l’incompletezza delle fatture non porta automaticamente alla legittimità dell’accertamento induttivo. Se non è ricostruito il reddito in maniera veritiera, l’accertamento induttivo su fatture incomplete si può annullare.
La sentenza della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione n. 1119/17, sostiene che l’accertamento induttivo su fatture incomplete può essere annullato nel caso in cui il giudice non consideri possibile la ricostruzione del reddito del contribuente.
I giudici, sottolineando che l’incompletezza delle fatture non porti automaticamente alla legittimità dell’accertamento induttivo, hanno respinto il ricorso del Fisco avverso una S.r.l..
Il caso esaminato dalla Corte Suprema di Cassazione, ha inizio con il ricorso della S.r.l. alla Commissione Tributaria provinciale contro l’avviso di accertamento redatto sulla base di un verbale di constatazione dal quale emergevano, induttivamente, ricavi non contabilizzati e, così, recuperati a tassazione.
La Commissione provinciale rigettò il ricorso portando la S.r.l. a proporre ricorso alla Commissione Tributaria Regionale.
La CTR accolse parzialmente il ricorso annullando la rettifica per l’omessa contabilizzazione dei ricavi.
Contro la sentenza di primo grado, l’Ufficio propose ricorso agli Ermellini, presentando i seguenti motivi, chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata:
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con il primo motivo si denunciava la violazione e falsa applicazione dell’art. 39, c. 1 e dell’art. 54, c. 2, del D.P.R. n. 633/72 e degli artt. 2697 e 2723 c.c. in relazione all’art. 360, c. 1, n. 3 c.p.c.;
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con il secondo motivo si lamentava l’insufficienza e contraddittorietà della motivazione relativamente ad un fatto controverso e decisivo del giudizio ex art. 360, c. 1 c.p.c.;
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in subordine, l’Agenzia ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 39, c. 1 del D.P.R. 600/73 e degli artt. 2 e 35, c. 3 del D.lgs n. 546/92 e dell’art. 277 c.p.pc in relazione all’art. 360, c. 2 c.p.c..
La società si è costituita presentando un controricorso eccependo l’inammissibilità dei motivi proposti dall’Ufficio chiedendo la riforma della sentenza impugnata relativamente alla parte in cui avrebbe escluso l’indeducibilità dei costi.
La Suprema Corte analizza entrambi i motivi del gravame insieme, piochè connessi, e li considera infondati.
Gli Ermellini sottolineano la legittimità dell’iter procedendi della CTR in quanto avrebbe applicato correttamente i principi delle norme dell’accertamento induttivo.
In vero, con il primo motivo l’Agenzia avrebbe rilevato la non corretta applicazione delle presunzioni: si sarebbe dispensato il soggetto dalla prova poiché non sarebbero stati valorizzati i dati prodotti dall’Ufficio.
In particolare l’accertamento si sarebbe fondato sulla presunta incompletezza delle fatture societarie, sottolineandone la mancanza di una precisa indicazione del prezzo dei macchinari e delle ore di manodopera cedute.
Così come giurisprudenza consolidata (vedi Corte di Cassazione n. 10080/14 e n. 13068/11), l’accertamento analitico induttivo, al fine di rettificare componenti reddituali ci può essere ex art. 39, c. 1, lett. d, del D.P.R. 600/73, anche in presenza di contabilità tenuta regolarmente che potrebbe essere contestata in presenza di presunzioni gravi, precise e concordanti in modo tale da far dubitare della completezza e regolarità dell’intera contabilità.
Nel caso di specie il Fisco avrebbe posto in essere l’accertamento induttivo sulla base delle fatture oggettivamente incomplete sottolineando, inoltre, l’omessa consegna delle schede tecniche di lavorazione, dei listini prezzi e di tutte le informazioni tecniche delle commesse e manutenzioni fatte.
Post, dunque, la legittimità dell’accertamento, lo stesso non avrebbe condotto ad un risultato possibile secondo la CTR.
La Commissione Tributaria Regionale ha sottolineato che il metodo di calcolo del costo della mano d’opera potrebbe essere utilizzato dal Fisco solo per recuperare i ricavi della vendita dei servizi ma non certo per valorizzare la mano d’opera incorporata nei prodotti finiti: dunque, la corte d’appello avrebbe considerato erroneo il criterio di calcolo per determinare il valore della mano d’opera impiegata per i servizi indicati nelle fatture incomplete.
Per quanto sopra, non può esserci nessuna violazione delle norme, così come riportata dal ricorrente, poiché l’accertamento in esame non è stato basato su fatti storici e i fatti accertati non possono essere il fondamento del ragionamento presuntivo poiché non interpretabili a livello univoco.
Infatti, l’iter logico alla base del meccanismo presuntivo, base dell’accertamento induttivo, parte dalla certezza del fatto da cui discende l’accertamento del fatto non noto.
Nel caso di specie, non essendo il verbale interpretabile univocamente, l’accertamento induttivo su fatture non costituisce fatto storico: quest’ultimo è un evento naturalistico non controverso.
Per quanto sopra, si considerano entrambi i motivi infondati.
Infondato è anche il motivo proposto dal controricorso del contribuente circa il fatto che la CTR non avrebbe rideterminato l’effettiva quantità dei ricavi poiché il giudice accogliendo parzialmente il gravame ha rigettato vari punti di ricorso del soggetto.
A giudizio della Suprema Corte, il Giudice di secondo grado ha correttamente applicato le norme in tema di presunzioni inoltre la CTR, riscontrata l’illegittimità dell’accertamento, avrebbe potuto solo disporre l’annullamento parziale dell’avviso impugnato mentre la mancata rideterminazione dei ricavi è solo da considerare una valutazione di merito, preclusa alla Corte.
Anche il ricorso incidentale è infondato poiché il non riconoscimento della deduzione dei costi sostenuti da dipendenti di terza società vorrebbe un riesame del merito.
6 febbraio 2017
Sonia Cascarano