Dichiarazione integrativa a favore tra legge di interpretazione autentica e principio del favor rei

come funziona la dichiarazione integrativa a favore del contribuente dopo le novità del pacchetto Legge di bilancio 2017: la gestione degli eventuali crediti del contribuente derivanti dall’integrativa; gli svluppi processuali in caso di contenzioso…

Maccari-CiceroContrasto giurisprudenziale in tema dichiarazione rettificativa “a favore

Una parte della giurisprudenza1 era favorevole ad una interpretazione “logica” che permetteva di correggere la dichiarazione entro i termini di decadenza dell’accertamento; i giudici tributari accoglievano, talvolta, il ricorso sull’assunto della natura non decadenziale del termine breve di cui al comma 8-bis dell’articolo 2 del Dpr 322/1998, ammettendo in ogni caso la possibilità della presentazione della dichiarazione integrativa entro i termini di cui all’articolo 43 del Dpr 600/1973. Altra giurisprudenza ,compresa da ultimo la Cassazione a Sezione Unite2, e l’Amministrazione Finanziaria hanno, invece ,preteso la presentazione della dichiarazione rettificativa “a favore” entro il termine di scadenza della dichiarazione dell’anno successivo (praticamente un anno)3. Per il fisco il credito emergente dalla dichiarazione integrativa a favore presentata oltre il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo non poteva essere riconosciuto come utilizzabile in compensazione o detrazione, poteva ssere chiesto a rimborso ai sensi dell’articolo 38 del dpr 602/73 se ne ricorrevano i presupposti e non era ancora decorso il relativo termine, atteso che l’istanza di rimborso poteva essere presentata entro 48 mesi dalla data del versamento in eccesso.

Ius superveniens

Con l’articolo 5 del D.L. 193 del 22 ottobre 2016 (in GU del 24/10/2016), sono riscritti i commi 8 e 8 bis del D.P.R. 322 del 22 luglio 1998 , ovvero sono previsti “nuovi” termini per la presentazione della “dichiarazione integrativa a favore” che mira a correggere un errore che ha comportato un minor credito o un maggior debito per il contribuente interessato. Precisamente, se la dichiarazione integrativa “a favore” è presentata entro il termine prescritto per la trasmissione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, il credito che ne deriva ai fini delle imposte sui redditi e dell’Irap può essere utilizzato in compensazione. Ai fini Iva può essere portato in detrazione in sede di liquidazione periodica o di dichiarazione annuale, compensato o rimborsato. Viceversa ,il credito che risulta dalla dichiarazione integrativa, presentata dopo il termine fissato per l’invio della dichiarazione relativa al periodo successivo:

per le imposte sui redditi e l’Irap si può compensare con i debiti maturati dall’anno successivo a quello in cui è presentata la dichiarazione;

per l’Iva non è detraibile in sede di liquidazione periodica o di dichiarazione né utilizzabile in compensazione.

In caso di integrazione della dichiarazione dei redditi, dell’Irap o dei sostituti d’imposta trasmessa oltre il termine di presentazione di quella relativa al periodo successivo, il credito può essere utilizzato in compensazione ma solo “per eseguire il versamento di debiti maturati a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione integrativa”. Inoltre, nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui è presentata la dichiarazione integrativa va indicato il credito che deriva dal minor debito o dal maggiore credito risultante dalla dichiarazione integrativa nonché l’importo eventualmente già utilizzato in compensazione. Se, ad esempio, viene presentata nel 2018, la dichiarazione integrativa relativa al 2015, dopo il termine fissato per l’invio della dichiarazione relativa al periodo successivo, dalla quale emerge un maggior credito, questo può essere utilizzato in compensazione dei debiti maturati dal 2019 in avanti (saldo 2018 e acconti 2019)e il contribuente deve indicare nella dichiarazione modello 2020 relativa al 2019 i dati richiesti dalla norma.

