Causa di non punibilità e pagamento integrale del debito tributario: profili di legittimità costituzionale

è stato oggetto di questione di legittimità costituzionale la dizione normativa che prevede la non punibilità del reato in caso di estinzione del debito nel termine massimo di 6 mesi, senza tener conto delle diverse tempistiche di rientro dal debito fiscale accordate dalle diverse disposizioni di legge

Come noto, l’art. 11 del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158 – nel modificare l’art. 13 del d.lgs. 74/2000 – ha introdotto specifiche cause di non punibilità connesse all’integrale pagamento del debito tributario.

In particolare, la nuova disposizione, al primo comma, prevede che i reati di omesso versamento di ritenute da parte sostituto, del debito di Imposta sul valore aggiunto nonché di indebita compensazione di crediti non spettanti di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e art. 10-quater d.lgs. 74/2000 non sono punibili qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprensivi di sanzioni amministrative e interessi, vengano estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso, quest’ultimo istituto oggetto di una profonda riforma ad opera della Legge 23 dicembre 2014, n. 190.

La previgente formulazione del richiamato art. 13 prevedeva, invece, che il pagamento dei debiti tributari prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado costituiva soltanto una circostanza attenuante del reato.

Il secondo comma del novellato articolo, prevede inoltre la non punibilità per le condotte di dichiarazione infedele e omessa presentazione (di cui agli articoli 4 e 5) in caso di integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.

Tali previsioni vanno lette in combinato disposto con il terzo comma del medesimo articolo, in virtù del quale, quando (prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado) il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, il giudice concede un termine di tre mesi, prorogabile al massimo di ulteriori tre mesi, per consentire il pagamento del debito tributario residuo. Durante tale periodo di tre o sei mesi, la prescrizione è sospesa.

Con riguardo a tale ultima disposizione, l’arco temporale massimo che – in fase di pagamento dei tributi – può essere concesso dal giudice al contribuente è stato oggetto di questione di legittimità costituzionale da un tribunale di primo grado, per la supposta violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione, in quanto le attuali disposizioni non terrebbero conto delle diverse tempistiche di rientro dal debito accordate, ad esempio, in sede di transazione fiscale, disciplinata dall’art. 182-ter della legge fallimentare, come modificato ad opera, prima, del D.L. n. 78/2010, poi del D.L. n. 98/2011.

In particolare, nel caso di specie, innanzi ad un organo giurisdizionale di primo grado, un contribuente – imputato per omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis d.lgs. 74/2000) – ha chiesto di rinviare il processo, ai sensi del comma 3 dell’art. 13 del D.Lgs. n. 74/2000, ad una data successiva al periodo massimo previsto dalla norma (sei mesi). Quanto precede in ragione del fatto che lo stesso contribuente – in seno ad una procedura di concordato preventivo – aveva già raggiunto una transazione fiscale che prevedeva il pagamento integrale in linea capitale dell’intero debito tributario secondo una scansione in dodici rate trimestrali, la cui ultima era fissata in un momento di gran lunga posteriore al richiamato termine massimo di sei mesi.

In altre parole, da un punto di vista concreto, alla data di apertura dell’udienza del dibattimento, il debito tributario era “in fase di estinzione mediante rateizzazione“, ma la concessione del termine di tre/sei mesi non era sufficiente a permettere all’imputato di godere della causa di non punibilità, in quanto l’integrale pagamento degli importi sarebbe avvenuto – in base ai vincoli stabiliti nel piano di concordato preventivo – oltre i citati termini massimi.

Ciò posto, il Tribunale di primo grado ha ritenuto di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 del D.Lgs. n. 74/2000, ravvisando un possibile contrasto della suddetta norma con gli artt. 3 e 24 Cost. nella parte in cui non viene consentito, almeno in determinati casi, di concedere un termine più lungo, coincidente con lo scadere del piano di rateizzazione.

È chiaro che l’eventuale accoglimento dell’eccezione di incostituzionalità in esame porterebbe ad un ulteriore ampliamento dell’ambito di applicazione dell’esimente di che trattasi.

13 aprile 2016

Nicola Monfreda