La responsabilità tributaria del socio accomandatario in caso di estinzione della società

cosa accade se al socio accomandatario di una S.a.s. cessata viene notificata una cartella per debiti riguardanti la società? Quali sono le (eventuali) responsabilità del socio della società cessata? Analizziamo la disciplina civilistica dello scioglimento della S.a.s. e della responsabilità dei soci per i debiti, anche tributari

documentoLa Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 13805 del 6.7.2016, ha espresso chiare considerazioni sui presupposti di responsabilità tributaria dei soci accomandatari in caso di estinzione della società.

Nel caso di specie la Commissione Tributaria Regionale aveva rigettato l’appello dell’Agenzia delle Entrate contro la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, che aveva accolto il ricorso del contribuente, annullando la cartella di pagamento per IVA – IRAP – IRPEF e sanzioni relative al periodo d’imposta 2005 e dovute (per effetto di avviso di accertamento ed atto di contestazione, divenuti definitivi perché non impugnati) dalla società, di cui lo stesso contribuente era socio accomandatario, nel frattempo cancellata dal registro delle imprese.

La cartella era stata appunto notificata al contribuente come socio accomandatario (in ragione dell’80% delle quote), e perciò coobbligato solidale.

La CTR, dopo avere evidenziato che il contribuente aveva eccepito che la società era stata cancellata il 30.3.2006 e che non vi era prova che esso socio avesse beneficiato di distribuzioni in sede di bilancio finale, essendo stato inoltre, a suo avviso, anche violato il principio del beneficium excussionis, motivava la decisione dando preliminarmente atto che “la materia del contendere concerne iscrizione a ruolo di carico erariale derivante da accertamento definitivo nei confronti della menzionata società“, sicché era errata la doglianza dell’ufficio che, in sede di appello, aveva sostenuto trattarsi dell’esazione dei soli redditi personali del socio.

L’iscrizione a ruolo di tali imposte, secondo i giudici di merito, siccome effettuata a seguito di cessazione di attività e conseguente cancellazione dal registro delle imprese risalenti al marzo 2006, era da ritenersi “illegittima alla luce del novellato art.2495 c.c.“.

Infatti, (nella specie di causa) al ricorrente era stata notificata una cartella con iscrizione di IVA – IRAP – addizionali – interessi – sanzioni dovute dalla società in cui il contribuente era socio accomandatario e quindi, giusta previsione dell’art. 2313 c.c., responsabile solidalmente ed illimitatamente per le obbligazioni sociali (comprese quelle tributarie, limitatamente ad IVA – IRAP), mentre non trovava applicazione l’IRPEF, che è imposta personale e perciò erroneamente inserita nella operata iscrizione a ruolo.

Al contribuente, invece, si sarebbe potuto richiedere “solo l’equivalente della somma conferita e tale richiesta poteva essere effettuata solo dopo infruttuosa escussione del patrimonio sociale“, attesa la responsabilità illimitata e solidale del socio prevista dall’art. 2291 c.c., da esigersi pur sempre (a norma dell’art. 2304 c.c.) allorché vi sia prova che il creditore non abbia potuto soddisfarsi sul patrimonio della società.

Non avendo l’Amministrazione finanziaria fornito prova di detta preventiva escussione, la stessa, ad avviso della CTR, avrebbe quindi potuto agire solo per l’equivalente della quota conferita (di ammontare ben diverso di quello preteso dall’Amministrazione stessa).

L’Agenzia proponeva ricorso per cassazione e dopo avere eccepito che la cartella in questione era stata notificata al contribuente nella sua qualità di socio accomandatario della predetta società, e perciò solidalmente ed illimitatamente responsabile ex art. 2313 c.c. per le obbligazioni sociali e dunque anche per le obbligazioni tributarie della società, si doleva del fatto che il giudice del merito avesse (sostanzialmente) qualificato la cartella di pagamento come atto esecutivo, mentre essa era esclusivamente l’atto conclusivo dell’iter che conduceva alla formazione del titolo esecutivo (parificabile all’atto di precetto), preannunciando l’esercizio dell’azione esecutiva, con conseguente inapplicabilità dell’art. 2304 c.c., che disciplina il beneficium excussionis relativamente alla sola fase esecutiva.

Con altro motivo di impugnazione (incentrato sulla violazione degli artt. 2313 e 2495 c.c.) l’Agenzia ricorrente si doleva poi del fatto che la CTR avesse ritenuto che il contribuente potesse essere chiamato a rispondere delle obbligazioni tributarie sociali nei soli limiti proporzionali alla quota conferita (80% del capitale), mentre invece le obbligazioni della sas (pacificamente cancellata al 30.03.2006) si erano automaticamente trasferite al socio, che (appunto perché accomandatario) rispondeva personalmente ed illimitatamente dei debiti sociali.

I motivi di impugnazione, secondo i giudici di legittimità erano fondati e da accogliersi.

