Si tratta il tema della successione testamentaria in favore degli animali domestici, accennando alla disciplina civilistica italiana ed agli strumenti giuridici disponibili per garantire assistenza post mortem agli animali, attraverso lasciti testamentari, donazioni e fondazioni, con esempi concreti tratti dalla cronaca recente.
Posso lasciare tutto ciò che ho al mio gatto Romeo, l’unico a volermi veramente bene?
A non giovanissimi appare subito l’immagine di un classico Disney, l’anziana ereditiera che nomina eredi i suoi “Aristogatti”, con comprensibile disappunto del suo, non proprio fidato, maggiordomo.
Ma anche nella realtà, specie oltre oceano, non mancano animali aristocratici: come Olivia Benson, la gattina imprenditrice di Taylor Swift, valutata 97 milioni di dollari o i 32 pappagalli cui la milionaria newyorkese Leslie Ann Mandel ha affidato un fondo da 100.000 dollari affinché continuino a vivere nella casa da quattro milioni di dollari di Mandel a East Hampton, insieme al gatto Kiki e al cane Frost; o il cane della magnate degli hotel, Leona Helmsley, che si gode un patrimonio di 12 milioni di dollari.
Molti sono censiti nella “Pet Rich list”, una classifica in stile Forbes per gli amici a quattro zampe, in cui svetta il pastore Tedesco Gunter VI, erede, dopo i suoi “avi”, della contessa tedesca Karlotta Leibenistein, titolare di un fondo di oltre 400 milioni di dollari, protagonista di una recente serie su Netflix, che ha in realtà svelato risvolti propagandistici dell’operazione.
La situazione in Italia: normativa e prassi interpretativa
In Italia è un po’ diverso, perché gli animali non hanno la capacità giuridica, non sono cioè soggetti di diritto cui spettano diritti e obblighi, ma ne vengono considerati l’oggetto, come “beni mobili”: beni in quanto “cose possono formare oggetto di diritti” (art. 810 c.c.), mobili perché non sono, evidentemente, ancorati al suolo (Art. 812 c.c.), ove invece scorrazzano; e come tali se ne può trasferire la titolarità, la proprietà o altro diritto reale (come l’usufrutto), per vendita (l’art. 1496 c.c. è dedicato alla “vendita di animali”), donazione (in forma notarile se non di modico valore ex art. 783 c.c.) ed anche a causa di morte.
Ce lo ricorda una bella sentenza della Cassazione (Sentenza n. 22728 del 25 settembre 2018): sono…
…“cose anche gli esseri viventi suscettibili di utilizzazione da parte dell’uomo: non solo i vegetali ma anche gli animali”, anche se sono “esseri senzienti” verso cui l’uomo ha sempre provato “senso di pietà e di protezione, quando non anche di affetto”,…
…almeno con riferimento a quelli di compagnia, un po’ meno per quelli selvatici o “da reddito”.
Quest’attenzione risulta da precetti giuridici previsti a loro salvaguardia e tutela sin dalla “unificazione dell’Italia”, oggi convogliati nel Codice penale (Titolo IX bis denominato “dei delitti contro il sentimento per gli animali”), nella Legge quadro 14 agosto 1991 n. 281, in materia animali di affezione e prevenzione del randagismo, nella ratifica con L. 4 novembre 2010 n. 201 della Convenzione europea del 13 novembre 1987 nella Legge n. 189 del 2004. La normativa comunitaria se n’è occupata con il Regolamento n. 1223/ 2009 cui si deve l’eliminazione progressiva della possibilità di effettuare test sugli animali per i prodotti cosmetici e la Direttiva n. 63/2010 relativa alla tutela degli animali utilizzati per scopi scientifici e sperimentali.
La Cassazione conclude che:
“la comune espressione dei diritti degli animali va intesa in senso atecnico, agiuridico, intendendosi riferire non già alla, inconfigurabile, titolarità di diritti soggettivi da parte degli animali, ma al complesso della tutela giuridica che il diritto pubblico appresta in difesa di quegli esseri viventi”.