Il Dl 193 (nuovo comma 8-bis) dispone, quindi, specifiche disposizioni sulla compensazione. Il credito che deriva da una dichiarazione integrativa a favore (redditi, Irap e sostituti) risulta compensabile. Tuttavia, se l’integrativa è presentata oltre il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo successivo, il credito che ne emerge può essere usato in compensazione solo per eseguire “il versamento di debiti maturati a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione integrativa”. II credito che emerge dalla dichiarazione integrativa a favore è liberamente compensabile se la stessa viene presentata entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo successivo, mentre se l’integrativa viene presentata dopo, la compensazione incontra le limitazioni sopra specificate4. Per l’emendabilità della dichiarazione Iva vengono invece stabilite delle regole diverse. Le dichiarazioni integrative Iva, sia a favore che a sfavore, sono emendabili entro i termini di decadenza dell’accertamento. Viene però previsto che solo il credito che emerge dalla dichiarazione integrativa inviata entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno solare successivo risulta compensabile oppure scomputabile in detrazione in sede di liquidazione o di dichiarazione annuale. Lo stesso credito Iva può anche essere richiesto a rimborso, se ci sono i requisiti di legge.

Valenza di norma interpretativa

Con l’articolo 5 del decreto legge 193 dello scorso 22 ottobre 2016 , quindi , sono stati riscritti i commi 8 e 8bis del D.P.R. 322 del 22 luglio 1998, attribuendo a queste disposizioni il significato che tutti, tranne le sezioni unite della Cassazione e l’Amministrazione finanziaria, hanno tentato finora di dare, e cioè che tutte le correzioni delle dichiarazioni, sia quelle a favore dell’amministrazione Finanziaria, sia quelle a favore del contribuente, vanno fatte entro il termine di decadenza, mentre quello “breve” di cui al comma 8 bis si applica solo nel caso in cui dalla dichiarazione corretta emerga un credito e tale credito lo si voglia chiedere in compensazione. A queste nuove disposizioni deve essere attribuito il significato di interpretazione autentica sulla base delle seguenti argomentazioni. L’articolo 5 del D.L. 193 del 22 ottobre (in G.U. del 24/10/2016), assume la valenza giuridica di ius superveniens avente carattere interpretativo rispetto alla norma precedente contenuta nei commi 8 e 8 bis del D.P.R. 322 del 22 luglio 1998 dunque con efficacia retroattiva sui rapporti d’imposta non ancora definiti5.

Giova ricordare che le condizioni di ammissibilità della legge di interpretazione autentica sono:

  1. la legge di interpretazione autentica ha efficacia retroattiva e di conseguenza è applicabile ai rapporti d’imposta sorti prima della sua entrata in vigore e non ancora definiti

  2. il giudicato si pone come limite suscettibile d’impedire il dispiegamento di efficacia della nuova norma d’interpretazione autentica al caso concreto

  3. è ammissibile, ai sensi dell’articolo 11 delle preleggi e degli articoli 1 e 3 della legge n. 212/2000 (Statuto del contribuente), quella legge di interpretazione autentica che presuppone il contenuto non in equivoco della norma interpretata e la riconducibilità dell’esegesi prescelta dal legislatore a una delle alternative prima ammissibili

  4. il dettato della norma interpretativa deve ridurre univocamente e non eccedere la portata precettiva teorica della disposizione precedente.

Per individuare una legge d’interpretazione autentica con effetto retroattivo, occorre fare riferimento non solo alla cosiddetta autoqualificazione (lettera della legge, intitolazione della legge, lavori preparatori, obbligatoria ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge n. 212/2000), ma anche a indicatori obiettivi, come la struttura della fattispecie normativa; occorre che la disposizione interpretata e la disposizione interpretante si saldino per formare un precetto normativo unitario.

