Il destino del credito IVA in assenza di dichiarazione

in caso di controllo formale che evidenzia l’omessa presentazione della dichiarazione IVA il contribuente può lo stesso provare (con mezzi adeguati) l’esistenza di un credito a suo favore; segnaliamo una recente sentenza della Cassazione e alcuni utili spunti difensivi per il contribuente che ha omesso una dichiarazione IVA a credito

Principio

Il giudice del rinvio, fermo che non è in contestazione che l’eccedenza IVA risultava dalle liquidazioni periodiche, dovrà verificare la sussistenza del diritto alla detrazione della contribuente (la cui prova è a carico della medesima e non può essere desunta dalle sole avvenute liquidazioni periodiche ma, ad esempio, attraverso l’esibizione dei registri IVA e delle relative liquidazioni, delle fatture e di ogni altra documentazione ritenuta utile), ossia che sussistano i requisiti sostanziali previsti dall’art. 17, par. 2, della sesta direttiva (ossia, che «gli acquisti siano stati effettuati da un soggetto passivo, che quest’ultimo sia parimenti debitore dell’IVA attinente a tali acquisti e che i beni di cui trattasi siano utilizzati ai fini di proprie operazioni imponibili»). Tale assunto è stato statuito dalla Corte di Cassazione con la sentenza del 17 marzo 2017 n. 6921 .

Vicenda

Il giudice del gravame ha annullato la cartella di pagamento, emessa a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione Modello Unico 2003, presentata per l’anno 2002 dove la parte contribuente aveva esposto un credito IVA riportato dalla precedente annualità 2001, rispetto alla quale, tuttavia, la dichiarazione annuale era mancante, pur risultando pacificamente il credito d’imposta dalle liquidazioni periodiche regolarmente;in particolare , esso ha evidenziato che la risoluzione 74/E del 19 aprile 2007 della stessa Agenzia delle entrate,aveva riconosciuto il diritto del contribuente a computare il credito IVA relativo ad una annualità in cui risulti omessa la dichiarazione finale.

Pronuncia

Gli Ermellini, con la pronuncia citata, hanno accolto per fondatezza il ricorso del fisco sulla base delle seguenti articolate argomentazioni. Le Sezioni Unite (Sez.Un., n. 17757 del 2016) hanno affermato, che “La neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l’eccedenza d’imposta, che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciuta dal giudice tributario se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione, sicché, in tal caso, nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato non può essere negato il diritto alla detrazione se sia dimostrato in concreto, ovvero non sia controverso, che si tratti di acquisti compiuti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili“.

Il contribuente, pertanto, può portare in detrazione l’eccedenza d’imposta anche in assenza della dichiarazione annuale finale (e fino al secondo anno successivo a quello in cui è sorto il diritto) purché essa risulti dalle dichiarazioni periodiche e siano rispettati i requisiti sostanziali per poter fruire della detrazione. Non vi è, invece, la necessità e l’obbligatorietà di dare ingresso all’accertamento induttivo (che comunque impone, per legge, pur sempre lo scomputo dei versamenti se effettuati per operazioni reali e inerenti), valendo il principio che l’amministrazione finanziaria non può pretendere la restituzione di somme per ragioni di pura forma senza addurre rilievi sulla loro effettiva spettanza, principio quest’ultimo affermato non solo dalla giurisprudenza interna ma anche da quella eurounitaria, laddove si prevede che il contribuente documenti la sussistenza dei soli requisiti sostanziali del diritto a detrazione di cui all’art. 17 della sesta direttiva e “si mettono in guardia gli Stati membri da meccanismi di rimborso artificiosi e tali da mettere a rischio l’immediata neutralità dell’imposizione sul valore aggiunto” (Sez.Un., n. 17757 cit., in motivazione).

Va anzi rilevata la compatibilità della situazione in esame con il ricorso alla procedura automatizzata: la mancata presentazione di una dichiarazione fiscale, infatti, costituisce circostanza idonea a rappresentare una di quelle notizie che rilevano come dato storico e fattuale e consentono l’avvio della procedura automatizzata, dovendo il fisco provvedere in sede di controllo «sulla base dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni fiscali presentate e di quelli in possesso dell’anagrafe tributaria», che registra appunto la presentazione (e, dunque, l’omissione) delle dichiarazioni medesime. L’infrazione è da ritenersi emendabile sul piano del rapporto impositivo laddove si disponga ugualmente delle informazioni necessarie per dimostrare che il soggetto passivo (Cass. n. 3586 del 2016), in quanto acquirente, ha il diritto di recuperare l’imposta pagata a titolo di rivalsa (Cass. n. 25871 del 2015), sempreché non risulti in concreto impedita la prova dell’adempimento dei requisiti sostanziali (Cass. n. 4612 del 2016).