Insomma, per il nostro attuale ordinamento, gli unici animali soggetti di diritto sono i Sapiens: del resto il diritto lo hanno elaborato loro.
Anche se la recente modifica dell’art. 9 della costituzione (L. cost. 11 febbraio 2022 n. 11) che ha conferito al legislatore il potere (secondo alcuni il dovere) di definire “modi e forme di tutela degli animali”, in linea con l’art. 13 del Trattato sul Funzionamento dell’UE, che ne riconosce la dignità di esseri senzienti, potrebbe nel frattempo indurre la giurisprudenza ad interpretazioni più ardite.
Ma l’amore per gli (altri) animali oltre la propria vita i “sapiens italici” lo possono esprimere anche nell’ambito del vigente ordinamento giuridico.
Come ha fatto la nota astrofisica Margherita Hack, lasciando parte del suo patrimonio a un’associazione animalista triestina, è possibile disporre per testamento a favore di un Ente del Terzo Settore (ETS) sensibile alla cura e tutela degli animali, attività che l’art. 5 comma 1 lett. e) del relativo codice, il D.lgs. 117/2017, menziona tra quelle di “interesse generale”, come Lav, Enpa e moltissime altre.
Lascito testamentario con onere
Ma anche ove si intendesse beneficiare direttamente il proprio affezionato compagno è possibile porre a carico dell’erede o di un beneficiario a titolo particolare, il legatario, un onere (art. 647 c.c.), un obbligo, cioè, di assisterlo, provvedere al suo nutrimento e ricovero, per tutta la vita.
Si dovrà naturalmente disporre, a favore di un amico fidato, di un’associazione o altro ETS, un lascito in denaro o di altro bene, meglio se fruttifero (art. 669 c.c.), e beneficiare indirettamente l’animale domestico cui saranno dovuti determinati servizi e cure, il tutto sotto il controllo di qualsiasi interessato, che può agire in giudizio per l’adempimento dell’onere (art. 648 c.c.), giungendo a chiedere la risoluzione del lascito testamentario in caso di inadempimento, se risultasse dal testamento che era stato disposto solo per quel motivo o se il testatore l’avesse previsto.
Ed è bene che il testatore preveda espressamente la risoluzione della disposizione in caso di inadempimento dell’onere, per rafforzarne l’efficacia, o, almeno, una penale (prevista per il contratto dall’art. 1382 c.c. ma consentita anche nel testamento), una somma di denaro o altra prestazione economicamente valutabile che il legatario dovrà versare all’erede o ad altro soggetto predeterminato, ad esempio un ente per la protezione degli animali, in caso di inadempimento, eventualmente meno grave di quello previsto per la risoluzione.
È ciò che ha fatto l’avveduto ottantenne pavese che ha beneficato i suoi compagni, Piccola e Jack, una meticcia e un cocker, e i loro “amici trovatelli”, di un patrimonio di oltre un milione di euro, assegnando la somma di 20.000 al vicino di casa, con l’onere di prendersi cura dei suoi cani e il residuo, 890mila euro tra titoli, casa di proprietà e contanti, “a due associazioni che si occupano di tutela degli animali e, in particolare, di cani e gatti abbandonati”, con l’onere di assistere i trovatelli.
Un segugio per l’esecuzione dell’onere: l’esecutore testamentario
Queste sanzioni, però, qualcuno le deve attivare, ed è a tal fine opportuno porre alle calcagna dell’erede, per restare in tema, un “segugio” che controlli il suo comportamento. Potrà nominare col testamento un esecutore testamentario (art. 700 ss. c.c.), una persona fisica, in carne ed ossa, ma anche giuridica, meglio se con finalità non lucrative, meglio ancora se con particolare sensibilità per la tutela degli animali.
L’esecutore dovrà accettare l’incarico presso la cancellaria del tribunale dell’aperta successione (art. 702 C.C.), ed in caso di sua rinuncia il testatore avrà cura di prevederne i sostituti. Dovrà poi “curare che siano esattamente eseguite le disposizioni di ultima volontà del defunto” (art. 703 c.c.), prendendo anche possesso, ma solo nei primi due anni, dei beni ereditari, ed amministrandoli, sotto il controllo del giudice, per raggiungere gli obiettivi.
