Transfer price e nozione di controllo societario

la definizione di controllo societario è fondamentale per definire l’ambito di applicazione del transfer price; in questo articolo puntiamo il mouse su un’anomalia poco nota: ai fini del transfer price si applica una nozione di controllo più ampia rispetto a quella definita nel codice civile

documentoLa Corte di Cassazione, con la sentenza n.8130 del 22 aprile 2016, si è occupata, fra l’altro, della nozione di controllo, nell’ambito del cd. transfer price, la cui normativa ha la finalità di consentire all’Amministrazione finanziaria un controllo dei corrispettivi applicati alle operazioni commerciali e/o finanziarie intercorse tra società collegate e/o controllate residenti in nazioni diverse, al fine di evitare che vi siano aggiustamenti artificiali di tali prezzi, determinati dallo scopo di ottimizzare il carico fiscale di gruppo (cfr. art. 110, c. 7, T.U.I.R. secondo cui “i componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, determinato a norma del comma 2, se ne deriva aumento del reddito; la stessa disposizione si applica anche se ne deriva una diminuzione del reddito, ma soltanto in esecuzione degli accordi conclusi con le autorità competenti degli Stati esteri a seguito delle speciali “procedure amichevoli” previste dalle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni sui redditi. La presente disposizione si applica anche per i beni ceduti e i servizi prestati da società non residenti nel territorio dello Stato per conto delle quali l’impresa esplica attività di vendita e collocamento di materie prime o merci o di fabbricazione o lavorazione di prodotti“).

Il principio fissato in ordine al rapporto di controllo

Per la contestazione del transfer price è necessario che l’operazione sia posta in essere tra imprese in rapporto di controllo.

La Corte, sul punto, evidenzia che “di tale concetto, però, né la norma interna né quella contenuta nel Modello OCSE forniscono una definizione. Per colmare tale lacuna parte della dottrina e della giurisprudenza di merito fanno riferimento alla nozione civilistica di controllo di cui all’art. 2359 c.c., comma 1, in relazione alla quale possono considerarsi controllate solamente:

1) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;

2) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria;

3) le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa’.

Altra parte della dottrina e – come sopra s’è detto – la sentenza qui impugnata considerano, invece, questa nozione troppo limitativa sia sotto il profilo soggettivo, sia sotto quello oggettivo. Reputa questa Corte che quest’ultima opzione interpretativa meriti di essere condivisa e che quindi infondate siano le censure sul punto svolte dalla ricorrente. Militano in favore della tesi estensiva ragioni di carattere testuale e soprattutto teleologiche, legate allo scopo antielusivo della norma fiscale. Sotto il primo profilo varrà anzitutto rimarcare che, come detto, la norma fiscale non rinvia per la definizione del concetto all’articolo 2359 del codice civile: circostanza questa che non può apparire casuale e priva di significato ove si consideri che numerose sono invece le norme, in ambito fiscale ed anche nello stesso T.U.I.R., che, nel richiamare il concetto di controllo, lo definiscono espressamente… Manca dunque una nozione generale di controllo, ai fini fiscali, a cui riferirsi e, d’altro canto, lo stesso non sempre integrale richiamo all’art. 2359 cod. civ., le volte in cui a questo il legislatore fa esplicito rinvio, impediscono di considerarlo quale sicuro riferimento sussidiario. Il silenzio serbato nella ipotesi in esame appare, dunque, espressivo di una precisa scelta della volontà del legislatore di non vincolare la nozione di controllo fiscale a quella civilistica. Indice testuale in tal senso è del resto anche rappresentato dal fatto che, per la identificazione del soggetto interno cui applicare la disciplina di contrasto al fenomeno del transfer pricing in presenza di una situazione di controllo, la norma usa il termine ‘impresa’ (concetto ovviamente più ampio e comprensivo di società, cui mal si attaglierebbe dunque il concetto di controllo quale definito dall’art. 2359 cod. civ., facendo questo riferimento esclusivamente a rapporti tra due o più società). La scelta appare poi sicuramente funzionale ai fini perseguiti dal legislatore fiscale, certamente diversi e non sovrapponibili a quelli della norma civilistica e rispetto ai quali non può non tenersi conto nella interpretazione della norma dell’esigenza di assegnare alla stessa un tasso di elasticità che la renda capace di attagliarsi alle varie ipotesi in cui, indipendentemente dalla ricorrenza dei rigidi requisiti civilistici, possa apprezzarsi l’influenza di un’impresa sulle decisioni imprenditoriali di un’altra. In tale prospettiva appare evidente che un concetto di controllo circoscritto a vincoli contrattuali od azionari risulta troppo riduttivo, non permettendo di sconfinare in considerazioni di fatto di carattere meramente economico essenziali per disciplinare un fenomeno fiscale come quello del transfer pricing. Condivisibile appare in tal senso il richiamo da parte della C.T.R. alle indicazioni fornite dalla Circolare ministeriale n. 32 del 22 settembre 1980 che, ancorché ovviamente non vincolante per l’interprete, offre tuttavia una chiave di lettura della norma che appare da un lato non smentita dal dato testuale e dall’altro coerente alle sue finalità antielusive. Secondo tale circolare ‘il concetto di controllo deve essere esteso ad ogni ipotesi di influenza economica potenziale o attuale desumibile da singole circostanze’ tra le quali – per quel che in questa sede Interessa – ‘a) vendita esclusiva di prodotti fabbricati dall’altra impresa; b) impossibilità di funzionamento dell’impresa senza il capitale, i prodotti e la cooperazione tecnica dell’altra impresa;… i) controllo di approvvigionamento o di sbocchi;… m) in generale tutte le ipotesi in cui venga esercitata potenzialmente o attualmente un’influenza sulle decisioni imprenditoriali’.