La legge d’interpretazione autentica si integra con la disposizione che interpreta ma non la sostituisce; la disciplina da applicare al caso singolo va desunta dalla congiunta vigenza della disposizione interpretata e della disposizione interpretativa. La legge di interpretazione autentica ha la caratteristica di non potersi applicare da sola dovendosi necessariamente integrare con la disposizione interpretata di cui costituisce una parte: la norma interpretativa manca d’autonomia rispetto alla norma base; viceversa, la norma innovativa sostituisce il contenuto precettivo della norma precedente ossia non si limita a formulare il precetto normativo ma ne modifica la sostanza. Va riconosciuto carattere interpretativo soltanto a una legge che, fermo il tenore testuale della norma interpretata, ne chiarisce il significato normativo ovvero privilegia una tra le tante interpretazioni possibili, di guisa che il contenuto precettivo è espresso dalla coesistenza delle due norme (quella antecedente e quella successiva che ne esplica il significato), le quali rimangono entrambe in vigore e sono quindi idonee a essere modificate separatamente .La funzione della legge d’interpretazione autentica è quella di dichiarare il senso di norme preesistenti al fine di rimediare sia a interpretazioni giurisdizionali diverse sia a eventuali incertezze interpretative. Le leggi interpretative, dirette a chiarire il significato di norme previdenti, finiscono per attribuire a leggi anteriormente emesse un significato eventualmente sfuggito ai contribuenti e agli esperti. La giurisprudenza costituzionale ha più volte affermato che il legislatore può adottare norme che precisino il significato di altre disposizioni legislative non solo quando sussista una situazione di incertezza nell’applicazione del diritto o vi siano contrasti giurisprudenziali, ma anche in presenza di un indirizzo omogeneo della Corte di cassazione, quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore (vd., tra le altre, le sentenze n. 311 del 1995 e n. 397 del 1994 e l’ordinanza n. 480 del 1992).

Effetti e tutela processuale del contribuente

Anche prima del citato ius superveniens il contribuente presentava una dichiarazione integrativa a proprio favore oltre il termine di invio di quella relativa al periodo d’imposta successivo. Si pensi ad una “tardiva” dichiarazione integrativa per il 2010, presentata nel 2014, per crediti ires derivante da investimenti ambientali effettuati nel 2010 ex legge 388/2000 ,con compensazione6 coi debiti maturati dall’anno successivo (2015) a quello in cui è presentata la dichiarazione (2014). Se, quindi, è stata presentata nel 2014 la dichiarazione integrativa relativa al 2010, dalla quale emergeva un maggior credito Ires per investimenti ambientali, questo può essere utilizzato in compensazione dei debiti maturati dal 2015 e in avanti (saldo Irpef 2014 e acconti per il 2015) e il contribuente deve indicare nella dichiarazione relativa al 2015(dichiarazione originaria o integrativa) i dati richiesti dalla norma.

Nel caso in cui sia stata notificata una cartella di pagamento con iscrizione a ruolo ex articolo 36-bis del Dpr 600/1973 e/o articolo 54-bis del Dpr 633/1972, che segue un precedente avviso bonario7, l’eventuale ricorso avverso tale cartella, dove si eccepiva l’omessa considerazione da parte dell’Amministrazione di una dichiarazione integrativa, presentata oltre il termine prescritto dalla norma (articolo 2, comma 8-bis, del Dpr 322/1998), può essere destinato a essere accolto dal giudice tributario alla luce del citato ius superveniens, dotato di valenza retroattiva. È configurabile l’ammissibilità dei motivi aggiunti basati sulla sopravvenuta invalidità (si pensi alla norma sopravvenuta retroattiva, alla sentenza ex tunc della Consulta, alla pronuncia definitiva ella C.T. caducante l’atto presupposto) dell’atto impugnato (i.e. cartella di pagamento con iscrizione a ruolo ex articolo 36-bis del Dpr 600/1973 e/o articolo 54-bis del Dpr 633/1972, che segue un precedente avviso bonario); viceversa, non rilevano fatti conosciuti (i.e. successiva conoscenza di norme) o circostanze sopravvenute (i.e. nuovo indirizzo giurisprudenziale) dopo la proposizione del ricorso.

