La forza probatoria dei valori OMI a fini accertativi (con utilissimi spunti per ricorsi tributari)

in caso di accertamento di un prezzo indicato in un atto di compravendita immobiliare, qual è la forza probatoria da attribuire ai valori OMI usati dal Fisco per valutare statisticamente il prezzo di un immobile? I valori OMI che siano maggiori rispetto al valore dichiarato in atti non bastano da soli a giustificare la rettifica di quest’ultimo, essendo necessario che a detta presunzione semplice si aggiungano ulteriori elementi

monopoli-newLa Commissione Tributaria Regionale della Toscana, con la sentenza n. 776/9/16 del 28 aprile 2016, ha deciso in ordine ad una questione di grande attualità: la forza probatoria dei valori OMI ai fini accertativi.

Nel caso di specie la Commissione Tributaria Provinciale di Firenze aveva accolto parzialmente i ricorsi riuniti, presentati avverso l’avviso di rettifica e liquidazione a seguito della rideterminazione del valore dichiarato di € 1.035.000,00, riportato nell’atto di compravendita di un magazzino, in € 1.568.000,00.

L’Amministrazione Finanziaria giustificava il maggior valore dell’immobile sulla base dei valori OMI di riferimento, che, per la zona, erano compresi tra € 900,00 ed € 1.700,00 al metro quadro.

Diversamente i ricorrenti ritenevano congruo il prezzo dichiarato in quanto il magazzino ricadeva in zona di degrado urbano ed era stato oggetto di continui controlli ed ispezioni da parte delle Forze dell’Ordine per contrastare situazioni di illegalità.

Lo stesso valore dichiarato era da ritenersi comunque prossimo al valore massimo OMI, come evidenziavano le relazioni tecniche depositate descrittive del bene, e poste a corredo della comunicazione di inizio lavori della costruzione al suo interno di un box prefabbricato.

Il Collegio di primo grado osservava dunque che le imposte liquidate afferivano al valore venale in comune commercio del bene, come si evince dal combinato disposto degli artt. 43 e 51, c. 2, del DPR n.131/1986 e, non tanto al corrispettivo contrattualmente definito.

Pertanto l’Ufficio doveva avere riguardo:

a) a trasferimenti, a qualsiasi titolo, anteriori di non oltre tre anni dalla data dell’atto considerato, di immobili con analoghe caratteristiche e condizioni,

b) al loro reddito netto,

c) ad ogni elemento di valutazione eventualmente fornito dai comuni.

I giudici di merito evidenziavano anche che la Corte di Cassazione aveva stabilito che l’avviso di accertamento risultava sufficientemente motivato se conteneva anche uno solo dei criteri sopra riportati (sent. n. 16742 del 16.07.2010) e che comunque la legge Comunitaria 7 luglio 2009, n. 88, non aveva modificato l’assetto legislativo preesistente circa la rilevanza dei valori OMI in materia di imposte indirette, limitandosi ad intervenire solo in materia di IVA e di imposte dirette.

Nel merito infine i giudici rilevavano che il valore dichiarato dai contribuenti di € 1115,30 a mq era prossimo al valore minimo OMI di € 900,00 a mq, e questo anche se l’immobile era stato oggetto di ampliamenti e varie ristrutturazioni, laddove comunque il degrado urbano sostenuto da parte ricorrente era già stato preso in considerazione nella valutazione OMI, senza però per questo potersi giustificare l’applicazione dei valori massimi operata dall’Ufficio.

Conseguentemente, in parziale accoglimento del ricorso, il valore accertato dall’Ufficio veniva ridotto a € 1.500,00 a metro quadro.

La sentenza veniva quindi appellata dalla contribuente, la quale eccepiva il difetto di motivazione della pronuncia, che aveva comunque fatto riferimento ai soli valori OMI, compresi fra il massimo ed il minimo, senza indicare i precisi motivi e le metodologie utilizzate nella rideterminazione del valore dei beni.

L’appellante sottolineava quindi come, a suo avviso, i valori OMI non avessero alcuna forza probatoria vincolante, essendo il risultato di elaborazioni statistiche e di larga massima da adattarsi poi alla fattispecie concreta, laddove peraltro il fabbricato era stato acquistato tramite un contratto di leasing immobiliare a seguito di opportuna perizia dell’istituto di leasing sul valore del magazzino.

L’ufficio, per conto suo, proponeva appello incidentale per la parte di soccombenza, eccependo comunque l’infondatezza delle doglianze di controparte per le quali una rettifica fondata esclusivamente sui dati OMI non sarebbe stata sufficiente a dimostrare il maggior valore accertato, necessitando il concorso di ulteriori elementi di valutazione.

In proposito l’Ufficio richiamava il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 27.07.2007, nel quale, in attuazione della legge n. 296/2006, art.1, comma 307, erano stati definiti i criteri da seguire per determinare il valore venale in comune commercio, di cui all’art. 51, c. 2, DPR 131/1986, disponendo che gli uffici potessero avvalersi del nuovo metodo matematico per calcolare il valore di mercato dell’immobile oggetto di trasferimento ed avendo dunque tale metodo di calcolo pieno valore probatorio.

