La mancata esibizione dei documenti: gli effetti processuali (l’Amministrazione deve formulare una specifica richiesta di informazioni e documenti)

la spinosa questione delle conseguenze accertative in caso di mancata esibizione dei documenti su invito dell’Amministrazione Finanziaria: nel caso in esame il ritardo del contribuente non è dovuto alla sua responsabilità e la documentazione prodotta tardivamente è ammissibile

Archivio_Pietro_Pensa_01La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 3791 del 26.02.2016, è tornata sulla spinosa questione delle conseguenze accertative in caso di mancata esibizione dei documenti su invito dell’Amministrazione Finanziaria.

Nel caso di specie, l’Ufficio fiscale di Rivoli notificava al contribuente un avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2004, per la ripresa a tassazione di maggiori imposte in relazione alla determinazione del reddito correlata alla verifica di spese sostenute nel periodo 2004/2008 e del possesso di autovetture incompatibili con i redditi dichiarati, ai sensi dell’art.38 del dPR n.600/73.

Il contribuente impugnava allora l’avviso di accertamento innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, la quale respingeva il ricorso con sentenza poi confermata dalla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte.

Secondo il giudice di appello la CTP aveva infatti correttamente escluso l’esame della documentazione prodotta in giudizio dal contribuente senza ledere il diritto al contraddittorio, posto che il questionario riportava espressamente l’avvertenza prevista dall’art.32, indicando le conseguenze della mancata esibizione.

La CTR ricordava dunque i principi espressi dalla Corte di Cassazione con la sentenza n.28049/2009, rilevando che in esito al questionario con richiesta di riscontro entro 15 giorni era seguita la risposta con riserva di produzione di altra documentazione, che era stata poi però allegata soltanto in sede contenziosa.

Era dunque provata la tardività della produzione.

Il contribuente proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo che nelle ipotesi di accertamento con redditometro doveva ritenersi comunque ammessa la produzione in giudizio di elementi contrari alla presunzione utilizzata dall’ufficio, anche nel corso del giudizio e dopo l’accertamento.

In ogni caso, sosteneva ancora il ricorrente, la previsione dell’art.32 del dPR600/73 intendeva reprimere i comportamenti volti a celare ipotesi evasive e non poteva invece operare in caso di omessa allegazione di documenti dovute a fatti esterni alla volontà del contribuente, come, nel caso di specie, dovevano considerarsi i tempi di risposta da parte della banca.

Tale motivo di ricorso, secondo la Suprema Corte, era fondato.

I giudici di legittimità evidenziano infatti che, in tema di accertamento fiscale, la mancata esibizione, in sede amministrativa, dei libri, della documentazione e delle scritture all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate giustifica l’esercizio dei poteri di indagine ed accertamento bancario propri dell’Amministrazione finanziaria, mentre la sanzione dell’inutilizzabilità della successiva produzione in sede contenziosa, prevista dall’art. 32 del dPR 29 settembre 1973, n. 600, opera solo in presenza di un invito specifico e puntuale all’esibizione da parte dell’Amministrazione, purché accompagnato dall’avvertimento circa le conseguenze della sua mancata ottemperanza, che si giustifica – in deroga ai principi di cui agli artt. 24 e 53 Cost. – per la violazione dell’obbligo di leale collaborazione (cfr.Cass.n.11765/2014).

Nel caso di specie non risultava invece, secondo la Corte, che la CTR avesse verificato la specificità della richiesta dell’Ufficio.

La preclusione all’utilizzabilità delle prove documentali non esibite ai verificatori, in sostanza, è dunque subordinata alle seguenti condizioni:

  • la specificità della richiesta di esibizione da parte dell’Amministrazione Finanziaria;

  • la non veridicità della dichiarazione di non disponibilità della documentazione richiesta, o il suo essere diretta ad impedire l’ispezione del documento;

  • la volontà di impedire che possa essere effettuata l’ispezione del documento.

