Se il contribuente non sottoscrive il ricorso tributario

partendo da un caso di giurisprudenza, analizziamo le formalità di sottoscrizione e di notifica necessarie a rendere valido il ricorso tributario presentato dal contribuente; occorre fare molta attenzione in quanto le attuali norme procedurali relative al contenzioso tributario sono estremamente rigide

penna ocaLa Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 331 del 12.01.2016, ha affermato considerazioni in tema di effetti della mancata sottoscrizione del ricorso da parte del difensore che meritano di essere approfondite.

Nel caso di specie il contribuente ricorreva per la cassazione della sentenza con la quale la Commissione Tributaria Regionale, rigettandone l’appello, aveva dichiarato inammissibile il ricorso introduttivo.

In particolare la CTR, in accoglimento di eccezione sollevata dall’Agenzia in primo grado e ribadita in appello, aveva dichiarato, ai sensi dell’art. 18, c. 3, d.lgs. 546/92, inammissibile il ricorso introduttivo, rilevando che la copia di quest’ultimo inviata all’Ufficio non riportava a margine il mandato ad litem con la relativa sottoscrizione del contribuente (mandato ad litem riportato, invece, nell’originale depositato presso la segreteria della CTP).

Con il primo motivo il contribuente lamentava dunque l’errata applicazione dell’art. 18, c. 3, d.lgs 546/92, sostenendo che il requisito (previsto dalla detta norma) dell’indicazione dell’incarico conferito al difensore deve ritenersi assolto quando, come nel caso di specie, il mandato ad litem, non riportato (ma solo menzionato) nell’esemplare del ricorso rimesso all’Agenzia delle Entrate, risulta tuttavia poi effettivamente presente nell’esemplare (già l’uso del termine atecnico “esemplare” denotava la difficoltà interpretativa di cui si parla nel prosieguo dell’articolo) depositato presso la CTP.

Il motivo, secondo i giudici di legittimità, appariva fondato.

Ai sensi infatti del disposto dell’art. 18, cc. 3 e 4, asserisce la Corte, solo la sottoscrizione del difensore (o della parte) deve essere apposta tanto nell’originale quanto nelle copie del ricorso destinate alle altre parti; nessuna specifica sanzione è, invece, prevista in caso di mancanza della procura ad litem nella copia del ricorso notificata alla controparte, quando (come nel caso di specie) il mandato è presente nell’esemplare depositato presso la CTP.

E dunque, “in mancanza di specifica disposizione in senso contrario, deve ritenersi valida anche se non sia trascritta nella copia notificata alla controparte, occorrendo solo che la procura figuri sull’originale dell’atto stesso depositato in cancelleria, perché risulti rispettato il requisito della tempestività prescritto dall’art. 125 c.p.c., comma 2 cpc”.

La pronuncia della Corte presenta però alcuni profili di incertezza.

Se è vero infatti che, ai sensi del disposto dell’art. 18, cc. 3 e 4, solo la sottoscrizione del difensore (o della parte) deve essere apposta tanto nell’originale quanto nelle copie del ricorso destinate alle altre parti; e che nessuna specifica sanzione è, invece, prevista in caso di mancanza della procura ad litem nella copia del ricorso notificata alla controparte, quando (come nel caso di specie) il mandato è presente nell’esemplare depositato presso la CTP; è però anche vero che è principio consolidato quello per cui la procura alle liti è richiesta affinché il difensore possa esercitare nel processo lo jus postulandi in rappresentanza della parte che l’ha conferita e si incorpora nell’atto stesso.

Se dunque non ho contezza del mandato, o comunque tale mandato non sia sottoscritto, come faccio a sapere che quel ricorso, sottoscritto da soggetto diverso dal contribuente, legittimato attivo, è ammissibile, o piuttosto tamquam non esset, in quanto sottoscritto da un quisque de populo?

In realtà la sentenza sembra poi dimenticare la peculiarità del processo tributario rispetto a quello civile.

Nella maggior parte dei casi, il ricorso notificato all’Ufficio infatti, a differenza che nel processo civile, non è la copia, ma l’originale, mentre la copia viene poi depositata in Commissione Tributaria.

La procura pertanto deve essere conferita in margine od in calce all’atto notificato in originale e trasmessa unitamente ad esso.

L’art. 22 del D.Lgs. n. 546/1992, stabilisce del resto espressamente che “Il ricorrente … deposita, nella segreteria della commissione tributaria adita, … copia del ricorso consegnato … con fotocopia della ricevuta di deposito …” (comma 1), contenente l’attestazione di conformità dell’atto depositato a quello consegnato in originale, da parte dello stesso ricorrente (comma 3).

