Un particolare caso di operazioni intracomunitarie: l'appalto con cliente straniero

operazioni intracomunitarie per la fabbricazione di stampi tra committente inglese e appaltatrice italiana ma quest’ultima incarica una società subappaltatrice; analizziamo il caso, con particolare attenzione alle casistiche legate alla spedizione del prodotto

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23761 del 20.11.2015, ha affrontato un particolare caso di operazioni intracomunitarie.

Nel caso di specie, a seguito della stipula di un contratto d’appalto, avente ad oggetto la costruzione di stampi da utilizzare nella produzione di testate cilindriche, tra la società committente, con sede in Gran Bretagna, e la appaltatrice, residente in Italia, quest’ultima, su richiesta della stessa committente, incaricava della realizzazione della fabbricazione degli stampi e delle testate cilindriche una società subappaltatrice.

Realizzati e consegnati i prodotti finali, l’appaltatrice provvedeva, quindi, ad emettere fatture nei confronti della committente, senza liquidazione dell’IVA in quanto operazioni di cessione intracomunitaria non imponibili, ai sensi dell’art. 41, c. 1, lett. a, DL n. 331/1993 conv. in legge n. 427/1993.

L’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate, notificava allora all’appaltatrice un avviso di accertamento, contestando la sussistenza dei presupposti normativi della non imponibilità, in quanto gli stampi erano rimasti presso la ditta subappaltatrice al termine delle lavorazioni, e non erano stati trasferiti nel territorio dello Stato membro della società inglese cessionaria, come richiesto dalla normativa tributaria.

L’avviso era opposto dalla società che risultava vittoriosa in entrambi i gradi di giudizio.

La CTR dell’Emilia-Romagna rilevava in particolare che la società contribuente aveva fornito prova che la realizzazione degli stampi e la costruzione dei prodotti finali concernevano il medesimo contratto di appalto, che prevedeva l’affidamento in subappalto dei lavori, con la conseguenza che il presupposto del trasferimento degli stampi nel territorio dello Stato membro della cessionaria, doveva essere verificato, non al termine di efficacia del contratto di appalto di fornitura, ma al termine del ciclo produttivo, e cioè della completa usura o distruzione dello stampo nel corso del tempo.

E nella specie tale evento non si era ancora realizzato, in quanto la produzione dei beni era continuata con la stipula di ulteriori contratti di fornitura conclusi direttamente dalla committente con la subappaltatrice ed aventi ad oggetto testate cilindriche prodotte con i medesimi stampi.

Ricorreva quindi davanti alla Suprema Corte l’Agenzia delle Entrate, la quale deduceva il vizio di violazione dell’art. 8, c. 1, lett. a, Dpr n. 633172 e dell’art. 41, DL n. 331/1993.

Osservava infatti la ricorrente che gli stampi erano oggetto del contratto di appalto stipulato tra l’appaltatrice e la committente, e che la cessione della proprietà degli stessi era stata fatturata dalla appaltatrice alla committente, senza tuttavia che alla cessazione del predetto contratto fosse seguito il materiale trasferimento anche di tali beni nel territorio della società britannica, essendo rimasti in custodia gli stampi presso la ditta subappaltatrice.

In difetto della materiale consegna degli stampi, o della loro consunzione nel processo produttivo, o ancora della loro distruzione pattuita dai contraenti all’esito della esecuzione della fornitura dei prodotti finiti, difettava dunque il presupposto applicativo della non imponibilità della operazione di cessione intracomunitaria.

Il motivo, secondo i giudici di legittimità, era fondato.

Il corrispettivo dello stampo, indicato autonomamente in fatture, implica infatti che il documento commerciale attesta un’operazione di cessione del bene-stampo a titolo oneroso, che, in applicazione della disciplina degli scambi intracomunitari, esonera il cedente dal versamento dell’IVA, laddove però il bene sia ceduto ad acquirente comunitario e sia effettivamente spedito o trasferito materialmente dal territorio dello Stato nel territorio dello Stato membro di residenza del cessionario.

