se, in base alla diligenza dell’accorto operatore, poteva conoscere il contesto illecito dell’operazione e, dunque, fosse in qualche modo coinvolto.

INDIZI

Gli indizi da cui si può evincere la buona fede sono :

Effettiva esistenza nel cedente di una efficiente ed adeguata struttura operativa (locali e strumenti idonei, presenza di titolari e/o dipendenti)

Capacità dell’impresa cedente di fornire autonomamente i beni acquistati

Utilizzo di mezzi di pagamento tracciabili (bonifici, assegni)

Presenza nel cedente di indici di capacità commerciale (clientela qualificata, pubblicità, o rilevante giro di affari)

Non aver ottenuto alcun vantaggio o beneficio economico dalla eventuale frode cui ha partecipato il venditore (beni a prezzi inferiori, ristoro di pagamenti fatti per contanti)

Conservazione della copia degli altri documenti attestanti gli impegni contrattuali che hanno dato origine alla cessione (contratti stipulati con il venditore, scambio di mail, trattative)

10 aprile 2017

Isabella Buscema