Accertamento scatta per irregolarità non giustificate

di Davide Di Giacomo

Pubblicato il 14 marzo 2017

in presenza di eventuali irregolarità contabili non giustificate dal contribuente, l’ufficio può emanare un accertamento del maggior reddito d’impresa - il caso riguarda l'applicazione degli studi di settore

EbookIn presenza di eventuali irregolarità contabili non giustificate dal contribuente, l’ufficio può emanare un accertamento del maggior reddito d’impresa.

Il principio è contenuto nella sentenza n. 3984/2017 della Suprema Corte da cui emerge che allorché le irregolarità non siano giustificate (riduzione percentuale di ricarico) il contribuente dovrà provare che i ricavi siano inferiori a quelli induttivamente determinati.

Gli studi di settore

L’art. 39 del Dpr. n. 600/1973 disciplina il potere di accertamento dell’ufficio finanziario che in presenza di irregolarità contabili può procedere ad accertamento analitico, utilizzando gli stessi dati forniti dal contribuente; quando invece riscontri un’inattendibilità globale delle scritture contabili può procedere, ai sensi del secondo comma della stessa norma, al metodo induttivo. L’attività degli Uffici finanziari, comunque, subisce delle limitazioni, essendo prevista una garanzia per il contribuente nei cui confronti siano stati eseguiti accertamenti, verifiche; quest’ultimo, infatti, può comunicare all’ufficio, entro il termine di sessanta giorni, osservazioni e richieste che dovranno essere valutate in ordine ai dati ed elementi su cui si fonderà l’accertamento (art. 12 L. 212/2000).

Gli studi di settore rappresentano degli indici rilevatori di una possibile anomalia della condotta fiscale del contribuente, emergente dallo scostamento delle dichiarazioni dei redditi relative all’ammontare dei ricavi o dei compensi rispetto a quello che l’elaborazione statistica fissa come il livello “normale” in riferimento all’attività svolta.

I parametri elaborati con gli studi di settore consentono di valutare i ricavi o i compensi che possono imputarsi al contribuente attraverso mirate analisi economiche e tecniche statistico-matematiche. I medesimi consentono di tracciare i rapporti che possono originarsi tra le variabili strutturali e contabili delle società costituite da lavoratori autonomi in relazione al settore economico di appartenenza, ai processi produttivi utilizzati, all’organizzazione e ai servizi oggetto dell’attività.

L’ufficio fa ricorso agli studi di settore al fine dell’attività di controllo e del contribuente per accertare, in sede di dichiarazione, la congruità dei ricavi dichiarati e dei valori economici attinenti l’attività di settore; rappresentano mezzi di accertamento parziali rientranti nel dettato dell’art. 39, co 1, lett. d), D.P.R. n. 600/1973, e il contraddittorio (l n. 146/199) è l’elemento determinante per adeguare alla concreta realtà economica del singolo contribuente l’ipotesi dello studio di settore.

Nella fattispecie in esame una ditta di autoricambi ha impugnato l’accertamento con cui l’ufficio aveva accertato un maggiore reddito d’impresa.

In primo grado il ricorso è stato accolto parzialmente, mentre la CTR ha ritenuto che, in presenza di irregolarità contabili i ricavi andavano abbattuti in via equitativa del 50% attesi gli studi di settore.

La Suprema Corte ha ritenuto illogica la ricostruzione fatta dai giudici di merito i quali non potevano procedere all’abbattimento del 50% in via equitativa, atteso che il contribuente avrebbe dovuto provare i fatti impeditivi del maggior ricarico determinato dall’ufficio; la ricostruzione dei ricavi dei giudici di merito è stata eseguita su elementi di determinazione del reddito non fondati su una prova specifica e che comunque non è ammessa dalla legge la quale non attribuisce al giudice un potere di determinazione del reddito di tipo equitativo.

In tema di accertamento delle imposte dirette, in caso di omessa presentazione del prospetto analitico delle rimanenze finali, l’ufficio può procedere ad accertamento induttivo, attraverso una determinazione della percentuale di ricarico dei prezzi di vendita rispetto a quelli di acquisto, purché questa sia fondata su un campione di merci rappresentativo e adeguato per qualità e quantità in relazione al fatturato complessivo mediante percentuali di ricarico dei singoli beni rilevate dai documenti esaminati e su criteri logici fondati su una media aritmetica o ponderale.

Inoltre la prova presuntiva dei maggiori ricavi, idonea a fondare l’accertamento con il metodo analitico-indittivo ex art. 39, co. 1, lett. d), Dpr n. 600/1973, può essere desunta da una condotta commerciale anomala. Infatti è contra legem da parte del una drastica riduzione della percentuale di ricarico normalmente applicata nell’anno precedente e in quello successivo, senza che tale anomalia sia giustificata da fenomeni di contingenza economica, cali della domanda, difficoltà negli approvvigionamenti od esigenze di smaltimento di magazzino del contribuente.

Sul tema la giurisprudenza ha ritenuto che in casi di accertamento derivante da studi settore, se in contraddittorio vi è stato accordo tra fisco e contribuente, l’onere della prova può essere ribaltato dall’ufficio finanziario al contribuente (Cass sent. n. 15604/2016).

E’ stato affermato, inoltre, che l’accertamento induttivo che rileva “costi esorbitanti” rispetto ai redditi dichiarati dal contribuente è legittimo; la mancata dimostrazione dei costi contestati dall’ufficio può giustificare costi così elevati solo se il contribuente avesse fornito la prova dell’esistenza ed inerenza dei medesimi.

La giurisprudenza di merito ha affermato che, in caso di accertamento basato sugli indici di capacità contributiva (standards), l’onere della prova su eventuali incongruenze contabili spetta all’ufficio finanziario; è necessario provare le varie incongruenze contabili emerse in sede di accertamento, tenendo conto anche della realtà socio-economica in cui opera l’azienda. ( CTP Rieti. n. 184/2016).

14 marzo 2017

Davide Di Giacomo