A proposito di imposta sulla pubblicità

proponiamo un riassunto delle ultime interpretazioni giurisprudenziali in tema di imposta sulla pubblicità: il soggetto passivo dell’imposta comunale sulla pubblicità è colui che, a qualsiasi titolo, dispone del mezzo attraverso il quale il messaggio pubblicitario viene diffuso e, pertanto, è tenuto al pagamento del tributo in via principale – nell’articolo puntiamo il mouse su lacuni casi anomali

fiscus-stadioL’imposta sulla pubblicità, disciplinata agli artt. 1 – 37 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, si applica con le modalità indicate dall’art. 71 sulla diffusione di messaggi pubblicitari effettuata attraverso forme di comunicazione visive o acustiche diverse da quelle assoggettate ai diritti sulle pubbliche affissioni, esposte o effettuate nell’ambito del territorio comunale in luoghi pubblici o aperti al pubblico o, comunque, da tali luoghi percepiti.

L’art. 6 del D.Lgs. n. 507/1993 prevede che il soggetto passivo dell’imposta comunale sulla pubblicità è colui che, a qualsiasi titolo, dispone del mezzo attraverso il quale il messaggio pubblicitario viene diffuso e, in quanto tale, è tenuto al pagamento del tributo in via principale.

Invece il regolamento dell’esenzione dalla imposta de qua, rintracciabile nell’art. 17, del citato decreto, prevede (tra le varie elencazioni) al comma 1, lettera a, che non sia soggetta all’imposta la pubblicità effettuata all’interno degli stessi locali in cui si svolge “l’attività(sia essa vendita di beni o prestazione di servizi) reclamizzata, e alla lettera b dispone la medesima estraneità per gli avvisi al pubblico esposti nelle vetrine o sulle porte di ingresso dei locali, o in mancanza nelle immediate adiacenze del punto di vendita, relativi all’attività svolta, nonché quelli riguardanti la localizzazione e l’utilizzazione dei servizi di pubblica utilità, che non superino la superficie di mezzo metro quadrato e quelli riguardanti la locazione o la compravendita degli immobili sui quali sono affissi, di superficie non superiore ad un quarto di metro quadrato.

Detta fattispecie astratta ha dovuto, da sempre, confrontarsi con una casistica estremamente variegata che ha indaffarato sensibilmente sia la prassi sia la giurisprudenza e l’attenzione delle commissioni si è concentrata molto frequentemente su un aspetto, piuttosto ricorrente in liti del genere, quale la qualificabilità del luogo di ubicazione delle insegne come “pubblico” o “aperto al pubblico”.

Questo perchè il giudice deve verificare la corrispondenza del caso concreto alla fattispecie astratta ex art. 5 del D.Lgs. n. 507/1993, norma che (appunto) indica la configurabilità del presupposto dell’imposta de qua in coincidenza dell’apposizione del messaggio pubblicitario in un mezzo-materiale apposto in “luoghi pubblici” o “aperti al pubblico” e, pertanto, l’identificazione (o meno) con una delle due descritte tipologie vale quale ragione discriminativa ai fini della manifestazione della pretesa e questo conseguenza della indubbia visibilità del mezzo-messaggio da parte di un numero indeterminato e indiscriminato di soggetti, questi ultimi corrispondenti a potenziali destinatari di un messaggio che diventa ipso facto pubblicitario.

Tal tipo di esame è meno facile di quel che sembra, come riprova l’impegno profuso dalla giurisprudenza per distinguere i singoli casi di specie, spesso facendo ricorso alle definizioni espresse nelle norme di Pubblica sicurezza, nonché alle accezioni che riguardano lo ius in generale, ove può dirsi “luogo pubblico”, quello in cui può accedere chiunque senza alcuna particolare formalità, essendo quello il suo scopo e utilizzo normale e prevalente, e “luogo aperto al pubblico” quello spazio in cui “chiunque” può accedere limitatamente all’osservanza di alcune regole stabilite dal legittimo proprietario (ad esempio orari di apertura e chiusura) che può essere un soggetto ben diverso da un ente pubblico.

