Incaricati di funzioni dirigenziali e delega di firma

il problema della delega di firma è uno dei più spinosi argomenti nel contenzioso tributario; in questo articolo puntiamo il mouse su diversi aspetti: la giurisprudenza in materia e l’attuale situazione organizzativa dell’Agenzia in attesa della definizione del concorso

charlotAspetti generali

Come è noto, le agenzie fiscali sono state avviate secondo le disposizioni del D.Lgs. n. 300/1999, che configuravano in capo alle stesse una notevole autonomia organizzativa, finalizzata alla ricerca di una maggior efficienza “manageriale” rispetto alle tradizionali strutture ministeriali.

Tale autonomia era motivata dalla natura spiccatamente tecnica di questi enti e dalla loro funzione critica, all’incrocio tra mondo economico, potere pubblico e diritti dei cittadini.

L’accesso alla dirigenza delle agenzie fiscali sarebbe dovuta avvenire attraverso dei concorsi speciali, derogatori rispetto alle regole ordinarie. Di fatto tali concorsi sono stati solamente banditi, perché le loro irregolarità ne hanno decretato l’invalidazione anno dopo anno. In questo modo, avvalendosi della disposizione transitoria inserita nel regolamento di amministrazione, annualmente prorogata, i vertici delle agenzie (e soprattutto dell’Agenzia delle Entrate) hanno potuto dar vita a una sorta di “dirigenza fiduciaria”, formata da funzionari non vincitori di uno specifico concorso per dirigenti. A questi soggetti, che ben presto sono diventati maggioritari negli organigrammi delle agenzie rispetto ai dirigenti titolari, venivano conferiti incarichi asseritamente temporanei, in realtà anch’essi reiterati e resi pressoché permanenti.

La notissima sentenza n. 37/2015 della Corte Costituzionale, intervenuta in seno a un contenzioso amministrativo contro l’Agenzia delle Entrate, ha fatto crollare il sistema degli incarichi fiduciari, ponendo di fatto l’amministrazione finanziaria di fronte alle “tare” mai risolte in quindici anni di vita delle agenzie e causando rilevanti problematiche relativamente alla regolarità e legittimità delle sottoscrizioni apposte agli atti con rilevanza esterna, come avvisi di accertamento e rettifica e atti di irrogazione di sanzioni.

Storia degli incarichi

L’Agenzia delle Entrate ha nel corso degli anni approfittato di una disposizione nominalmente transitoria, ma in realtà prorogata di anno in anno, del proprio regolamento di amministrazione (art. 24), per nominare dei funzionari di terza area, non vincitori di concorsi dirigenziali e in assenza di qualsivoglia procedura concorsuale o selettiva, quali incaricati di funzioni dirigenziali anche di elevato livello retributivo e responsabilità.

Peraltro il richiamato regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle Entrate (aggiornato alla delibera del Comitato di Gestione n. 9 del 28 marzo 2014) permetteva all’Agenzia di conferire incarichi provvisori a funzionari solamente fino al 31.05.2012.

Nell’anno 2015, la maggior parte dei titolari di funzioni dirigenziali nell’Agenzia delle Entrate era formata di dipendenti privi dei requisiti di accesso alla dirigenza fissati dalla legge (cioè non selezionati attraverso uno specifico concorso).

Il Tar del Lazio con sentenza n. 06884/2011 aveva annullato, in quanto illegittime, le circa 800 posizioni dirigenziali ricoperte da funzionari di terza area, osservando tra l’altro che “una deroga così ampia sul piano quantitativo e temporale al principio del reclutamento del personale dirigenziale mediante il sistema concorsuale per la copertura delle posizioni dirigenziali è valsa ad introdurre e consolidare nel tempo una situazione complessiva di grave violazione di principi fondamentali di regolamentazione del rapporto di pubblico impiego e delle garanzie relative all’accesso alle qualifiche, alla selezione del personale e allo svolgimento del rapporto.

Soluzioni – tampone

A seguito di tale decisione la precedente direzione dell’Agenzia delle Entrate era riuscita a ottenere due distinte normative che garantivano in sostanza la prosecuzione del descritto modus operandi in materia di incarichi.