Giova evidenziare, del resto, che se il contribuente si attiene agli obblighi formali-contabili prescritti dalla normativa interna grava sull’Amministrazione fiscale che intenda disconoscere il diritto a detrazione negando la corrispondenza della realtà effettuale a quella rappresentata nelle scritture contabili l’onere della relativa contestazione e della consequenziale prova; mentre, se a tali obblighi non si attiene, spetta al contribuente fornire adeguata prova dell’esistenza delle condizioni sostanziali cui la normativa comunitaria ricollega l’insorgenza del diritto alla detrazione, dimostrando che, in quanto destinatario di transazioni commerciali, è debitore dell’IVA e titolare del diritto di detrarre l’imposta (Cass. n. 7576 del 2015). Si tratta di circostanze che restano riservate a quell’accertamento in fatto da parte del giudice di merito (Cass. n. 5072 del 2015), che è da compiersi con la latitudine suggerita, in tesi generale, dalla stessa Corte di giustizia (v. in causa C-85/95, Reisdorf)

Il contribuente può recuperare il credito IVA

Se la dichiarazione è stata omessa ma si dimostra che il relativo credito è derivato da acquisti inerenti l’attività d’impresa, il contribuente ha diritto a recuperarla, specie se lo stesso risulta dalle liquidazioni periodiche regolarmente presentate. Vero è che il fisco può comunque contestare un tale credito (derivante da una dichiarazione omessa) anche a seguito di controlli automatizzati della dichiarazione e procedere alla relativa iscrizione a ruolo. In merito al credito derivante da omessa dichiarazione (sentenza n. 17757), la Corte ha statuito che il rapporto di natura tributaria con il fisco scaturisce da un’operazione lecita ed effettiva talchè gli obblighi che ne derivano (dichiarazione, registrazione…) hanno solamente una funzione illustrativa dei relativi dati al fine di consentire al fisco di poter verificare agevolmente gli stessi onde procedere alla riscossione delle imposte. Pertanto ciò che conta ai fini della detraibilità è solo il carattere sostanziale ed effettivo del credito. Ai fini della detraibilità occorre la effettività degli acquisti da un soggetto passivo e la utilizzazione di detti beni per finalità proprie (operazioni imponibili). Altro è la violazione formale dell’omessa dichiarazione Iva che però non implica l’impossibilità di detrazione nel caso in cui vi siano altre prove a sostegno.

Il giudice tributario dovrà pertanto riconoscere il credito Iva se il contribuente dimostra che sostanzialmente ha diritto alla detrazione: in tali casi il fisco potrà provvedere alla correzione del credito anche mediante controllo automatizzato. In tali ipotesi (omessa dichiarazione annuale) il controllo automatizzato è comunque legittimo; pertanto l’Ufficio può procedere all’iscrizione a ruolo dell’imposta detratta ed emettere la conseguente cartella di pagamento. Tale controllo (automatizzato) non attiene alla sostanza e non ha carattere valutativo, ma rappresenta lo strumento mediante il quale si riscontra la correttezza dei dati dichiarati in raffronto con quelli già presenti nell’anagrafe tributaria. Ed ancora, la legittimità di tale controllo deriva dal fatto che in ogni caso al contribuente è garantita la possibilità di dimostrare in altro modo il proprio credito.

La norma nazionale non contrasta con i principi comunitari, laddove imponga un termine entro cui esercitare il proprio diritto. Più precisamente, il contribuente può detrarre il credito Iva entro la scadenza prevista per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto. Il contribuente che abbia utilizzato entro tali termini il credito derivante dalla dichiarazione omessa, ha rispettato le previsioni normative, a nulla rilevando che la dimostrazione dei requisiti sostanziali avvenga in un momento successivo. ciò che conta ai fini della detraibilità è solo il carattere sostanziale ed effettivo del credito. Per tale ragione occorre consentire al contribuente di dimostrare l’esistenza del credito Iva (non dichiarato) attraverso altre prove e idonea documentazione (fatture, registri iva…). Dai principi comunitari si evince che ai fini della detraibilità occorra la effettività degli acquisti da un soggetto passivo e la utilizzazione di detti beni per finalità proprie (operazioni imponibili).

Altro è la violazione formale dell’omessa dichiarazione Iva che però non implica l’impossibilità di detrazione nel caso in cui vi siano altre prove a sostegno. Il giudice tributario dovrà pertanto riconoscere il credito Iva se il contribuente dimostra che sostanzialmente ha diritto alla detrazione: in tali casi il fisco potrà provvedere alla correzione del credito anche mediante controllo automatizzato. Se il contribuente ritiene realmente spettante il credito non dichiarato, egli possa attestarne l’esistenza con la relativa documentazione, tramite registri IVA, fatture e materiale inerente o equipollente.

In tale situazione, la dimostrazione dell’esistenza contabile del credito nel contraddittorio col Fisco pone il contribuente in condizione equivalente a quella nella quale si sarebbe trovato se avesse correttamente presentato la dichiarazione. Ciò implica che se l’esistenza contabile e l’effettività sostanziale del credito maturato viene confermata, l’ufficio ha il potere di scomputare l’importo del credito dalle somme complessivamente dovute in esito al controllo automatizzato. E, in sostanza, tutto ciò non esclude che tale accertamento non possa essere fatto dal giudice tributario di merito in seguito all’impugnazione della cartella.

Giova precisare che le conclusioni a cui sono pervenute le Sezioni Unite valgono pure per il riporto a nuovo di crediti imposte sui redditi e IRAP derivanti da dichiarazioni omesse, nella misura in cui sia dimostrata la loro effettività. Peraltro , la possibilità di riconoscere il credito IRAP e imposte sui redditi in sede di accordo stragiudiziale è stata condivisa dalle circolari dell’Agenzia delle Entrate 6.8.2012 n. 34 e 25.6.2013 n. 21.

31 marzo 2017

Ignazio Buscema