La produzione di (nuovi) documenti nel processo tributario

ecco quali sono i termini di ammissibilità di nuovi documenti nel processo tributario e da cosa si differenziano dalla fattispecie rispetto a quella di nuove eccezioni in sede di appello

penna ocaLa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6888 dell’8.4.2016, ha chiarito i termini di ammissibilità di nuovi documenti nel processo tributario e la differenza della fattispecie rispetto a quella di nuove eccezioni in sede di appello.

Nel caso di specie, Equitalia ricorreva per cassazione avverso sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, la quale aveva rigettato l’appello dell’agente della riscossione avverso la sentenza di primo grado, che aveva accolto il ricorso proposto dalla società, la quale aveva impugnato un preavviso di fermo amministrativo su beni mobili di sua proprietà, eccependone l’illegittimità per omessa notifica di una delle quattro cartelle di pagamento prodromiche al preavviso.

La CTR del Lazio riteneva dunque che l’agente della riscossione, non costituitosi nel primo grado di giudizio, non poteva produrre, per la prima volta in appello, la documentazione relativa alla circostanza relativa alla regolare notifica di tutte le cartelle di pagamento.

Con il primo motivo di ricorso in Cassazione Equitalia deduceva quindi “violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 58 del D. Lgs. 546/1992 (art. 360 n. 3 c.p.c.)”, nella parte in cui la decisione impugnata aveva ritenuto non ammissibile la produzione in appello della documentazione idonea a comprovare la regolarità della notifica di tutte le cartelle di pagamento prodromiche all’impugnato preavviso di fermo amministrativo, sul presupposto che essa era finalizzata alla prova di un’eccezione nuova preclusa in appello, non avendo peraltro svolto l’agente della riscossione difese in primo grado.

Con il secondo motivo la ricorrente denunciava poi “insufficiente, omessa, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n.5 c.p.c.)”, lamentando che la CTR aveva omesso di fornire qualsiasi motivazione a supporto del proprio assunto, contrario alla disciplina speciale del processo tributario, quale rinvenibile nel succitato art. 58 del Lgs. n. 546/1992, in punto d’inammissibilità della produzione in appello dei nuovi documenti, volti nella fattispecie a contrastare la fondatezza di quanto assunto dalla contribuente con il proprio ricorso introduttivo, con il quale essa aveva eccepito l’omessa notifica di una delle cartelle di pagamento, in forza delle quali era stata poi emessa la comunicazione preventiva di fermo impugnata.

Il primo motivo, secondo i giudici di legittimità, era fondato e andava pertanto accolto.

La sentenza impugnata aveva infatti sostanzialmente ritenuto preclusa la produzione in appello per la prima volta da parte di Equitalia, come detto rimasta contumace in primo grado, dei documenti relativi alla regolarità della notifica delle cartelle di pagamento impugnate, che, almeno con riferimento ad una cartella, relativamente alla quale la contribuente aveva eccepito la mancata notifica, era attinente, per usare le parole testuali della medesima CTR, “all’in sé della causa”.

In termini più tecnici, sottolinea la Suprema Corte, sembra che la decisione impugnata abbia ritenuto precluso la produzione di detti documenti perché diretta a supportare un’eccezione in senso stretto, da ritenersi invece vietata alla stregua dell’art. 57 del D.Lgs. n. 546/1992.

Sennonché, secondo i giudici di legittimità, detta conclusione non era pertinente alla specifica fattispecie, dovendo ritenersi infatti appartenere al thema decidendum, per effetto della domanda della contribuente in primo grado, proprio la valutazione dell’esistenza o meno di valida notifica relativamente ad una delle cartelle prodromiche al preavviso di fermo impugnato.

La giurisprudenza assolutamente prevalente della Corte, premesso che il divieto della proposizione di nuove eccezioni in appello secondo l’art. 57 del D.Lgs. n. 546/1992 attiene alle sole eccezioni in senso stretto (cfr., tra le molte, Cass. civ. sez. V 15 giugno 2007, n. 14020; Cass. civ., ord. 7 giugno 2013, n. 14286) ha del resto avuto specificamente occasione di affermare che è consentito alla parte rimasta contumace in primo grado produrre nel giudizio di appello l’originale dell’atto impositivo notificato, di cui era contestata dal contribuente l’avvenuta notifica, costituendo tale produzione una mera difesa, volta alla confutazione delle ragioni poste a fondamento del ricorso alla controparte (cfr. Cass, civ. sez. V 31 maggio 2011, n. 12008).