  1. Da un lato infatti l’Agenzia veniva autorizzata a sostituire una parte delle posizioni dirigenziali (contestualmente soppresse) con delle posizioni organizzative speciali da attribuirsi a funzionari (art. 23-quinquies, c. 1, del D.L. 6.7.2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla L. 7.8.2012, n. 135). Queste posizioni organizzative prevedevano una retribuzione nel complesso equivalente a quella dei dirigenti inquadrati nel livello di posizione più basso (il quarto) tra quelli previsti dal contratto collettivo di lavoro della dirigenza di seconda fascia (cioè della dirigenza non di vertice).

  2. Dall’altro lato, l’Agenzia veniva autorizzata a coprire mediante procedure concorsuali le posizioni dirigenziali vacanti, nonché, nelle more dell’espletamento di tali procedure e facendo salvi gli incarichi già affidati, ad attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata doveva essere fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso (art. 8, c. 24, del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, convertito con modificazioni dalla L. 26.4.2012, n. 44).

Questi incarichi dirigenziali avrebbero dovuto essere attribuiti con apposita procedura selettiva applicando l’articolo 19, comma 1-bis, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (TU del pubblico impiego)1.

Ai funzionari cui veniva conferito l’incarico competeva lo stesso trattamento economico dei dirigenti.

A seguito però dell’assunzione dei vincitori delle procedure concorsuali bandite, l’Agenzia delle Entrate non avrebbe più potuto attribuire nuovi incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 19, comma 6, del citato D.Lgs. n. 165/2001.

In seguito la sentenza del Consiglio di Stato n. 5451/2013, rigettando l’appello dell’Agenzia delle Entrate, aveva confermato la decisione del TAR del Lazio e aveva inoltre rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale del sopra richiamato art. 8, c. 24, del D.L. n. 16/2014.

Intervento della Consulta

La sentenza della Corte Costituzionale è stata emessa con n. 37/2015 a seguito di udienza pubblica del 24.02.2015 (decisione del 25.02.2015 – deposito del 17.03.2015).

La Corte ha dichiarato:

  • l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, c. 24, del D.L. 2.3.2012, n. 16;

  • l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 c. 14, del D.L. 30.9.2013, n. 150 (prima disposizione di proroga del previsto termine per effettuare i concorsi pubblici);

  • l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, c. 8a, del D.L. 31.12.2014, n. 192 (seconda disposizione di proroga del previsto termine per effettuare i concorsi pubblici).

Alla luce di questa sentenza, gli incarichi conferiti in base alla disposizione del 2012 (definita “legge-provvedimento” in quanto sostanzialmente assorbiva il vecchio articolo 24 del regolamento di amministrazione) dovevano ritenersi inesistenti.

Incarichi fiduciari e obiettivi di budget

L’attribuzione degli incarichi a funzionari è sicuramente correlata alla tensione verso il raggiungimento degli obiettivi complessivamente assegnati a questi organismi operativi in base alla convenzione triennale (con revisione annuale) tra MEF e agenzie.

Occorre considerare che il funzionario incaricato è (era, fino al marzo 2015) tenuto anche a rispettare le disposizioni che regolano il rapporto di lavoro dei dirigenti, sempre tenuti a ricercare il raggiungimento degli obiettivi, ma anche che i funzionari non dirigenti sono assai più ricattabili rispetto a chi è legittimamente dirigente a seguito di concorso pubblico. Si ritiene che considerazioni analoghe possano essere fatte anche per gli attuali assegnatari di deleghe temporanee (POT), e per i titolari di posizioni organizzative speciali (POS), sostanzialmente “sostitutive” rispetto alle posizioni dirigenziali dopo la sentenza della Consulta.

Di fatto però, il “dirigente” fiduciario, tenendo al proprio migliorato status economico e professionale (e desiderando la riconferma) si adattava anche a prassi discutibili, pur di realizzare un buon risultato, anche quando questo risultato veniva ottenuto tramite accertamenti mal motivati e infondati.

Questa situazione rendeva forse “performante” l’amministrazione nel breve periodo, ma creava anche ingiustizia e contenzioso nel medio–lungo periodo.

