Il regime forfettario per i pensionati

analizziamo le possibilità per i pensionati di accedere al regime forfettario dopo le novità dell’ultima legge di stabilità e il problema dei redditi soggetti a tassazione separata nell’anno precedente

nicola forte L’Agenzia delle entrate ha fornito con la Circolare n. 10/E del 4 aprile scorso una serie di chiarimenti relativi alle modifiche apportate dalla legge di Stabilità del 2016 al regime forfetario applicabile agli imprenditori individuali e ai lavoratori autonomi. In taluni casi, però, le indicazioni non sono ancora sufficienti e permangono numerosi dubbi operativi.

Il documento di prassi si è soffermato sulla previsione di cui all’art. 1, c. 57, della nuova lettera d–bis) della legge n. 190/2014. La disposizione preclude l’applicazione del regime forfetario a decorrere dall’1 gennaio 2016 laddove il soggetto interessato abbia percepito nell’anno precedente (all’ingresso nel regime) redditi di lavoro dipendente e/o assimilato di importo superiore a 30.000 euro. Ad esempio se il contribuente ha adottato tale regime con decorrenza dall’anno 2016 non deve aver superato il predetto limite nell’anno 2015.

La modifica è sicuramente positiva e rende più agevole l’accesso al predetto regime. E’ stata così abrogata la previsione di cui al precedente comma 54, lettera d. In passato (nell’anno 2015) era necessario, per poter accedere al regime forfetario, che il reddito di impresa o di lavoro autonomo fosse prevalente rispetto a quello di lavoro dipendente o assimilato eventualmente percepito.

La formulazione normativa ha di fatto impedito a numerosi pensionati l’applicazione del regime forfetario dal 2015. La pensione viene considerata ai fini fiscali un reddito di lavoro dipendente. Conseguentemente era sufficiente che il trattamento pensionistico fosse superiore rispetto al reddito percepito con l’attività di impresa o di lavoro autonomo per essere esclusi dal regime forfetario.

Ora, invece, dall’anno 2016, la disciplina è mutata radicalmente. E’ irrilevante che il reddito di lavoro dipendente (anche la pensione) sia superiore a quello dell’attività “autonoma” a condizione che non sia superata la soglia di 30.000 euro.

La disposizione prevede che tale condizione non deve essere osservata qualora il rapporto di lavoro sia cessato nell’anno precedente. Ad esempio può accedere al regime forfetario il contribuente che nell’anno 2015 ha percepito un reddito da lavoro dipendente pari a 40.000 euro, ma che nello stesso anno ha cessato tale rapporto. In tale ipotesi l’Agenzia delle entrate ha chiarito che il contribuente può accedere (nel 2016) al regime forfetario a condizione che nello stesso anno 2015, dopo aver cessato il rapporto di lavoro dipendente, non ne inizi uno nuovo ancora in essere al 31 dicembre 2015. “Ciò in coerenza con la ratio della disposizione, che ha il fine di incoraggiare il lavoratore rimasto senza impiego e senza trattamento pensionistico mediante la concessione di agevolazioni fiscali”. Conseguentemente, se ad esempio il rapporto di lavoro è cessato il 30 giugno 2015, per poi iniziare a percepire il trattamento pensionistico nello stesso anno, non sarà possibile accedere al regime forfetario. La pensione, come ricordato, è considerata ai fini fiscali reddito di lavoro dipendente e il superamento dell’anzidetto limite preclude il beneficio del regime forfetario.

La mancanza di chiarimenti riguarda il caso in cui il soggetto interessato abbia percepito nell’anno precedente redditi di lavoro dipendente o assimilati soggetti a tassazione separata. Si consideri ad esempio il caso in cui l’imprenditore abbia percepito nell’anno 2015 un trattamento pensionistico pari a 28.000 euro e nello stesso anno abbia percepito emolumenti arretrati pari a 3.000 euro. Trattandosi di emolumenti arretrati il soggetto erogatore avrà assoggettato le ulteriori somme corrisposte a tassazione separata. Si pone così il problema di comprendere se al fine di verificare il superamento del limite debba farsi riferimento solo all’importo della pensione soggetta a tassazione con i criteri ordinari, pari a 28.000 euro, ovvero se debbano essere sommati anche gli emolumenti arretrati. In tale ipotesi l’importo complessivo supererebbe la soglia di 30.000 euro e l’accesso al regime risulterebbe precluso.

In base ad un’interpretazione letterale la soluzione dovrebbe essere negativa, ma è auspicabile che l’Agenzia delle entrate fornisca una soluzione positiva. Il contribuente risulterebbe di fatto penalizzato per aver percepito in “ritardo” “ratei” di pensione arretrati ove tale differimento del pagamento determinasse il superamento, come nel caso di specie, del limite di 30.000 euro.

La via di uscita non sarebbe difficile. L’Agenzia delle entrate dovrebbe chiarire che ai fini del computo di 30.000 euro risulterebbero esclusi i redditi soggetti a tassazione separata.

21 aprile 2016

Nicola Forte