Lo ius superveniens, dopo la proposizione del ricorso, permette, in virtù della lettura costituzionalmente orientata dell’articolo 24 del D.Lgs. 546/92,la configurabilità dei cd. motivi aggiunti. La ratio è quella di tutelare il diritto alla difesa del contribuente che al momento della proposizione del ricorso introduttivo era impossibilitato a conoscere lo ius superveniens. Con tale memoria integrativa, legittimata dal citato ius superveniens non si impugna un atto diverso da quello impugnato con il ricorso introduttivo; il motivo aggiunto si limita a reiterare o ribadire il petitum del ricorso introduttivo. Il petitum è già definito e precisato nell’atto introduttivo e quindi non viene a essere ampliato da tale motivo aggiunto, la cui funzione è limitata ad arricchire la causa petendi. Non si ha mutatio libelli consistente nell’ampliamento sostanziale del petitum (i.e. conversione della richiesta di nullità parziale in richiesta di nullità totale). La disciplina procedimentale, dei motivi aggiunti, s’ispira a quell’analoga vigente per la proposizione del ricorso introduttivo; la proposizione deve avvenire mediante un atto, che contenga gli elementi essenziali previsti dall’articolo 18 del D.Lgs. 546/92. Il termine di 60 giorni, per la proposizione del motivo aggiunto, decorre dalla conoscenza legale dello ius superveniens o della sentenza ex tunc della Consulta (Gazzetta Ufficiale di pubblicazione della legge o della sentenza ex tunc della Consulta). La memoria integrativa va notificata, nelle identiche forme previste per la notificazione del ricorso, alla parte resistente anche non costituita, affinché questa ultima sia in grado di valutare l’opportunità di costituirsi in relazione all’ampliamento del thema decidendum. A seguito della notificazione, a tutte la parti in causa, la memoria integrativa va depositata, entro il termine perentorio di 30 giorni, in segreteria della C.T. Provinciale, la quale è obbligata ad annotarla nel registro generale ex articolo 25 del D.Lgs. 546/92.

Principio del favor rei

Può essere applicabile il principio del favor rei, ossia la disposizione prevista dall’articolo 3 del Decreto Legislativo 472/1997 secondo la quale “nessuno può essere assoggettato a sanzione per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile“. In sede giudiziaria, non è necessaria un’apposita richiesta di parte al fine di godere della non punibilità: i giudici, infatti, possono applicare il favor rei anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, anche di legittimità, sempre che l’atto non sia diventato definitivo (Cass., Sez. V, 24/01/2013, n. 1656). Se è già stata pronunciata una sentenza favorevole all’ufficio che il contribuente non intende impugnare, occorrerà richiedere, in autotutela l’annullamento della sanzione (i.e. sanzione prevista del 30 % per ritardato od omesso versamento ex articolo 13 del dlgs 471/1997) poiché il fatto (i.e. compensazioni di crediti con dichiarazione integrativa presentata oltre il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo successivo e quindi non liquidata dall’ufficio) secondo la legge posteriore (articolo 5 del D.L. 193 del 22 ottobre 2016), non costituisce più violazione punibile (trattasi di utilizzo in compensazione di crediti esistenti e spettanti secondo le modalità di legge).

Ove, invece, si è in attesa della discussione, prudenzialmente si possono presentare delle memorie, ovvero si può rilevare direttamente in udienza, che la parte sanzionatoria deve essere comunque annullata. Secondo la circolare n 4/e del 4 marzo 2016 per gli atti pendenti davanti alle C.T., nel caso in cui la sanzione sia stata abolita (articolo 3, comma 2, dlgs 218/1997) gli uffici emettono un nuovo atto e ne danno comunicazione all’interessato e all’organo giudicante.

7 febbraio 2017

Ignazio Buscema

1 La dichiarazione dei redditi del contribuente, affetta da errore sia esso di fatto che di diritto, è emendabile e ritrattabile anche in sede contenziosa, quando dalla medesima possa derivare l’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico, entro un termine decadenziale che non può coincidere con il termine fissato per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, come stabilito dall’art. 2, c. 8bis, del Dpr 22 luglio 1998, n. 322, in quanto tale ultima scadenza è funzionalmente collegata alla sola possibilità di compensazione (Cassazione, sentenza 5399/2012).