Si ritiene che il problema, per una PA così delicata, non sia evidentemente di avere funzionari genericamente “efficienti”, ma di poter contare su teste pensanti in grado di ragionare non solamente pro fisco ma cercando di perseguire la causa della verità (alla luce dei principi di capacità contributiva, eguaglianza, imparzialità…).

Precisazioni

Il problema, alla luce della normativa in materia di accertamento, non è costituito tanto dall’inidoneità del funzionario a sottoscrivere l’atto con rilevanza interna: peraltro si osserva che all’epoca in cui vennero emanati il TUIR e il decreto IVA non esisteva certo una “dirigenza pubblica” simile a quella odierna, con soluzione di continuità tra funzionari e dirigenti.

Per verificare se la firma sia valida, quindi, occorre considerare se il sottoscrittore sia effettivamente il “capo dell’ufficio” (se cioè si tratti di un soggetto che secondo le norme vigenti può considerarsi tale), ovvero di un suo delegato con delega validamente espressa.

Sotto il profilo delle problematiche organizzative interne delle agenzie, invece, si osserva che le disfunzioni denunciate sono figlie di riforme originariamente ritenute pro efficienza e modernizzazione, ma poi rivelatesi inidonee a risolvere un “imbroglio normativo” per cui l’accesso all’amministrazione come funzionario e l’accesso alla medesima amministrazione come dirigente richiese due differenti concorsi pubblici. In conseguenza di una precisa linea di “evoluzione” normativa in atto, la preesistente carriera direttiva venne spezzata in due, ma il sistema di rivelò incapace di selezionare correttamente i “capi”. Di fatto, quello che sarebbe dovuto essere un sistema di garanzie inteso a immettere nei ruoli dirigenziali i migliori, scelti attraverso una procedura tracciata e asseverata, si trasformò in un regime di “mano libera” per i vertici.

Situazione transitoria

In estrema sintesi, venuta meno la possibilità di attribuire incarichi di funzioni dirigenziali a soggetti (funzionari) non vincitori di concorsi per l’accesso alla dirigenza, le agenzie si sono trovate nella necessità di coprire in altro modo le posizioni “decadute”, sia per assicurare la firma degli atti, sia per esigenze più propriamente organizzative e relative agli obiettivi da raggiungere in base alla convenzione con il MEF.

In buona sostanza, tali finalità sono state raggiunte nel 2015 utilizzando i funzionari “ex incaricati” come “dirigenti di fatto”, cioè mediante il conferimento agli stessi di una serie di deleghe per la gestione di attività formalmente facenti capo al dirigente (direttore regionale, direttore provinciale, capo settore).

Inoltre, l’Agenzia delle Entrate ha operato attribuendo posizioni organizzative speciali, ulteriori rispetto a quelle che erano state conferite in attuazione delle prime disposizioni sulla spending review, sia a copertura di posizioni “riclassificate” (da dirigenziali a non dirigenziali), sia a copertura provvisoria di posizioni che rimanevano dirigenziali in attesa del concorso, il cui espletamento è normativamente previsto entro il 31 dicembre 2016.

Come verrà più avanti dimostrato, a tacere (per ora) dei profili di illegittimità intrinseci delle due procedure POS e POT, queste ultime sono state utilizzate soprattutto in vista della sanatoria di una situazione insanabile, perché colpita dalla censura di incostituzionalità, attraverso l’aggiramento della pronuncia della Consulta.

È peraltro noto (e attestato dai numerosi interventi sugli organi di stampa, nonché da trasmissioni televisive e dalle affermazioni contenute nel ricorso di Dirpubblica avverso il bando POS del 2015) che per buona parte dell’anno 2015 i vertici delle agenzie fiscali hanno cercato di esercitare pressioni su settori della maggioranza e del Governo per ottenere una “soluzione politica” al problema degli incarichi dirigenziali a funzionari. In sostanza, per stimolare un escamotage incostituzionale che ristabilisse l’ordine interno “violato”.