La condotta rilevante ai fini della applicazione della sanzione di inutilizzabilità delle prove, implica, quindi, oltre, come visto, alla prova della avvenuta, specifica, richiesta, anche la coscienza e volontà dell’azione, intesa ad impedire la esibizione dei documenti richiesti dai verificatori e dunque presuppone non soltanto l’esistenza, ma anche la disponibilità di tali documenti da parte del contribuente, venendo meno il “rifiuto” tutte le volte in cui l’ostensione della prova sia impedita per cause non imputabili al contribuente (come, nel caso di specie, poteva essere considerata la circostanza della mancata risposta da parte della banca).

Tale ipotesi ricorre peraltro esclusivamente nel caso in cui il documento preesista alla richiesta dell’Ufficio, ma non sia nella attuale disponibilità del contribuente, essendone questi venuto in possesso soltanto successivamente.

Pertanto, ove sussista il fatto di forza maggiore, da un lato, non viene in rilievo la sanzione di inutilizzabilità e dall’altro il documento, successivamente rinvenuto, o comunque acquisito dal contribuente, può essere utilizzato nel giudizio tributario secondo le forme ed i termini previsti dalle norme processuali.

Peraltro, la Corte Costituzionale, investita della questione sub specie di violazione del principio della capacità contributiva (“perchè la … decadenza dalla facoltà di produrre documenti in giudizio impedirebbe l’accertamento della effettiva situazione patrimoniale del contribuente e, pertanto, sarebbe causa di imposizione fiscale eccedente la capacità contributiva del medesimo contribuente“), con Ordinanza 7 giugno 2007 n. 181, ha escluso qualsiasi vizio di costituzionalità della norma in riferimento all’art. 53 Cost., c. 1, chiarendo che “la preclusione prevista dalla norma censurata, risolvendosi in un divieto di allegazione in giudizio dei dati e dei documenti non forniti dal contribuente in risposta all’invito dell’amministrazione finanziaria, opera sul piano esclusivamente processuale ed è perciò inidonea a menomare il principio di capacità contributiva“.

La mancata risposta all’invito, che è sanzionabile, oltre che per rendere più efficace l’attività di accertamento, anche per contrastare condotte reticenti e ostruzionistiche, pregiudica quindi il diritto del contribuente a far valere, in sede contenziosa, i documenti volontariamente non esibiti.

Da rilevare infine che la mancata esibizione dei documenti richiesti dall’ufficio legittima comunque l’accertamento analitico-induttivo.

Infatti, in tema di determinazione del reddito imponibile, l’articolo 39, comma 1, lettera d, del Dpr n. 600/1973 per le imposte dirette, e l’articolo 54 del Dpr n. 633/1972 per l’Iva, dispongono che l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti, mentre la lettera d-bis) del secondo comma dell’articolo 39, del Dpr n. 600/1973, legittima l’accertamento in base alle presunzioni anche carenti dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, proprio a seguito dell’inadempimento realizzato dal contribuente per effetto della mancata risposta agli inviti a comparire presso l’ufficio finanziario.

Si potrà inoltre procedere ad accertamento induttivo puro laddove ricorra l’ipotesi (articolo 39, comma 2, lettera c), Dpr 600/1973) di “sottrazione all’ispezione di alcune scritture contabili obbligatorie”.

Si evidenzia infine che le stesse preclusioni istruttorie operano anche se la dichiarazione non veritiera riguarda documenti la cui tenuta e conservazione non sono obbligatorie, o che possono essere tenuti in luoghi diversi da quelli indicati nelle dichiarazioni ex articolo 35, Dpr 633/1972.

Ciò in quanto nessun dato testuale legittima un diverso regime dell’elemento psicologico a seconda della tipologia del documenti.

Il divieto, infatti, come detto, va letto alla luce del principio di collaborazione e buona fede (in senso oggettivo) gravante su entrambe le parti nel procedimento amministrativo (ex articolo 10, legge 212/2000).

Alla luce di tale principio, come ora ribadito dalla Suprema Corte, da un lato, l’Amministrazione deve formulare una specifica richiesta di informazioni e documenti e, dall’altro, il contribuente deve assumere un comportamento collaborativo e trasparente, rispettoso dei canoni di correttezza e diligenza.

7 luglio 2016

Giovambattista Palumbo