Conseguentemente spettava al contribuente provare la propria diversa valutazione del bene oggetto di accertamento.

La Commissione Tributaria Regionale, respinto l’appello incidentale dell’Ufficio, nel merito ha dunque ritenuto che i valori OMI siano un possibile punto di riferimento per la determinazione del valore venale degli immobili quando non risultano reperibili a tal fine gli altri indicatori di cui agli artt. 43 e 51, c. 2, DPR n. 131/1986, e questo perché la legge Comunitaria 7 luglio 2009, n. 88, non ha modificato le precedenti disposizioni circa la rilevanza dei valori OMI in materia di imposte indirette, limitandosi, come detto, ad intervenire solo per i tributi Iva e imposte dirette.

Detta sentenza è significativa laddove conferma che non esiste un unico metodo, certo ed univoco, per verificare la congruità del valore dichiarato in atti dei beni compravenduti; è possibile quindi effettuare detta verifica mediante confronto con i valori OMI, così come può essere preferibile, in altri casi e date le particolarità della fattispecie concreta, procedere con il metodo comparativo.

A proposito della banca dati e dei valori OMI, comunque, una volta venute meno le disposizioni introdotte dal cd. decreto Bersani, che elevavano al rango di presunzione legale l’accertata differenza tra il valore normale del bene (ovvero il valore considerato “di mercato” come desunto dai dati esposti dall’Osservatorio del mercato Immobiliare) ed il corrispettivo che le parti dichiaravano in atti, la Suprema Corte di Cassazione si è più volte espressa per confermare la natura di mera presunzione semplice del cd. valore normale.

In pratica i valori OMI che siano maggiori rispetto al valore dichiarato in atti non bastano da soli a giustificare la rettifica di quest’ultimo, essendo necessario che a detta presunzione semplice si aggiungano ulteriori elementi.

Allo stesso modo quella stessa natura di presunzione semplice dei valori OMI impedisce loro di poter essere ritenuti decisivi per la dimostrazione della congruità del prezzo dichiarato in atti, anche nel caso in cui quest’ultimo fosse conforme ai predetti valori.

E’ vero dunque che le quotazioni OMI sono basate su indicazioni di valori di massima e vanno calate nella realtà della fattispecie concreta per cui non può riconoscersi a tali quotazioni attendibilità certa.

Ciò comporta che il risultato che scaturisce da tale quotazione non possa acquisire i requisiti di precisione e concordanza tale da valere come presunzione legale, bensì solo quella di presunzione semplice.

Attesa la molteplicità dei metodi per la verifica della congruità dei valori immobiliari, è dunque preferibile, a dimostrazione del più probabile valore di mercato attribuibile al bene compravenduto, il criterio dell’analisi diretta, specifica e per di più comparativa del bene compravenduto rispetto ai soli valori OMI.

Tali valori dunque hanno un’efficacia meramente indiziaria e di presunzione semplice, sia per l’Amministrazione che per il contribuente.

E’ noto del resto, come anche evidenzia la sentenza in commento, che ai fini dell’imposta di registro quel che rileva è il “valore” del bene, per cui il fatto che le parti, possano avere in ipotesi pattuito un prezzo effettivo divergente da quel parametro non ha alcun rilievo.

E’ ovvio che, ai fini della determinazione del reddito ai fini delle imposte dirette (quando il corrispettivo di una vendita immobiliare concorra alla determinazione del reddito) quel che rileva non è un valore astratto del bene, ma il corrispettivo effettivamente pattuito ed incassato, ma è altrettanto ovvio che, invece, ai fini del registro, quel che rileva è il valore oggettivo del bene, come desumibile, per espressa previsione del DPR 131/86, da qualsiasi elemento disponibile.

Tra questi, mentre i valori OMI rappresentano un elemento “generico”, l’analisi diretta, specifica e per di più comparativa del bene compravenduto rappresenta senz’altro un elemento “specifico”, certamente più attendibile.

L’avvenuta approvazione della legge comunitaria non ha comportato, comunque, la totale scomparsa del concetto di valore normale, così come determinato sulla base dei dati OMI, comportandone semmai solo una retrocessione giuridica, da presunzione legale relativa a presunzione semplice.

Come già avveniva ante D.L. n. 223/2006, l’eventuale scostamento tra valore normale e prezzo dichiarato potrà costituire dunque un elemento utilizzabile in sede di accertamento di tipo analitico-induttivo, potendo assumere, grazie ad altri elementi di supporto e integrazione, valore di presunzione semplice qualificata, ossia “grave, precisa e concordante”.

Gli attuali accertamenti, come già avveniva ante DL 223/2006, non potranno quindi più essere basati soltanto sullo scostamento tra prezzo e “valore normale”, dovendo l’Ufficio offrire ulteriori elementi probatori, come ad esempio:

il prezzo di vendita al metro quadro per immobili simili;

la ricostruzione dei ricavi sulla base dell’esame della contabilità;

le indagini finanziarie sul cedente e sul cessionario.

Tutta la questione, in sostanza, si sposta sul piano prettamente probatorio.

26 ottobre 2016

Giovambattista Palumbo