Tale tipo di violazione era già stata del resto stigmatizzata (sia pure in riferimento alla fase di appello) dalla Suprema Corte, con la sentenza n. 7073 del 2002, secondo cui il deposito dell’atto di impugnazione di una decisione della Commissione Tributaria provinciale presso la Segreteria della Commissione Tributaria Regionale può avvenire in originale nel solo caso di appello notificato ai sensi delle disposizioni del codice di procedura civile, mentre, nel caso di notifica a mezzo posta o tramite consegna presso l’ufficio, il deposito stesso deve avvenire in copia, con acclusa, rispettivamente, la ricevuta postale di ricezione ovvero la ricevuta di deposito, essendo, inoltre, l’appellante tenuto, in questi ultimi due casi, ad attestare la conformità dell’atto depositato a quello (originale) spedito o consegnato all’Ufficio (nello stesso senso, vd. anche Cassazione, sent. n. 12154 del 2004).

Vero è però che più volte la Cassazione (vedi anche la sentenza n. 21170/2005) ha affermato che le disposizioni che sanciscono l’inammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio debbono essere interpretate ed applicate in armonia con i principi della Costituzione e, in particolare, con il diritto alla difesa in giudizio sancita dall’art.24 della Costituzione, dovendosi procedere ad una interpretazione restrittiva dell’art.22 del D.Lgs. n. 546/1992, applicando la sanzione estrema dell’inammissibilità del ricorso solo quando siano lesi profili sostanziali del contraddittorio processuale.

L’inammissibilità per difetto di sottoscrizione del ricorso si verificherebbe, dunque, solo quando la sottoscrizione stessa manchi del tutto e non quando il contribuente (in violazione del citato art. 22) consegni all’ufficio la copia e depositi in segreteria l’originale, o comunque depositi in Commissione la copia regolarmente sottoscritta o con mandato regolarmente sottoscritto.

Tale “irregolarità”, però, ancor più se riferita solo alla sottoscrizione del mandato, secondo i giudici di legittimità non sarebbe idonea a integrare quella causa di nullità insanabile del ricorso, nella quale consiste l’inammissibilità, peraltro sulla base testuale stabilita dagli artt. 18 e 22 del D.Lgs. n. 546 del 1992.

Secondo i giudici della Corte, infatti, anche se, in effetti, tutte e due tali previsioni dispongono l’inammissibilità del ricorso:

a) se manca o è assolutamente incerta una delle indicazioni di cui al comma 2, ad eccezione di quella relativa al codice fiscale, o non è sottoscritto a norma del comma precedente;

b) se il deposito, nella segreteria, non avviene ai sensi del comma 1 dell’articolo 22;

tuttavia, essendo la sanzione ivi stabilita di quelle cosiddette “forti”, cioè caratterizzate dalla insanabilità del vizio, rilevabile d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, proprio per il rigore che la caratterizza, la sanzione deve essere interpretate in senso restrittivo, riservandole un limitato campo di operatività, comprensivo cioè di quei soli casi nei quali il rigore estremo è davvero giustificato, in tal modo tenendo presente l’insegnamento fornito dalla Corte Costituzionale, secondo il quale le disposizioni processuali tributarie devono essere lette in armonia con i valori della “tutela delle parti in posizione di parità, evitando irragionevoli sanzioni di inammissibilità” (sentenze n. 189 del 2000 e n. 520 del 2002).

In particolare, quindi, concludono i giudici di legittimità, “con riferimento alla previsione di cui all’art. 22, comma 1, del D.Lgs. n. 546/1992, riguardante la menzionata attività di consegna del ricorso in originale all’ufficio e di deposito della copia, attestata come conforme dalla parte, presso la segreteria della Commissione, l’eventuale irregolarità che abbia avuto ad oggetto tale procedura e, ad esempio, si sia (come nel caso di specie) esattamente rovesciata nell’ordine procedimentale, con la consegna della copia (anziché dell’originale) all’ufficio e il deposito dell’originale (anziché della copia conforme) presso l’organo giurisdizionale, non si può far discendere l’inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio”, anche se, secondo i medesimi giudici, è e resta comunque condivisibile l’affermazione, contenuta nella sentenza della stessa Corte, n. 4051 del 2001, ad avviso della quale il ricorso introduttivo del giudizio (tanto di primo grado quanto d’appello) dinanzi alle Commissioni tributarie, nella disciplina del D.Lgs. n. 546 del 1992, ove direttamente proposto per mezzo del servizio postale o con consegna all’ufficio finanziario, è inammissibile tutte le volte in cui manchi, nella copia depositata con la costituzione in giudizio, la sottoscrizione dell’autore dell’atto (e cioè della parte ovvero del suo difensore), indipendentemente dalla circostanza che la controparte non contesti la sottoscrizione dell’originale.

