Finanziamenti infragruppo: l'applicazione dell'imposta di registro al 3% e l'invio per corrispondenza

approfondiamo la gestione dell’imposta di registro nei contratti di finanziamento infragruppo: è possibile la tassazione solo in caso d’uso o si deve pagare l’imposta proporzionale? E la conclusione del contratto per corrispondenza?

pioggia-soldiLa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24269 del 27.11.2015, ha stabilito importanti principi in tema di trattamento, ai fini dell’imposta di registro, dei finanziamenti infragruppo.

Nel caso di specie l’agenzia delle Entrate notificava ad una s.r.l. un avviso di liquidazione, contestando l’omessa registrazione in termine fisso di un atto di concessione di un finanziamento infruttifero ad una sua controllata.

Ai sensi dell’art. 5 del d.P.R. n. 131 del 1986, l’Amministrazione Finanziaria recuperava quindi l’imposta proporzionale di registro al 3%, l’imposta di bollo, gli interessi e le sanzioni.

La società presentava ricorso, sostenendo trattarsi di negozio tassabile in caso d’uso, siccome formato mediante corrispondenza, sicché l’imposta si sarebbe dovuta applicare in misura fissa.

L’adita commissione tributaria provinciale di Perugia rigettava il ricorso e la sentenza era confermata, in appello, dalla commissione tributaria regionale dell’Umbria.

La commissione tributaria regionale riteneva infatti non provata la circostanza che il contratto fosse stato perfezionato per corrispondenza, giacché era mancata la spedizione della proposta a mezzo del servizio postale ed era peraltro mancata anche la sottoscrizione del proponente della copia sottoscritta dall’accettante.

Considerava inoltre che il francobollo e il timbro postale, in calce al documento prodotto, potevano esser stati apposti al fine di attribuire data certa al documento medesimo.

Ad avviso della commissione, per aversi prova certa della formazione della volontà contrattuale a mezzo di scambio di corrispondenza sarebbe stato dunque necessario uno scambio di raccomandate, o quanto meno un invio a mezzo posta della proposta e dell’accettazione.

In difetto di tale prova, essendosi in presenza di un’operazione di finanziamento, correttamente l’ufficio aveva allora, a suo avviso, applicato l’art. 9 della tariffa, parte I, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, con registrazione in termine fisso ed imposta proporzionale al 3 %.

Né l’operazione poteva ritenersi rilevante ai fini dell’Iva, attesa la specifica esclusione prevista dall’art. 2, c. 3, lett. a), del d.P.R. n. 633 del 1972.

La società contribuente presentava quindi ricorso per cassazione, denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 1, c. 1, della tariffa, parte II, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, 1326, 1334 e 1335 c.c. e violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 1, c. 1, della tariffa, parte II, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, 2704 c.c., nonché omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su fatto controverso.

La ricorrente sosteneva in particolare che doveva trovare applicazione nel caso di specie il regime fiscale afferente gli atti soggetti a registrazione in caso d’uso, con applicazione della sola imposta fissa, anche considerato che la norma fiscale, subordinando al beneficio della registrazione solo in caso d’uso gli atti formati “mediante corrispondenza“, si limiterebbe ad imporre la materiale trasmissione del relativo carteggio, prescindendo dal mezzo all’uopo impiegato, essendo gli “atti formati per corrispondenza” necessariamente quelli, unilaterali o meno, che acquistano efficacia dalla corrispondenza; e dunque gli atti di cui agli artt. 1334, 1326 e 1335 c.c..

Pertanto il beneficio fiscale non poteva essere ritenuto subordinato alla prova dell’invio di proposta e accettazione a mezzo posta, né alla prova della conclusione contestuale mediante documento contenente la sottoscrizione di entrambi i contraenti.

In ogni caso la commissione tributaria aveva sminuito la rilevanza di due timbri postali apposti sulla dichiarazione di accettazione, avendo affermato che il timbro non attribuiva data certa alla scrittura privata.

Il ricorso, secondo i giudici di legittimità, era fondato, benché per ragione giuridica diversa da quella prospettata dalla parte ricorrente, la quale comunque aveva sindacato – sebbene con argomenti non pertinenti – il cuore della decisione d’appello, incentrata sul rilievo giuridicamente errato della soggezione dell’atto a imposta proporzionale perché registrabile in termine fisso.

Evidenzia pertanto a tal proposito la Suprema Corte che era pacifico, in base alle stesse difese delle parti, che nel caso di specie si fosse trattato della registrazione di un contratto di finanziamento infruttifero, dalla controllante alla controllata e che dunque il punto centrale della controversia atteneva al regime di cui all’art. l, lett. b), della tariffa, parte Il, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, essendo stata dedotta l’astratta soggezione dell’operazione a Iva.

Su questo, che, ad avviso dei giudici di legittimità, era il tema decisivo, l’impugnata sentenza aveva sostenuto che l’operazione, in quanto di finanziamento, non rilevava ai fini dell’Iva per la specifica esclusione prevista dall’art. 2, comma 3, lett. a), del d.P.R. n. 633 del 1972 (cessioni aventi a oggetto denaro o crediti in denaro).

Ma tale argomentazione era giuridicamente errata.