2 Le sezioni unite dalla Cassazione con sentenza n. 13378 del 30 giugno 2016 hanno precisato che la possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi, per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d’imposta o di un minor credito, mediante la dichiarazione integrativa di cui all’art. 2 c. 8-bis del dpr n. 322/1998, è esercitabile non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa ai periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante. Viceversa, la possibilità di presentare una dichiarazione integrativa sfavorevole al contribuente (correggendo cioè errori od omissioni che determinano un maggior gettito per l’Amministrazione finanziaria) è ammessa fino al 31 dicembre del quarto anno successivo, vale a dire entro i termini per l’accertamento. Il rimborso dei versamenti diretti di cui all’art. 38 del dpr n. 602/1973 è esercitabile entro il termine di decadenza di 48 mesi dalla data del pagamento, indipendentemente dai termini e modalità della dichiarazione integrativa. Il contribuente, tuttavia, in sede contenziosa può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull’obbligazione tributaria. Il contribuente, indipendentemente dalle modalità e dai termini di cui alla dichiarazione integrativa prevista dall’art. 2, D.P.R. n. 322 del 1998, e dall’istanza di rimborso di cui all’art. 38, D.P.R. n. 602 del 1973, in sede contenziosa, può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull’obbligazione tributaria. Il contribuente ha il diritto di opporsi alla maggiore pretesa tributaria azionata dal fisco (anche con diretta iscrizione a ruolo a seguito di controllo automatizzato) allegando errori (di fatto o di diritto) commessi nella sua redazione ed incidenti sull’obbligazione tributaria; dichiarazione integrativa e quella originaria si fondono, il controllo automatico non può che riguardare la “dichiarazione fiscale emendata”, a prescindere dai termini di decadenza enunciati nel già citato art. 2 c. 8-bis.

3 L’agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 459/2008, correggendo la propria linea interpretativa già espressa con la risoluzione n. 24/2007 (nella quale aveva sostenuto che, per il contribuente, l’unica possibilità di rimediare agli errori commessi consiste nel presentare una dichiarazione integrativa a favore entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo e che, trascorso tale termine, il contribuente non poteva in alcun modo recuperare le maggiori imposte versate, nemmeno mediante istanza di rimborso – ex articolo 38, Dpr 602/1973), ha riconosciuto la possibilità del contribuente di recuperare le (eventuali) maggiori imposte versate a seguito di errori commessi a proprio sfavore nella compilazione della dichiarazione dei redditi, sia con la presentazione della dichiarazione integrativa, entro il termine prescritto, sia con un’istanza di rimborso (ex articolo 38), nel termine di quattro anni dalla data di versamento.

4 Una persona fisica a dicembre 2016, quindi dopo il 30 settembre 2016, si accorge di avere dimenticato di indicare nel modello Unico 2015, redditi 2014, oneri deducibili riferiti alla previdenza complementare. A seguito dell’indicazione dei citati oneri il soggetto matura un maggior credito Irpef, rispetto a quello indicato nella dichiarazione originaria, per 1.320 euro. Il contribuente che presenta l’integrativa a favore entro la fine del 2016, intende utilizzare il maggior credito per compensare l’eventuale saldo Irpef 2016 e gli acconti per il 2017. È necessario inviare telematicamente il modello Unico 2015 integrativo con tutti i quadri compilati entro il 31 dicembre 2016. Il maggior credito indicato nella dichiarazione integrativa a favore, presentata nel 2016, potrà essere utilizzato in compensazione con i debiti maturati a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in cui la stessa è stata presentata (ovvero il 2017). Nel caso di specie, pertanto, il credito medesimo può essere compensato con l’eventuale saldo Irpef 2016 e con gli acconti 2017. Nel modello Unico 2017 presentato per i redditi del 2016 andrà indicato il maggior credito risultante dalla dichiarazione integrativa nonché l’ammontare dello stesso utilizzato in compensazione.

5 Secondo una precisa ricostruzione ermeneutica in assenza di disposizioni transitorie nel decreto legge 193/2016, l’estensione del periodo di presentazione delle dichiarazioni con indicazione di un minor debito o di un maggior credito d’imposta opera immediatamente anche con riferimento alla correzione a proprio favore di modelli riguardanti esercizi precedenti il 2015. Il recupero del nuovo credito nel modello F24 potrà avvenire solo compensando debiti di imposta maturati dal 2017. Da subito, sono dunque divenute nuovamente emendabili a proprio favore le dichiarazioni riferite al 2014, a12013, al 2012 e, fino al prossimo 31 dicembre 2016, quelle del 2011. Qualora la dichiarazione a favore sia trasmessa oltre il 30 settembre dell’anno seguente a quello di scadenza originario, la compensazione del credito in essa evidenziato potrà effettuarsi solo a fronte di debiti fiscali “maturati” dal periodo di imposta successivo a quello di presentazione. Si sostiene che il riferimento dovrebbe essere all’anno di competenza del tributo come indicato in F24. Se in questi giorni viene presentata un’integrativa a favore Ires sul 2013, il relativo credito potrà essere compensato – ad esempio- con l’Iva a partire da quella di gennaio 2017 (16 febbraio) o con l’Irap da versare a giugno 2017 come primo acconto per tale anno. Non dovrebbe, invece, essere compensabile l’Iva di dicembre 2016 da pagare il 6 gennaio 20l7 o il saldo Irap 2016 (scadenza giugno 2017).