Tale aspetto, talvolta, è stato risolto con il ricorso, da parte della commissione giudicante, del “fatto notorio” del centro commerciale quale “luogo aperto al pubblico” (CTr della Puglia con la sentenza n. 2131 del 2014); in altre i collegi hanno dovuto affrontare le eccezioni relative alla natura non pubblicitaria di quelle insegne, che (secondo quanto adombrato dai ricorrenti) assumono una funzione solo indicativa-direzionale della attività commerciale. A tal proposito si coglie l’occasione per rammentare che la giurisprudenza di legittimità guarda con assoluto rigore tal tipo di ipotesi in quanto (a titolo del tutto esemplificativo) anche i segnali di industria (contemplati dal codice della strada per assolvere l’esclusiva funzione di fornire agli utenti della strada informazioni necessarie o utili per la guida e per la individuazione di località, itinerari, servizi e impianti) non escludono la idoneità pubblicitaria degli stessi cartelli, perché sono segni distintivi del luogo ove dette attività vengono svolte e si rivolgono ad una massa indeterminata di possibili acquirenti e utenti svolgendo pertanto, per la loro natura, una funzione pubblicitaria, la quale non deve necessariamente accompagnarsi a una vera e propria operazione propagandistico-reclamistica. In altre parole, ai fini della assoggettabilità all’imposta in questione, è sufficiente l’idoneità pubblicitaria dell’iscrizione, così come confermato dalla disciplina complessiva del D.Lgs. n. 507/1993 che prevede come esenzioni dall’imposta (art. 17) particolari e delimitate ipotesi di avvisi al pubblico (lettera b), mentre ogni forma di comunicazione al pubblico non potrebbe essere esente da registrazione considerata oggetto dell’imposta, se dovesse accogliersi l’interpretazione restrittiva sostenuta da molti contribuenti (Cass. n. 17852 del 2004 e n. 23383 del 2009).

Interessante è poi la decisione assunta recentemente dalla Corte di Cassazione (Cass. civ. Sez. V, Sent., 24-06-2015, n. 13023) in riferimento alla pubblicità esposta sui pannelli degli apparecchi automatici di distribuzione di alimenti e bevande localizzati all’interno della stazione ferroviaria. La parte contribuente, nel caso di specie, richiamava l’ art. 5, c. 1, del D.Lgs. n. 507 del 1993, che prevede che “la diffusione dei messaggi pubblicitari effettuata attraverso forme di comunicazione visive o acustiche, diverse da quelle assoggettate al diritto sulle pubbliche affissioni, in luoghi pubblici o aperti al pubblico o che sia da tali luoghi percepibile è soggetta all’ imposta sulla pubblicità“; in forza di tale norma, secondo il teorema difensivo prospettato, il giudice adìto avrebbe dovuto tener conto della differenza tra stazione ferroviaria generalmente intesa ed area di accesso ai binari cui possono accedere, secondo regolamento di Trenitalia, i soli possessori di biglietto ferroviario.

Nell’occasione, la Corte (richiamando un proprio precedente cfr. Cass. civ. sez. 5 15 febbraio 2012, n. 2167) ha rammentato che, ai fini specifici dell’imposta de qua si deve considerare comunque aperto al pubblico lo spazio interno della stazione ferroviaria il cui accesso sia consentito ai soggetti muniti di biglietto di viaggio; ciò in quanto, dalla normativa in materia, si evince che il presupposto impositivo debba essere individuato nell’astratta possibilità del messaggio, in rapporto all’ubicazione del mezzo, di avere un numero indeterminato di destinatari, che diventano tali solo perchè vengono a trovarsi in quel luogo determinato (cfr. anche Cass. civ. sez. 5 2 ottobre 2009, n. 21161 e Cass. civ. sez. 5 8 settembre 2008, n. 22572).

29 dicembre 2016

Antonino Russo

1 Ai sensi dell’art. 8 del D.Lgs. n. 507/1993 il soggetto passivo è tenuto, prima di iniziare la pubblicità, a presentare al comune apposita dichiarazione, anche cumulativa, nella quale devono essere indicate le caratteristiche, la durata della pubblicità e l’ubicazione dei mezzi pubblicitari utilizzati.