Potrà dunque provvedere ad un adeguato ricovero degli animali e stanziare le somme necessarie per realizzarlo, prelevandole dal patrimonio ereditario, insieme al rimborso delle spese (art. 712 c.c.) e degli eventuali compensi, che il defunto farà bene a prevedere, per motivarlo nell’attività, altrimenti gratuita (art. 711 c.c.).
Se non si può lasciare in eredità al gatto si lascia il gatto
Dato che non si può lasciare il gatto come erede, il testatore potrà invece lasciare il gatto all’erede, o al legatario, affidandogliene le cure. Trattandosi, come si è visto, di un “bene mobile”, il successore ne acquisirà la “proprietà”, e si potrà indirizzarne “l’utilizzo”, sempre tramite onere, verso particolari attività, come gare, operazioni di salvataggio o di assistenza ai non vedenti, e vietandone altre, come la guardia alla catena.
Ove mai fossero previste attività vietate, come quelle di lotta, o anche solo contrarie alla natura o al benessere dell’animale, l’onere non avrebbe comunque effetto, e potrebbe travolgere il lascito se disposto solo per quel motivo (arg. ex art. 626 e 794 c.c.).
Assistenza nella redazione di un testamento efficace: testamento pubblico e olografo
La materia successoria è tecnicamente complessa, ed è quindi fondamentale per la sua redazione, l’assistenza di un legale specializzato, meglio se un notaio, che potrà prestare i consigli necessari alla redazione in forma olografa (scritto datato e sottoscritto di pugno dal testatore, art. 620 c.c.) o redigerlo con le maggiori garanzie della forma pubblica (scritto dal notaio alla presenza dei testimoni ed inviato in busta chiusa all’archivio notarile il presso Tribunale art.603 c.c.), al riparo da invalidità, cui non si potrebbe poi porre rimedio o interpretazioni non desiderate.
Un’interpretazione conservativa del testamento fai da te
Se si arriva tardi e il testamento è stato redatto autonomamente, si potrà comunque contare sul principio del cosiddetto “favor testamenti”, che ne impone un’interpretazione conservativa (arg. ex art. 1367 c.c.), per cercare di dargli un senso, affinché possa avere “qualche effetto”, evitando così di vanificare le intenzioni del testatore e di avvantaggiare invece gli eredi legittimi, spesso, in questi casi, lontani parenti.
Per contribuire al salvataggio delle volontà testamentarie, i giudici possono fare applicazione dell’art. 630 c.c., secondo il quale le disposizioni genericamente previste “a favore dei poveri o altre simili” devono essere devolute all’ente di assistenza del comune ove il defunto era domiciliato. La Suprema Corte (Cassazione 6 agosto 2003 n. 1184, in Riv. Not. 2004, 1053) ha infatti ritenuto che si debba convertire “a favore del Comune l’onere di destinazione a carico dello stesso e a vantaggio della categoria bisognosa indicata dal testatore”; si riferisce ad “ex detenuti, vittime di delitti o calamità naturali, infanzia abbandonata”, ma reputa questa elencazione “puramente esemplificativa” e pare quindi poter ricomprendere gli enti di cura degli animali.
È ciò che è stato fatto per il fortunato Pilù, gattino veronese trovatello, bianco e nero e dai grandi occhi verdi: l’ottantottenne Cecilia Anna, ex funzionaria della Presidenza del Consiglio dei ministri “In piena salute di mente e di corpo” ha disposto col suo testamento olografo “di voler costituire un legato con il mio patrimonio in favore del [suo] gatto Pil”. È stato accudito a Milano, in un “residence per gatti a cinque stelle”, le cui spese di mantenimento, alimentazione, veterinario, farmaci, cucce e giochi, sono state coperte con il lascito testamentario, destinato poi all’associazione indicata dal Comune, che vigila sul suo benessere.