Alla luce di ciò si comprende come la dirigenza “titolare” delle agenzie (direttore generale, direttori centrali, regionali, provinciali…) sia stata estremamente protettiva e rassicurante nei confronti dei propri fiduciari, molti dei quali hanno preso parte alla procedura POS e in tale ipotesi, in caso di esito negativo, hanno potuto contare sul successivo “ripescaggio” come delegati di funzioni POT.

POS

L’art. 23-quinquies, c. 1, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 (c.d. spending review), ha previsto la riduzione delle dotazioni organiche delle strutture dell’amministrazione finanziaria.

In base a tale normativa, l’Agenzia delle Entrate doveva apportare una riduzione complessiva di 363 posizioni dirigenziali.

La norma prevedeva inoltre che, per assicurare la funzionalità dell’assetto operativo conseguente alla riduzione dell’organico dirigenziale, potevano essere istituite posizioni organizzative di livello non dirigenziale.

Per queste posizioni organizzative veniva prevista una retribuzione simile per struttura e ammontare a quella dei dirigenti (in particolare alle posizioni dirigenziali di seconda fascia di quarto livello di posizione).

Secondo un atto interno dell’Agenzia delle Entrate (cfr. provvedimento protocollo 65171 del 28 maggio 2013, a firma dell’allora direttore Befera), in fase di prima applicazione:

1) per le posizioni precedentemente dirigenziali ricoperte da funzionari di terza area, non sarebbe stata espletata alcuna procedura (in diretta e palese violazione della norma istitutiva), venendo semplicemente confermato nell’incarico il “perdente posto” già incaricato dirigenziale;

2) per le posizioni di nuova istituzione, si sarebbe tenuto prioritariamente conto del positivo svolgimento, eventualmente nella veste di titolare di una delle posizioni ex art. 17 o 18 del CCNL, di attività simili o comunque attinenti a quelle affidate alla nuova struttura.

In tal modo l’esigenza di far svolgere delle procedure selettive corrette e trasparenti rimaneva lettera morta, sicché la possibilità data all’Agenzia di istituire la nuova figura organizzativa veniva intesa solamente come una sorta di sanatoria degli incarichi precedentemente affidati in violazione di legge.

Queste prime POS, che sono ancora in essere, fatte salve alcune ipotesi di soppressione dei relativi uffici, si tratta di posizioni utilizzate soprattutto per garantire una posizione di coordinamento, con il relativo stipendio maggiorato, a molti di quegli incaricati dirigenziali che avrebbero perduto la posizione precedentemente ricoperta per effetto della spending review.

Nuove POS e POT

La procedura relativa alle posizioni organizzative speciali attribuite per la copertura di posizioni non dirigenziali (POS), rispetto a quella riferita alle posizioni che rimangono dirigenziali e, in attesa del concorso, vengono coperte da funzionari non dirigenti (POT), appare dotata di maggiori caratteri di oggettività, strutturandosi come una sorta di concorso interno.

A tali apparenze, tuttavia, potrebbe non corrispondere la sostanza della procedura, rispetto alla cui legittimità, oggettività e trasparenza è lecito nutrire dubbi, come verrà chiarito di seguito.

La procedura POS sembrerebbe strutturata per selezionare dei bravi “sottufficiali” più che lo stato maggiore dell’amministrazione, dal momento che, in sostanza, si richiede ai candidati un background di conoscenze operative e pratiche circa le mansioni inerenti lo specifico incarico: “la procedura prevede una verifica preliminare della conoscenza operativa e gestionale attinente agli specifici compiti e alle peculiari funzioni inerenti alle diverse tipologie di posizioni organizzative da assegnare”.

Ciò vuol dire che anche se il candidato fosse stato dotato di grandi conoscenze tecniche nel diritto tributario e nelle altre discipline collaterali, la mancata conoscenza dell’operatività degli uffici, dei vari applicativi e delle note e prassi operative, lo avrebbe svantaggiato in sede di selezione, operata con questionario tecnico e successivo colloquio “motivazionale”.

Un ulteriore espediente per ovviare alla situazione di temporanea difficoltà delle agenzie nel 2015 fu quello delle POT.