Al riguardo l’art. 41, c. 1, lett. a, DL n. 331/1993 conv. in legge n. 427/1993, nel testo vigente ratione temporis, qualificava infatti “cessioni non imponibili a) le cessioni a titolo oneroso di beni, trasportati o spediti nel territorio di altro Stato membro, dal cedente o dall’acquirente, o da terzi per loro conto, nei confronti di cessionari soggetti di imposta o di enti, associazioni ed altre organizzazioni indicate nell’articolo 4, quarto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, non soggetti passivi d’imposta; i beni possono essere sottoposti per conto del cessionario, ad opera del cedente stesso o di terzi, a lavorazione, trasformazione, assiemaggio o adattamento ad altri beni”.

Il materiale trasferimento del bene oggetto della cessione nel territorio del diverso Stato membro, integra pertanto un elemento costitutivo del diritto del soggetto nazionale cedente a sottrarre l’operazione alla liquidazione ed al pagamento della imposta nello Stato, ed in difetto di tale elemento l’operazione di cessione resa a favore di soggetto comunitario si intende effettuata nel territorio nazionale, con conseguente applicazione del regime fiscale ordinario (il cedente nazionale è infatti in tal caso soggetto passivo d’imposta).

Trattandosi, del resto, nella specie, di beni ad utilizzo ripetuto, necessari all’adempimento del contratto di fornitura, si rendeva necessario interpretare il presupposto normativo in relazione al duplice aspetto:

a) della immediata fatturazione del corrispettivo relativo alla costruzione ed alla cessione dello stampo;

b) della mancata immediata consegna al committente dello stampo, in quanto bene destinato ad essere impiegato nella fabbricazione del diverso prodotto finito oggetto del contratto di fornitura.

Coerentemente alla ratio legis della non imponibilità dell’operazione intracomunitaria, la fattispecie negoziale deve dunque essere considerata unitariamente, in particolare laddove con il medesimo contratto venga richiesto al fornitore del prodotto finito di realizzare anche lo stampo necessario a produrlo, differendo alla cessazione del rapporto contrattuale il presupposto del “materiale trasferimento nel territorio dell’altro Stato membro” dello stampo, e prevedendo altresì l’ipotesi che lo stampo venga “consumato” o “distrutto” in conseguenza del processo di lavorazione del prodotti finito, ovvero in esito alla esecuzione del contratto, ovvero al termine della durata dello stesso (qualora fossero previste forniture periodiche o consegne ripartite nel tempo), in tal caso ritenendo egualmente assolto il presupposto indicato nel venir meno della stessa esistenza di un autonomo bene suscettibile di trasporto o spedizione.

Risultava invece del tutto estranea alla fattispecie normativa l’ipotesi in esame, laddove l’acquirente

comunitario del bene-stampo, pur non avendolo ricevuto in consegna nel territorio dello Stato membro di residenza, lo affida in uso od in custodia allo stesso cedente o ad altro soggetto residente nello Stato di origine del bene, in vista di eventuali e successivi rapporti contrattuali aventi ad oggetto la fornitura di analoghi od identici prodotti finali, mediante utilizzo degli stessi stampi.

Le scelte operative del committente si collocano infatti, in tal caso, al di fuori della singola operazione economica -pure unitariamente considerata-, afferendo ad altri e diversi rapporti contrattuali, peraltro del tutto eventuali, che danno origine ad ulteriori distinte operazioni economiche fiscalmente rilevanti, e non possono pertanto condizionare “ad libitum” l’esigenza della Amministrazione finanziaria di definire il regime fiscale del rapporto tributario insorto con l’operazione di cessione della stampo e l’emissione della relativa fattura.