La disponente, naturalmente non aveva figli né coniuge né genitori in vita, perché avrebbe altrimenti dovuto tener conto della quota di legittima loro spettante sul patrimonio ereditario (artt. 536 ss. c.c.), il cui conteggio considera anche le donazioni effettuate in vita (art. 556 c.c.), anche, eventualmente, a favore di ETS che potrebbero vederselo revocare (art 555 c.c.), in mancanza di una adeguata pianificazione.
L’albergatrice jesolana Franca Franzi ha infatti destinato “solo” un terzo della somma ricavata dalla vendita dell’hotel «Cavalieri», struttura di lusso, fronte mare, a quattro stelle al restauro e al rifacimento del rifugio per cani randagi di Mestre, nel cuore del parco di San Giuliano. E al suo decesso la Giunta veneziana, temendo le azioni dei parenti, si è affrettata a stanziare oltre un milione per il primo lotto del nuovo canile, contando di coprirlo col ricavato del lascito.
Il Pet Trust
In alternativa al testamento, o anche mediante testamento, è possibile ricorrere al Trust, istituto consentito dal nostro ordinamento che però non lo regola, e rinvia a normativa anglosassone di common law per la sua disciplina che ne ha fatto ampio uso anche in questo settore.
La Convenzione dell’Aja 1° luglio 1985, ratificata con L. 364/1989, definisce l’istituto come rapporto giuridico istituito dal disponente (Setto), con atto tra vivi o mortis causa, che pone dei beni “sotto il controllo di un Trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico”, in questo caso la cura dell’animale, in modo che costituiscano una massa che seppure “intestata” al Trustee resta distinta dal suo patrimonio.
Il trustee, una persona fidata o un ente, disporrà del patrimonio nell’interesse dell’animale “secondo i termini del trust e le norme particolari impostegli dalla legge”, che essendo però estranee al nostro ordinamento, rendono lo strumento difficile da maneggiare senza consulenti veramente esperti.
Alla morte dell’animale l’eventuale residuo verrà devoluto al beneficiario finale indicato nel trust, ad esempio un ente di assistenza animali.
Costituzione di fondazione o lascito a enti ETS: un gesto che sfida il tempo
Più semplice e aderente alla nostra tradizione giuridica, per tutelare il futuro dei propri animali, specie se si preferisce vedere in vita i risultati dell’impegno profuso, è la scelta di effettuare una donazione ad un ETS, anche con l’apposizione di un onere (art. 794 c.c.), vincolandone così l’utilizzo ad un determinato scopo ed anche, in caso di nostra premorienza, alla cura dei propri animali domestici.
È ciò che ha fatto un’anziana signora di Empoli, lasciando un milione di euro al suo Comune con l’onere di realizzare “un canile e un gattile”; solo che c’erano già e il Comune, per non farsi sfuggire il lascito ha cercato di convogliarlo su quelli già esistenti.
I più intrapredenti, e danarosi, potranno invece costituire direttamente una fondazione. Vero che si può costituire per testamento (art. 14 c. 2 c.c.), ma è molto più pratico farlo in vita, con atto pubblico e dotandola del patrimonio necessario, che, se si vuol godere delle agevolazioni fiscali o facilitare il ricevimento di lasciti anche mediante una parte delle imposte (attualmente il 5 per mille ex art. 3, comma 2, lett. a) D.Lgs. n. 111 del 2017) sarà necessario sia almeno pari a 30.000 euro (art. 22 comma 4 CTS) potendo così accedere al Runts (il Registro Unitario Enti del Terzo Settore, ex art. 45 CTS, il Codice del Terzo Settore).
Naturalmente l’ente avrà come scopo la tutela degli animali (art. 3, c. 4 lett. e), CTS), anche aventi determinate caratteristiche e con le peculiari modalità che deciderà il fondatore, che lancerà così oltre l’arco temporale della propria esistenza il suo messaggio di amore e concreto aiuto agli amati compagni.
Gianfranco Benetti
Sabato 5 luglio 2025