La Suprema Corte, evidenziato che, alla stregua di quanto la parte ricorrente espressamente assumeva, il thema decidendum era limitato alla sola parte concernente la formazione del titolo esecutivo sui debiti ex origine sociali (e non anche di quelli personali, dei quali pure il giudice del merito si era occupato), con conseguente passaggio in giudicato delle statuizioni contenute nella pronuncia impugnata a riguardo di detti ultimi debiti, sottolineava quindi come nel caso di specie si controvertiva esclusivamente delle obbligazioni che al contribuente competevano come socio personalmente ed illimitatamente responsabile.

In quest’ottica, il primo motivo di impugnazione appariva manifestamente fondato alla luce dell’indirizzo interpretativo recepito dalla giurisprudenza di legittimità, laddove la Corte aveva già avuto modo di evidenziare che: “Il beneficio d’escussione previsto dall’art. 2304 civ.cod. ha efficacia limitatamente alla fase esecutiva, nel senso che il creditore sociale non può procedere coattivamente a carico del socio se non dopo avere agito infruttuosamente sui beni della società, ma non impedisce allo stesso creditore d’agire in sede di cognizione per munirsi di uno specifico titolo esecutivo nei confronti del socio, sia per poter iscrivere ipoteca giudiziale sugli immobili di quest’ultimo, sia per poter agire in via esecutiva contro il medesimo, senza ulteriori indugi, una volta che il patrimonio sociale risulti incapiente o insufficiente al soddisfacimento del suo credito“. (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1040 del 16/01/2009; Conformi: Cass. Sez. 1, Sentenza n. 13183 del 26/11/1999; Cass. Sez. L, Sentenza n. 3211 del 04/03/2003; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 28146 del 17/12/2013).

Alla stessa stregua, appariva manifestamente fondato anche il secondo motivo di impugnazione, avendo il giudice di merito erroneamente limitato la responsabilità illimitata e solidale del contribuente alla sola quota conferita, nonostante fosse pacifico che egli fosse socio accomandatario e che perciò, ex. art. 2313 cod civ, avesse la responsabilità illimitata e solidale dei debiti sociali (diversamente da quanto avviene per i socio accomandanti, per i quali la medesima norma prevede il limite massimo della quota conferita).

Restava infine del tutto irrilevante, secondo la Corte, quanto la CTR aveva poi argomentato a riguardo dell’intervenuta estinzione e cancellazione della società, atteso che le obbligazioni che nella specie di causa si facevano valere erano rette dagli specifici titoli fondati sulle menzionate norme degli artt. 2313 – 2403 c.c., e perciò, senza necessità che si dimostrasse, da parte della creditrice-esattrice, che vi era stata specifica ripartizione dell’attivo sociale risultante dal bilancio finale di liquidazione (rispetto alla qual cosa l’obbligazione del contribuente era del tutto autonoma ed indifferente).

Infine i giudici di legittimità ricordano anche il principio di diritto già enunciato da Cass. Sez. Unite, Sentenza n. 6070 del 12/03/2013, secondo il quale: “Dopo la riforma del diritto societario, attuata dal d.lgs. n. 6 del 2003, qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale:

a) l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, ‘pendente societate’, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali;

b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo“.

La Corte evidenzia infatti come da detto principio consegue che il menzionato beneficium excussionis (quand’anche fosse stato rilevante) sarebbe stato comunque del tutto infondatamente invocato, avendo titolo l’Amministrazione a far valere la responsabilità illimitata del socio accomandatario anche a mente dell’art. 2495 c.c..

In conclusione, visto il disposto dell’art. 2495, c.c., che ricollega l’effetto “estintivo” delle società dotate di personalità giuridica alla pubblicità costitutiva della iscrizione della cancellazione dal registro delle imprese, una volta estinta la società, i diritti vantati dai creditori della società, rimasti insoddisfatti, possono essere fatti valere nei confronti dei soci nei limiti e alle condizioni sopra indicate.

Anche con la sentenza n. 13259 del 26 giugno 2015 la Corte era peraltro intervenuta sulla questione della responsabilità dei soci per i debiti tributari della società in caso di estinzione del soggetto giuridico, rilevando che la cancellazione della società dal registro della imprese, pur provocando l’estinzione dell’ente debitore, non comporta la sparizione dei debiti insoddisfatti che la società aveva nei riguardi dei terzi (tra cui anche l’Amministrazione Finanziaria), determinandosi un fenomeno di tipo successorio, in dipendenza del quale i soci sono gli effettivi titolari dei debiti sociali.

Tale responsabilità non ha quindi carattere sanzionatorio, ma riguarda direttamente l’obbligazione tributaria della società rimasta inadempiuta.

Come affermato anche dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza nr. 6070, depositata il 12 marzo 2013, per non ledere il diritto di difesa tutelato dall’art. 24 Cost., deve infatti escludersi che la cancellazione dal registro, pur provocando l’estinzione dell’ente debitore, determini al tempo stesso la sparizione dei debiti insoddisfatti che la società aveva nei riguardi dei terzi.

Deve pertanto escludersi che la cancellazione dal registro, pur provocando l’estinzione dell’ente debitore, determini la sparizione tout court dei debiti insoddisfatti che la società aveva nei riguardi dei terzi, essendo possibile concludere che questi debiti si trasferiscono con un meccanismo di tipo successorio.

 

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6 febbraio 2017

Giovambattista Palumbo