Di recente, inoltre, nel più ampio contesto ricostruttivo del divieto della proposizione di nuove eccezioni in appello, quale stabilito dall’art. 57 del D.Lgs. n. 546/1992 le Sezioni Unite (Cass. 27 gennaio 2016, n. 1518), nel ritenere ammissibile la deduzione in appello per la prima volta del condono fiscale ex L. n. 289/2002 quand’anche la causa di estinzione del giudizio fosse già deducibile in primo grado, hanno dato ulteriore seguito al principio cardine enunciato dalle stesse, con la sentenza n. 226 del 25 maggio 2001, secondo cui nel nostro ordinamento vige il principio della rilevabilità d’ufficio delle eccezioni, derivando invece la necessità dell’istanza di parte solo dall’esistenza di un’eventuale specifica previsione normativa, nel caso di specie insussistente.

La Corte di Cassazione, pertanto, cassava la sentenza impugnata, rinviandola, per nuovo esame, a diversa sezione della CTR del Lazio, ed enunciando il seguente principio di diritto: “Nel processo tributario, in cui è ammessa la produzione di nuovi documenti in appello, è consentito alla parte, rimasta contumace in primo grado, produrre nel giudizio di secondo grado, come, nel caso di specie, in allegato al ricorso in appello, la documentazione relativa alla regolarità della notifica dell’atto (nella fattispecie cartella di pagamento) contestata da controparte, costituendo tale produzione una mera difesa, volta alla confutazione delle ragioni poste a fondamento del ricorso della controparte e riguardando il divieto di proporre eccezioni nuove, di cui all’art. 57 del D.Lgs. n. 546/1992, unicamente le eccezioni in senso stretto”.

In conclusione, nel panorama di preclusioni del processo tributario, che tendono a ridurre l’oggetto del giudizio di appello rispetto a quello di primo grado, l’art. 58 comma secondo del D.Lgs n. 546/1992 consente invece la facoltà di produrre nuovi documenti in appello.

È vero che il primo comma stabilisce la regola generale del divieto di nuove prove, salvo il classico caso di necessità, che di regola consente in tutte le giurisdizioni di rinnovare l’istruttoria in secondo grado. Ma la deroga del secondo comma è quasi dirimente: il processo tributario è infatti pressoché totalmente documentale.

Così, il thema decidendum sarà l’unico vero argine all’introduzione delle nuove prove: non potranno cioè essere assunte prove a dimostrazione di domande o eccezioni nuove, né prove a dimostrazione di questioni od eccezioni non accolte e non riproposte.

Solo in tal caso le prove non addotte in sede di ricorso e fornite solo nel giudizio di secondo grado dovranno essere considerate tardive e non ammissibili, sia ai sensi dell’articolo 58, comma 1, del Dlgs 546/1992 sia in ossequio ai principi generali del diritto processuale civile.

È, infatti, contrario al principio dispositivo che regola il processo “che una parte possa fornire in grado di appello proprio quelle prove che il giudice ha rilevato carenti, fondando su ciò la propria decisione: si verrebbe altrimenti a formare una categoria di prove tutta sui generis, che si potrebbe definire iussu sententie, attendendo la pronuncia di primo grado per stabilire, in base ad essa, quali prove presentare e quali no” (Ctr Toscana, sentenza 131/30/10, dell’1 dicembre 2009).

Le nuove prove, fornite solo in secondo grado dal contribuente (a risposta, magari, della decisione avversa, motivata proprio in punto di mancata prova), non sono pertanto ammissibili.

Quanto agli strumenti probatori, infatti, le norme sull’appello prevedono che il contribuente possa produrre in secondo grado nuovi elementi probatori, solo laddove dimostri di non aver potuto fornire tali nuove prove nel precedente grado di giudizio per cause a egli non imputabili (articolo 58, comma 1, del Dlgs 546/1992).

Tali considerazioni assumono per esempio ancora maggiore rilevanza processuale e superano anche la previsione del secondo comma dello stesso articolo, che fa salva la facoltà di produrre nuovi documenti anche in grado di appello, laddove si tratti di ricorso su silenzio rifiuto, in cui dunque il contribuente ha posizione di attore sostanziale e non solo formale, come invece accade in caso di notifica di avviso di accertamento.

In tal caso, quindi, non si starebbe parlando di documenti da opporre alla pretesa impositiva dell’Amministrazione, ma proprio di nuove prove a sostegno della pretesa del contribuente, come originariamente avanzata in sede di rimborso (momento in cui, peraltro, si dovrebbe già delineare il thema decidendum).

A meno che, dunque, la parte non sia rimasta contumace nel primo grado (cosa possibile quindi solo nel caso della parte pubblica), prova non dedotta in primo grado equivale, in conclusione, a prova nuova in appello, come appunto accade laddove le prove, non prodotte in prima battuta, vengano poi presentate in secondo grado solo per “rispondere” alla sentenza della CTP, che abbia contestato al contribuente proprio il mancato adempimento dell’onere della prova del contribuente.

1 agosto 2016

Giovambattista Palumbo