Tuttavia, come detto, tale mancanza di sottoscrizione va intesa in modo restrittivo, ossia come mancanza radicale del requisito imposto dalla legge.

La previsione di inammissibilità, in sostanza, dovrebbe farsi conseguire solo laddove e nei limiti in cui la mancanza della sottoscrizione sia materiale, non quando essa risulti presente per relationem, attraverso il rinvio implicito dalla copia all’atto (originale) depositato presso la segreteria dell’ufficio e questa conformità non sia stata contestata o, se anche lo sia stata, essa sia comunque infondata.

Il comma 5 dell’articolo 22 stabilisce peraltro, in ogni caso, che “Ove sorgano contestazioni il giudice tributario ordina l’esibizione degli originali degli atti e dei documenti di cui ai precedenti commi“.

È proprio tale inciso, secondo la Corte, che fornisce la chiave di lettura dell’intero regime dell’inammissibilità del ricorso introduttivo, stabilendo una sorta di possibile causa di esclusione della sanzione dell’inammissibilità (come si è detto, vera e propria extrema ratio) quando vi sia modo di accertare la sostanziale regolarità dell’atto e l’osservanza delle regole processuali fondamentali (nella specie: l’esistenza della sottoscrizione della parte e del difensore del ricorrente, attraverso regolare sottoscrizione del mandato alla lite).

Il citato l’orientamento della Corte di Cassazione è senz’altro inteso a mitigare interpretazioni rigorose in tema di inammissibilità del ricorso introduttivo.

Tale orientamento si può ritenere del resto abbastanza consolidato.

Con la sentenza 27 gennaio 2012, n. 1166, per esempio, a seguito di un’impugnazione, ad opera dell’Agenzia delle Entrate, di una sentenza, emessa dalla Commissione tributaria regionale delle Marche, in quanto:

risultava assente l’autentica della firma apposta dalla parte per il conferimento della procura nell’esemplare del ricorso notificato all’Agenzia delle Entrate;

risultava invertito lo schema procedimentale determinato dall’art. 22 del D.Lgs. n. 546/1992, in materia di notifica e successiva costituzione in giudizio del ricorrente (come già sopra evidenziato nei precedenti citati);

la Suprema Corte, definiva tali carenze come meramente formali, e tali da non poter pregiudicare il diritto del contribuente a stare in giudizio.

In merito all’errata applicazione di quanto statuito dall’art. 22 citato, la Corte concludeva dunque affermandone la natura di mera irregolarità formale, non suscettibile di determinare sanzioni di inammissibilità e ribadendo che, “la specificità del processo tributario, quale giudizio di tipo impugnatorio e di merito, che non consente, attesi i tempi particolarmente brevi di impugnazione dell’atto, nel caso di inammissibilità, di accedere nuovamente alla tutela giurisdizionale, ha richiesto un’attenta rimeditazione delle norme processuali che comminano sanzioni di inammissibilità”.

Resta inteso però che il disposto letterale della norma è difficilmente superabile.

E infatti la stessa Corte, nelle sue ultime pronunce, sembrava in “difficoltà” nel recepire in modo consolidato quel primo orientamento, sopra evidenziato.

Con la Sentenza n. 18742 del 5 settembre 2014, per esempio, il ricorso per Cassazione dei contribuenti è stato respinto, anche se non con un’espressa pronuncia sull’eccezione in esame.

Con l’unico motivo di ricorso, infatti, i contribuenti, denunziando, ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, deducevano che la costituzione in giudizio presso la segreteria, avvenuta con il deposito dell’originale del ricorso regolarmente sottoscritto, sanava la notifica all’Agenzia del ricorso in fotocopia.

Il motivo, secondo i giudici di legittimità, era inammissibile.