Il caso attenzionato

Nel caso di specie, la situazione di controllo deriva dalla “previsione contrattuale in virtù della quale la contribuente, priva di per sè di alcuna struttura commerciale, aveva affidato alla società estera, titolare del 24% del capitale della prima, l’incarico di provvedere in esclusiva alla commercializzazione dei propri prodotti, ragionevolmente vedendo in ciò realizzata l’ipotesi contemplata nella citata interpretazione ministeriale che, fra le circostanze ritenute sintomatiche dell’influenza anche solo potenziale di una società 11 sulle decisioni imprenditoriali di altra società, indica – come detto – anche la vendita di prodotti fabbricati dall’altra impresa e l’impossibilità di funzionamento dell’impresa senza il capitale, i prodotti e la cooperazione dell’altra. La C.T.R. ha anche espressamente considerato al riguardo l’obiezione opposta dalla ricorrente circa la riconosciuta (dall’ufficio) esistenza di una indipendenza tecnica, rispetto alla società consociata, rilevando che ‘tale indipendenza … è stata apprezzata in sede di verifica, unicamente sotto il profilo tecnico dichiarato dalle parti e non è dunque estensibile … all’aspetto decisionale e concretamente gestionale dell’attività di impresa’“.

Brevi note

La Circolare ministeriale del 22 settembre 1980, prot. n. 9/2267, emanata dopo la pubblicazione del rapporto OCSE del 16 maggio 1979, ha esplicitato che il rapporto di controllo, ai fini dell’applicazione dell’art. 110, c. 7, del T.U. 917/1986, non è riconducibile nei soli limiti previsti dall’art.2359 del codice civile, ma deve essere esteso “ad ogni ipotesi di influenza economica potenziale o attuale desumibile da varie circostanze”.

Tale pensiero ministeriale è stato riprodotto nella successiva circolare n.42/12/1587 del 12 dicembre 1981,che ha precisato che il criterio di collegamento che determina l’alterazione dei prezzi di trasferimento è costituito spesso dall’influenza di un’impresa sulle decisioni imprenditoriali dell’altra, che va ben oltre i vincoli contrattuali od azionari, sconfinando in considerazioni di fatto meramente economico.

L’anzidetta nozione di controllo trova riscontro sia nella settima direttiva del 13 giugno 1983 del Consiglio della Comunità Europea, sia nella nuova formulazione dell’art.2359 del Codice Civile, così come modificato dall’art. 1 del D.Lgs. 09.01.1991 n. 127.

Si ricorda che la stessa circolare del 1980 puntualizza che, se l’esistenza di un solo elemento “di fatto” non sempre consente di sostenere l’esistenza del controllo, più elementi “di fatto”, possono, invece, costituire prova sufficiente (non potendosi, comunque, prescindere – ai sensi dell’art. 39, c. 1, lett. d, del D.P.R. n. 600/73 – dal ricorso a presunzioni semplici, munite dei requisiti di gravità, precisione e concordanza1) della sussistenza del nesso di dipendenza, così che ogni previsione costituisca una presunzione, la quale, unita alle altre, integra il requisito della “gravità, precisione e concordanza”, richiesto dall’art. 2729 c.c..

Si ha controllo quando una società è in condizione di indirizzare l’attività di un’altra società nel senso da essa voluto e la soggezione ad una direzione unitaria che caratterizza un gruppo di società si verifica anche nell’ipotesi di identità delle persone fisiche degli amministratori delle varie società.

7 novembre 2016

Gianfranco Antico

1 Cfr. BAUSONE, Transfer pricing – Brevi considerazioni, “il fisco”, n.9/1993, pagg.2799 e seguenti.