Le c.d. POT (acronimo di “posizioni organizzative temporanee”, termine “gergale” non presente in alcuna normativa) ricostruiscono in sostanza il vecchio incarico di funzioni dirigenziali, in quanto consistono precisamente nell’attribuzione, in base a un criterio fiduciario, di funzioni dirigenziali (diversamente da quanto accade per le “semplici” POS, che restano di rango non dirigenziale) in capo a un funzionario di terza area, a fronte di una super–retribuzione assimilabile per ammontare e struttura a quella appunto degli incaricati dirigenziali “illegittimi” in epoca ante sentenza n. 37/2015.

La procedura relativa alle posizioni organizzative speciali attribuite per la copertura temporanea di posizioni dirigenziali (POT), in modo assolutamente non previsto dalla normativa cui si richiama (art. 4-bis, D.L. 19.6.2015 n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 6.8.2015, n. 125), ha condotto alla sostanziale riattribuzione dell’incarico agli ex incaricati di funzioni dirigenziali, che erano stati costretti al “demansionamento” (o per meglio dire: al ritorno alle funzioni normali della terza area del CCNL) per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 37/2015.In ogni caso, sia la procedura per le posizioni organizzative speciali (POS), sia quella parallela per selezionare i titolari delle POT, ossia in funzionari assegnatari delle deleghe conferite dai dirigenti (fino al 31.12.2016 secondo quanto stabilito dal decreto “enti locali” del 2015), si rivelò finalizzata perlopiù a sanare le criticità organizzative seguite alla sentenza n. 37/2015 della Consulta, addirittura pervenendo, nella grande maggioranza dei casi, alla designazione degli ex incaricati, che non potevano più ricoprire un incarico di funzioni dirigenziali ma nondimeno rimanevano (con tutta evidenza) i soggetti sui quali la dirigenza di vertice delle agenzia puntava per garantire il funzionamento del sistema.

In definitiva, quindi, POS e POT sono il nuovo nome attribuito a coloro che erano stati “prescelti” nel mondo agenziale pre-Consulta, quali fiduciari dei vertici in grado di presidiare gli uffici garantendo il conseguimento degli obiettivi.

Incarichi a “esterni – interni

La situazione sopra evidenziata palesa un generalizzato tentativo di ripristinare la situazione di controllo delle strutture dell’Agenzia delle Entrate anteriore rispetto alla sentenza della Consulta del 2015, reimmettendo ove possibile e desiderabile nelle funzioni gli ex incaricati dirigenziali. Probabilmente perché tra essi e i vertici agenziali si era instaurato un legame di fedeltà (personale) che nell’ottica dei “registi” del sistema doveva essere mantenuto a dispetto dell’orientamento dei Giudici costituzionali.

Del resto, la tesi sempre portata avanti anche pubblicamente dall’attuale direttrice generale dell’Ente è riassumibile nell’idea (che riscuote consenso interno nell’organizzazione e ha ricevuto anche appoggi da autorevoli personaggi della politica e delle istituzioni) che la pronuncia della Corte Costituzionale sia stata dannosa e pregiudizievole all’organizzazione, nonché alle funzioni istituzionalmente svolte di lotta all’evasione e all’illegalità.

Sempre nell’ottica del ripristino generalizzato della “filiera di comando” dell’Agenzia delle Entrate, ma con l’intenzione di coprire le posizioni più delicate e prestigiose, come quelle di capo ufficio grandi contribuenti nelle maggiori direzioni regionali, l’Agenzia delle Entrate ha proceduto al conferimento sostanzialmente discrezionale di incarichi dirigenziali ai sensi dell’articolo 19, comma 6, del TU del pubblico impiego n. 165/2001 (abbastanza irrilevante è in tale cornice l’emanazione di sporadici bandi di interpello, a fronte di procedure di selezione totalmente discrezionali e verticistiche).

Si tratta di una tipologia di incarichi del tutto eccezionale rispetto al canale ordinario di reclutamento dei dirigenti, la cui finalità naturale dovrebbe essere di inserire temporaneamente nell’amministrazione delle professionalità peculiari, introvabili all’interno di quest’ultima.

È invece accaduto che nell’Agenzia delle Entrate questa possibilità sia stata sfruttata per conferire incarichi dirigenziali, anche di vertice, a funzionari graditi alle massime istanze dell’Ente, che venivano posti in aspettativa come funzionari per venire “creati dirigenti” sul campo.