La Corte evidenziava infatti che “per condiviso principio già affermato da questa Corte, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza. Nel caso di specie la CTR ha ritenuto inammissibile il ricorso proposto in primo grado dai contribuenti, non solo perchè presentato all’Ufficio in fotocopia, ma anche perchè manchevole delle pagine interne; siffatto ultimo motivo di inammissibilità, costituente autonoma ratio decidendi, idonea da sola a fondare la decisione, non è stato oggetto di specifica censura; di conseguenza, in base al su esposto principio, è da ritenersi divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, con conseguente difetto di interesse alla proposizione di doglianza concernente l’altra ed autonoma ratio decidendi”.

Il ricorso, con buona pace della mitigazione della sanzione di inammissibilità, veniva quindi rigettato.

In modo più esplicito, comunque, ancora la Cassazione con la Sentenza n. 15958 del 25 giugno 2013, aveva stabilito che “l‘atto depositato dal contribuente nella segreteria della Commissione Tributaria Provinciale era dunque un originale non notificato e, pertanto, il ricorso introduttivo del giudizio era inammissibile, ex art. 22 D.Lgs. n. 546 del 1992 e tale doveva essere dichiarato di ufficio dal giudice di prime cure e, non avendo a ciò provveduto la Commissione Tributaria Provinciale, dal giudice di secondo grado, adito dall’Agenzia delle entrate con l’appello”.

Insomma un orientamento ancora oscillante, che però con la recente sentenza in commento sembra ormai definitivamente consolidato.

Dalla disciplina positiva sul processo tributario (D. Lgs. n. 546/1992, artt. 16 e 22), del resto, come detto, emerge in realtà piuttosto chiaramente quale debba essere, in riferimento al ricorso introduttivo del contenzioso fiscale, l’oggetto della notifica e quale quello del deposito.

Più precisamente, poste le tre forme di notificazione del ricorso previste dall’art. 16 del citato testo normativo, nell’ipotesi di notificazione effettuata direttamente dal ricorrente (a mezzo del servizio postale o con consegna diretta all’Ufficio), il successivo art. 22, disponendo la costituzione mediante deposito di copia del ricorso, impone al ricorrente la consegna dell’originale del ricorso all’Ufficio.

Recita invero la norma al comma primo che “Il ricorrente, entro trenta giorni dalla proposizione del ricorso, a pena d’inammissibilità deposita, nella segreteria della commissione tributaria adita, o trasmette a mezzo posta, in plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento, l’originale del ricorso notificato a norma degli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile ovvero copia del ricorso consegnato o spedito per posta ”.

Per consentire poi al giudicante la verifica della tempestività della notifica, il ricorrente deve allegare alla copia del ricorso la “fotocopia della ricevuta di deposito o della spedizione per raccomandata a mezzo del servizio postale”.

Dal combinato disposto delle due norme si deve concludere allora che nel solo caso di notifica a mezzo di ufficiale giudiziario non è necessario consegnare all’Ufficio l’originale del ricorso, atteso che l’ufficiale giudiziario certifica la conformità della copia dell’atto che consegna all’Ufficio all’originale che restituisce al ricorrente (art. 137, comma 2, c.p.c.).

Inoltre, nel caso di notifica ai sensi degli artt. 137 e seguenti del codice di procedura civile la data in cui essa è intervenuta è apposta sull’originale del ricorso che viene restituito al contribuente, tanto sostanziando ulteriore ragione per cui in questa ipotesi (notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario) è fatto obbligo di deposito dell’originale del ricorso.

Se però la notificazione avviene a mezzo del servizio postale, è l’originale del ricorso che deve essere notificato all’Ufficio, dovendosi escludere, sulla base della normativa passata in rassegna, qualsiasi forma di equivalenza.

Ed è appena il caso di rilevare che il legislatore ha previsto (art. 22 D. Lgs. 546/1992), quale conseguenza della mancata osservanza della disciplina prima ricordata, l’inammissibilità del ricorso, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, anche in caso di costituzione di controparte (Corte di Cassazione, sent. n. 4051/2001: “le norme sui requisiti di forma indispensabili per l’attivazione del giudizio rispondono ad interessi anche pubblicistici, hanno carattere imperativo e si sottraggono alla disponibilità dei contendenti, … quindi, il riscontro officioso della loro inosservanza non trova ostacolo nel comportamento difensivo delle parti”; Corte di Cassazione, sent. n. 7033/2002).

Insomma, la diversa impostazione alla base, rispettivamente, del processo civile e del processo tributario rende difficoltosa l’applicazione di comuni principi processuali, rendendo necessaria, nel caso del processo tributario, una interpretazione costituzionalmente orientata che possa porre rimedio alla rigidità letterale del dato normativo.

13 maggio 2016

Giovambattista Palumbo