Doveva, pertanto, ritenersi errata in diritto la sentenza della CTR, laddove rinveniva la ratio legis della disposizione sulla non imponibilità delle cessioni intracomunitarie, nel differimento del presupposto di legge (trasferimento materiale del bene nel territorio del cessionario) fino all’esaurimento fisico del bene in considerazione delle peculiari caratteristiche di obsolescenza, prescindendo dall’elemento giuridico determinante considerato dalla fattispecie normativa astratta e che era costituito dal negozio giuridico (nella specie contratto di appalto) traslativo del diritto sul bene, cui è sottesa la operazione economica (realizzazione del bene-stampo strumentale all’adempimento del contratto di fornitura del prodotto finale) in riferimento alla quale, ai fini della non imponibilità IVA riconosciuta dall’art. 41, c. 1, lett. a, DL n. 331/1993 conv. in legge n. 427/1993 alle operazioni di cessione intracomunitaria, deve essere verificato il presupposto del materiale trasporto del bene dallo Stato membro di origine a quello, diverso, di destinazione.

Non è consentito quindi frazionare artificiosamente il rapporto giuridico nel quale si sostanzia l’operazione di cessione, isolando l’obbligo di trasferimento materiale dello stampo dall’efficacia del contratto al quale accede.

Laddove, in conclusione, dall’esame delle cessioni comunitarie non emerga la prova del trasporto o comunque della consegna della merce al cliente comunitario formalmente destinatario della merce, l’Ufficio, potrà provvedere a quantificare il volume delle cessioni fatturate, ritenendole prive dei requisiti della non imponibilità Iva ex art. 41 del DL 331/93.

Le società verificate devono dunque essere in grado di esibire documentazione, coerente e convergente, comprovante il trasferimento fisico della merce fuori dal territorio nazionale, come ad esempio: le lettere di vettura internazionale (CMR) controfirmate dalla ditta acquirente, la fattura di vendita all’acquirente comunitario, la fattura passiva del vettore, la dichiarazione intrastat, il pagamento del prezzo da parte dell’acquirente, il pagamento del prezzo al vettore.

In tal caso non vi potranno essere contestazioni da parte degli organi verificatori.

Nel sistema delineato dall’art. 41, D.L. 30.08.1993, n. 331, le operazioni configurabili quali cessioni intracomunitarie devono infatti presentare, oltre ad un requisito soggettivo, un requisito oggettivo, costituito appunto dalla cessione del bene a titolo oneroso e l’ulteriore requisito della cosiddetta territorialità, in base al quale i beni devono essere trasportati o spediti nel territorio di altro Stato membro.

Come già espresso dalla Suprema Corte (vedi Cass. Sez. 5, 13/02/2009, n. 3603), l’onere di provare l’esistenza dello scambio intracomunitario è peraltro, in tali casi, a carico del contribuente, anche in ragione del principio generale secondo il quale l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto, che legittimano la deroga al normale regime impositivo, è sempre a carico di chi detta deroga invochi.

Sicché, in presenza della disciplina che prevede in via ordinaria l’assoggettamento ad IVA delle cessioni, incombe sul soggetto che intenda fruire del regime di non imponibilità, previsto per la cessione intracomunitaria, la dimostrazione dell’esistenza dei requisiti essenziali per la configurazione dell’invocata fattispecie non imponibile.

Sul tema, anche la Corte di Giustizia comunitaria ha peraltro, più volte (vedi C-146/05 causa “Al.Co., C-184-05 causa “Tw.In. e C-409/04 causa “Te.”), espresso il principio generale secondo il quale l’onere della prova che i beni siano stati transitati in altro Stato membro ricade sul fornitore.

La Corte di Giustizia ha infatti in particolare affermato che “l’esenzione della cessione intracomunitaria diventa applicabile solo quando il potere di disporre del bene come proprietario è stato trasmesso all’acquirente e quando il fornitore prova che tale bene è stato spedito o trasportato in altro Stato membro e che, in seguito a tale spedizione e trasporto, esso ha lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di cessione” (cfr: sentenza del 27.09.2007, C-409/04, punto 42; nello stesso senso: sentenza del 27.09.2007, C-184/05, punto 23).

26 aprile 2016

Giovambattista Palumbo