Qualche considerazione

Attraverso una sequenza di atti che hanno tutta l’apparenza del cosiddetto abuso del diritto, il vertice dell’Agenzia delle Entrate ha operato per l’intero 2015 e opera tuttora con l’obiettivo di sanare la “lesione” causata nel sistema degli incarichi e negli organigrammi dalla sentenza n. 37/2015 della Corte Costituzionale.

Ciò si è reso possibile sia attraverso il distorcimento delle disposizioni transitorie del decreto enti locali del 2015, sia in prospettiva differendo il concorso o emanando bandi illegittimi come quelli finora emanati, allo scopo di provocarne l’annullamento a seguito di “provvidenziali” ricorsi al TAR, generando uno stato di perenne emergenza operativa e conseguentemente richiedendo la riapertura del termine ultimo per concludere il concorso stesso.

In questo modo, in sostanza, viene a ricrearsi quasi esattamente la situazione ante sentenza della Consulta, con l’unica differenza costituita dal rango non dirigenziale di molte delle posizioni attribuite.

Le procedure menzionate, in aggiramento del disposto costituzionale e delle stesse norme, hanno ripristinato la situazione previgente garantendo ai vertici una “catena di comando” fondata più sulle fedeltà individuali (in quanto fiduciaria) che sulle competenze e sul valore dei dipendenti (che eventualmente, quali funzionari di una PA, dovrebbero essere dotati di autonomia tecnica e in determinati casi anche amministrativa, e non limitarsi a eseguire supinamente degli ordini che potrebbero anche essere illegittimi e dannosi ai cittadini).

OCSE e FMI

Sono stati recentemente diffusi i rapporti elaborati da OCSE e FMI in merito alla situazione della fiscalità italiana e della struttura dell’amministrazione finanziaria, finalizzati a ricavare elementi di conoscenza per poter procedere a una riforma organica del settore.

Nella consapevolezza che tali istituzioni dovrebbero esprimere quei caratteri di competenza e terzietà necessari a formulare credibili proposte agli organi politici, ci si permette di formulare qualche dubbio in ordine proprio alla neutralità e alla scientificità (per così dire) delle relazioni rese pubbliche dal MEF, segnalando senza pretesa di esaustività gli aspetti che verranno via via considerati in questa nota.

In particolare, OCSE e FMI, con impressionante armonia di vedute, “suggeriscono” all’Italia, sulla base delle esperienze estere, di conferire alle agenzie fiscali una autonomia molto vasta, che sarebbe stata nelle intenzioni del legislatore al varo di questi organismi nel 1999/2000.

Per quanto riguarda l’impostazione generale, sia il documento OCSE che quello del FMI tratteggiano il disegno di un’amministrazione forte e autonoma, giustificata dalla “emergenza evasione”: ma leggendo meglio si comprende che non c’è affatto un’anomalia italiana così grande, e che, tralasciando i calcoli un po’ lunari del tax gap, la nostra situazione è analoga a quella di molti altri Paesi, nei quali la gestione della fiscalità è funzione delicata e importante ma “ordinaria”. Non, cioè, emergenziale e quasi allarmata come talvolta è fatta percepire in Italia .

Una notevole enfasi è posta sui sistemi di reclutamento, promozione e licenziamento del personale, ivi compresi gli incarichi dirigenziali, che vengono ritenuti con tutta evidenza una “leva” strategica per la gestione delle agenzie. A questo riguardo, i due Organismi internazionali puntano direttamente il dito contro le sentenze dei giudici amministrativi e della Corte Costituzionale che in sostanza hanno reso impossibile, in quanto illegittima, la prassi della cosiddetta “selezione sul campo” dei capi, a favore di un accesso concorsuale alla dirigenza conforme all’articolo 97 della Costituzione.