6 In tema di agevolazioni fiscali per le aree svantaggiate, il credito d’imposta maturato in favore del contribuente ai sensi dell’art. 8, c. 5, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, pur dovendo essere indicato nella dichiarazione dei redditi, non è incluso nell’imponibile, e, perciò, può essere utilizzato solo come “strumento” di pagamento a mezzo della “compensazione” prevista dall’art. 17, c.a 1, del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, atteso che, il meccanismo previsto dal combinato disposto delle norme citate in quanto la duplice finalità di evitare il successivo trascinamento e rimborso del credito fiscale derivato dall’agevolazione, ne impone l’immediata utilizzazione quale “strumento” di pagamento, anche ai fini di assicurare certezza al bilancio statale (Cass. civ. Sez. V, 19-02-2014, n. 3948). In tema di agevolazioni tributarie, lo speciale credito d’imposta, a parziale copertura dell’incremento dei costi di trasporto, in favore delle imprese autorizzate all’esercizio dell’autotrasporto per conto di terzi, iscritte nell’albo degli autotrasportatori, riconosciuto dall’art. 13, c. 1, del d.l. 27 aprile 1990, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 giugno 1990, n. 165, non concorre alla formazione del reddito imponibile, e l’eventuale eccedenza, ai sensi dell’art. 10, c. 12, del d.l. 13 maggio 1991, n. 151, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 202, è scomputabile soltanto dai versamenti delle imposte sui redditi e dell’IVA da effettuare nel periodo d’imposta successivo a quello di pertinenza. Ne consegue che, in sede di dichiarazione, tale eccedenza non può essere inserita nel procedimento di liquidazione dell’imposta, mediante esposizione nell’ambito indistinto dell’eccedenza d’imposta da utilizzare incondizionatamente in avvenire, consentendosene altrimenti l’uso oltre i limiti prescritti (Cass. civ. Sez. V, 27-01-2014, n. 1567).

7 Il disconoscimento del credito di imposta non può avvenire mediante l’emissione di una cartella di pagamento avente ad oggetto il relativo importo, ma richiede un previo avviso di recupero di credito di imposta (atto espressamente contemplato dall’articolo 1, comma 421, della legge n. 311/04, ma che l’Amministrazione ha il potere di emettere anche prima dell’introduzione di tale disposizione nell’ordinamento); in difetto di previo avviso di recupero,è necessario quanto meno l’avviso bonario, la cui mancanza è stata quindi correttamente ritenuta dalla Commissione Tributaria Regionale causa di illegittimità della cartella impugnata (Cass. Sez. T. 31-05-2016 n. 11292). In tema di controllo automatizzato ex articolo 36bis dpr 600/1973 il mancato invio del cd avviso bonario comporta come effetto la riduzione delle sanzioni ad 1/3 (CTR Roma 14-06-2011 n. 163 sez. 10). I termini di decadenza per il recupero di crediti di imposta non spettanti non decorrono dall’anno in cui è maturato il diritto alla fruizione, ma da quando il credito è stato effettivamente utilizzato in compensazione. La decadenza non opera dall’acquisizione del diritto al credito, ma dal momento della compensazione. L’avviso di recupero, da emanarsi a norma dell’articolo 43 d.P.R. 600/73 entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione (termine prorogato ad otto anni dall’articolo 27, commi da 16 a 20, del d.l. n. 185/2008, convertito dalla l. n. 2/2009), può essere emesso non solo per recuperare la somma corrispondente all’utilizzo del credito oltre la percentuale consentita ma anche per il recupero di crediti opposti in compensazione ritenuti inesistenti, quand’anche il termine sia scaduto in relazione a periodi di imposta pregressi ove il credito è stato utilizzato per la percentuale consentita (Cassazione, sez. Tributaria, sentenza n. 15190/16; depositata il 22 luglio 2016)