Difatti, secondo il combinato disposto ex artt. 5, c. 2, del d.P.R. n. 131 del 1986 e l, lett. b), dell’allegata tariffa, parte II, sono sottoposte a registrazione in caso d’uso, e scontano l’imposta in misura fissa, le scritture private non autenticate contenenti disposizioni relative a operazioni soggette all’Iva, fra cui le “prestazioni di servizi“.

Sicché non era utile la considerazione della commissione tributaria, in quanto limitata al distinto concetto di “cessione di beni“.

Viceversa tra le prestazioni di servizi il d.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, c. 2, n. 3, comprende proprio i prestiti di denaro.

E il fatto che questi siano poi esentati dall’imposta, in virtù del successivo art. 10, n. 1, allorché possano considerarsi “operazioni di finanziamento“, era questione non rilevante ai fini della decisione, in cui si trattava della debenza dell’imposta di registro e non dell’Iva.

Ai limitati fini del regime di registro, il punto essenziale era pertanto che le operazioni di finanziamento, in astratto, sono soggette a Iva e che, per questa ragione, esse non debbono allora scontare l’imposta proporzionale di registro, come d’altronde prevedono espressamente gli artt. 5, c. 2, e 40, c. 1, del d.P.R. n. 131 del 1986, laddove considerano soggette all’Iva (e quindi a registrazione a imposta fissa) anche “le prestazioni per le quali l’imposta non è dovuta” (ad eccezione di alcune ipotesi che qui non ricorrevano).

Tale conclusione è stata del resto confermata anche dall’orientamento prevalente della Corte (v. Sez. 5′ n. 9403-07, cui adde Sez. 5′ n. 4748-06 e Sez. n. 11431-99).

E dunque il principio di diritto affermato dai giudici di legittimità era il seguente: “In tema di imposta di registro, e alla luce del principio dell’alternatività con l’Iva, gli atti sottoposti, anche teoricamente, perché di fatto esentati, a questa imposta non debbono scontare quella proporzionale di registro; e poiché, secondo gli artt. 5, secondo comma, del d.P.R. n. 131 del 1986, e 1, lettera

b), dell’allegata Tariffa, parte seconda, sono sottoposte a registrazione in caso d’uso, e scontano l’imposta in misura fissa, le scritture private non autenticate contenenti disposizioni relative a operazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto, fra cui le “prestazioni di servizi”, nelle quali l’art. 3, secondo comma, n. 3, del d.P.R. n. 633 del 1972 comprende i prestiti in denaro, questi, ancorché siano poi esentati dall’imposta stessa dal successivo art. 10, n. l, quando possano considerarsi ‘operazioni di finanziamento, non devono scontare l’imposta proporzionale di registro“.

Era quindi in tal senso irrilevante, ad avviso dei giudici della Corte, l’indagine, sulla quale invece la commissione tributaria si era soffermata, della modalità di formazione del contratto di finanziamento.

Tanto premesso, a dire il vero, la Cassazione si è “dimenticata” però di rilevare che, se è vero che i prestiti di denaro sono compresi tra le prestazioni di servizi soggette ad Iva, è però anche vero che lo sono solo se effettuate dietro pagamento di un corrispettivo, come espressamente indicato dall’art. 3, c. 2 del Dpr 633/72 e anche dalla stessa Corte nella sentenza n. 20769/2013.

Quindi, se il finanziamento è infruttifero si esce dal campo di applicazione dell’Iva e si rientra in quello dell’imposta di registro proporzionale, con applicazione dell’aliquota al 3%, o dell’imposta fissa se il contratto è formato per corrispondenza.

Solo se il finanziamento è fruttifero si rientra invece nel campo di applicazione dell’Iva e dunque l’imposta di registro è dovuta in misura fissa.

Era dunque effettivamente fondamentale appurare se il contratto si era formato o meno per corrispondenza.

L’esclusione dell’obbligo di registrazione dipende strettamente dalla assoggettabilità dell’operazione ad Iva, talché l’operazione, ove tale soggezione dovesse venire meno, benché posta in essere da una società, tornerebbe soggetta all’imposta di registro.

Dell’effettivo assoggettamento ad Iva, con conseguente esclusione dell’imposta di registro, si deve per esempio dubitare proprio con riferimento ai finanziamenti infruttiferi (o almeno asseriti tali dalle stesse società), poiché, come visto, l’art. 3 citato ricomprende tra i servizi i prestiti in denaro, purché effettuati verso corrispettivo.

Se ne può quindi inferire che l’assenza contrattuale di corrispettivo escluda l’operazione dal campo di applicazione dell’Iva.

Una simile interpretazione è del resto condivisa da gran parte della giurisprudenza di legittimità.

Per tutte si cita la sent. n. 12906 del 1° giugno 2007 della Corte di cassazione, secondo cui “Le somme dovute a titolo di interessi moratori non concorrono a formare la base imponibile ai fini dell’IVA, con la conseguenza che esse sono assoggettate all’imposta di registro in misura proporzionale, anche quando riguardino una somma capitale soggetta ad IVA”.

Nel caso in cui, pertanto, le parti (mutuante e mutuatario) stabiliscono nel l’atto o scrittura privata che il mutuo è infruttifero di interessi si rende applicabile l’art. 9 della Tariffa, Parte prima, allegata al D.P.R. n. 131/1986 (Atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale) con conseguente assoggettamento della somma versata all’imposta proporzionale di registro del 3%.

13 aprile 2016

Giovambattista Palumbo