Visti i nomi, abbastanza noti, degli stakeholders”auditi e citati dall’OCSE nel proprio rapporto , sorge il legittimo sospetto che i due autorevoli Organismi che sono nominali estensori dei documenti e titolari dei relativi contenuti abbiano ascoltato soprattutto le “sirene” provenienti da coloro che sono sempre stati registi e sponsores del sistema vigente, perlomeno a partire dalla riforma agenziale del 1999/2000 (a sua volta varata con l’assistenza di FMI e OCSE). Cioè che questi elaborati fungano quali strumenti di pressione nei confronti dell’Esecutivo per poter “guidare” la ristrutturazione della macchina del fisco nella direzione desiderata da un certo ambiente politico – istituzionale (informale) di riferimento, che si potrebbe definire “bipartisan”.

Indirizzi giurisprudenziali

Dovendo guardare alla validità degli atti sottoscritti dai delegati funzionari di terza area non titolari di posizioni dirigenziali, è utile l’esame della recente giurisprudenza di legittimità, la quale è si favorevole alla delega (sulla base peraltro di un riferimento datato alla “carriera direttiva” che di fatto non esiste più, nella vigenza del TU n. 165/2001), ma subordina la validità della delega alla ricorrenza di una serie di precise condizioni.

La Corte di Cassazione ha “validato” la prassi consistente nella concessione della delega di firma da parte del dirigente a funzionari della terza area del CCNL del comparto agenzie fiscali, ma solo a determinate condizioni.

Alcuni giudici di merito hanno recentemente affermato che l’avviso di accertamento è nullo se l’Agenzia delle Entrate, a fronte di contestazione del contribuente, non dimostra, come è suo onere, secondo il principio della prossimità della prova, che il soggetto che ha sottoscritto l’atto impositivo è un dirigente vincitore di concorso pubblico, non essendo sufficiente la mera asserzione che ciò sia avvenuto ed essendo necessaria l’allegazione, da parte del fisco, della copia del decreto di nomina di tale dirigente (cfr. CTP Reggio Emilia n. 10 del 25 gennaio 2016).

I confini della delega, con puntuale individuazione dei requisiti da rispettare per la sua validità, sono stati tracciati anche dagli “arresti” più recenti della Cassazione (si veda ad esempio Cass. n. 22803/2015).

Con la sentenza n. 25017 del dicembre 2015, la Cassazione ha stabilito che la delega può essere conferita o con atto proprio o con ordine di servizio, purché venga indicato, unitamente alle ragioni della delega (ossia le cause che ne hanno resa necessaria l’adozione, quali carenza di personale, assenza, vacanza, malattia…), il termine di validità e il nominativo del soggetto delegato. E non è sufficiente, sia in caso di delega di firma sia in caso di delega di funzione, l’indicazione della sola qualifica professionale del destinatario della delega, senza alcun riferimento nominativo alle generalità di chi effettivamente rivesta la qualifica richiesta.

Sono perciò illegittime le deleghe impersonali, prive di indicazione nominativa del soggetto delegato, e tale illegittimità si riflette sulla nullità dell’atto impositivo.

La delega di firma dal dirigente al funzionario è valida, secondo la Corte, solamente in presenza delle seguenti condizioni:

  • sottoscrizione da parte del direttore dell’ufficio che ha emesso l’atto impositivo;

  • preesistenza rispetto al suo esercizio: il documento riportante la delega, quand’anche sia un ordine di servizio, deve essere datato e protocollato in data antecedente alla sottoscrizione dell’atto;

  • indicazione delle attività e degli atti delegati, nonché dei relativi limiti (anche per ammontare dell’atto);

  • indicazione nominativa del soggetto delegato, non essendo sufficiente il mero riferimento alla qualifica (ad esempio, capo area, capo team…);

  • durata e termine di validità;

  • motivazione (ragioni per cui la delega viene conferita).

Se la delega è nulla per mancanza o irregolarità dei predetti elementi, l’atto sottoscritto dal funzionario sulla base della delega invalida è colpito da invalidità derivata.

9 settembre 2016

Roberto Pasquini

1 D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165: art. 19, c. 1-bis: “L’amministrazione rende conoscibili, anche mediante pubblicazione di apposito avviso sul sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti di funzione che si rendono disponibili nella dotazione organica ed i criteri di scelta; acquisisce le disponibilità dei dirigenti interessati e le valuta”.