Dal falso in bilancio ai reati tributari

di Giuseppe Bennici

Pubblicato il 11 marzo 2016

le operazioni fraudolente a fini fiscali, se contabilizzate, integrano il reato di falso in bilancio e giustificano il sequestro del maggior profitto ad esse equivalente sui beni dei soggetti coinvolti

Le operazioni fraudolente del D.Lgs n. 74 del 2000 integrano sempre il reato di falso in bilancio e giustificano il sequestro del maggior profitto ad esse equivalente.

È questa in ultima analisi, a margine della questione sul falso valutativo, la conferma che esce fuori dalla sentenza della cassazione n. 6916 del 22.02.2016.

In attesa che la Cassazione a sezioni unite1, in ultimo investita della questione, chiarisca in che misura le valutazioni di bilancio rilevano nella determinazione dei reati societari di cui agli articoli 2621 e segg., del codice civile, intervento richiesto in seguito ai diversi orientamenti pro e contro sorti sulle novità introdotte dalla Legge 27 maggio 2015, n. 69, ad oggi esistono dei punti fermi, qualche chiarificazione d’ordine logico sistematico e alcuni dubbi forse irrisolvibili.

Tra i punti fermi possiamo citare una serie di fatti oggettivanti in grado di sostanziare un reato societario2 e sono, senza pretesa di esaustività, le seguenti operazioni:

  • ricavi falsamente incrementati;

  • i costi non appostati;

  • le false attestazioni di esistenza di conti bancari;

  • l’annotazione di fatture emesse per operazioni inesistenti;

  • l’iscrizione di crediti non più esigibili per l’intervenuto fallimento dei debitori in mancanza di attivo;

  • la mancata svalutazione di una partecipazione in una controllata in stato di fallimento;

  • l’omessa indicazione della vendita o dell’acquisto di beni;

  • l’omessa indicazione dell’esistenza di un debito per il quale sia in atto un contenzioso nel quale la società è soccombente;

  • l’iscrizione all’attivo di crediti derivanti da contratti fittizi;

  • l’iscrizione all’attivo di crediti derivanti da fatture relative ad operazioni inesistenti;

  • l’iscrizione all’attivo di crediti derivanti da fatture da emettere in violazione dei criteri sulla competenza.

 

Molte voci della predetta elencazione rappresentano il “nocciolo” dei medesimi reati integranti la condotta penal tributaria.

Un arguta ricostruzione logico sistematica rinvenibile in un passo della sentenza n. 6916 del 22.02.2016, è che “la valutazione” quale elemento autonomamente oggettivante un reato societario, salvo smentite dalla SS.UU., appartiene a disposizione ante riforma; quindi non più esistente. Del ché, sempre secondo la cassazione, la semplice valutazione, ancorata ad elementi certi, conosciuti o conoscibili, e precisi, fa si che il dato numerico da essa ritratto non sia considerabile un fatto materialmente utilizzabile per configurare un reato societario.

Diversamente, ed è la conclusione a cui arriva la cassazione, un dato numerico, ancorché frutto di valutazione, ma il cui presupposto di determinazione sia ancorato a dati, fatti e/o elementi idonei a determinare un dato numerico diverso da quello esposto con un “fatto materiale” veicolato per il tramite di bilanci, relazioni e comunicazioni sociali, attraverso cui si concretizza la falsa comunicazione sociale, è idoneo a suffragare un reato societario.

Conclude la cassazione che

“la tesi della superfluità dell’accenno normativo alle valutazioni non è pertanto più sostenibile”; tale tesi di superfluità sarebbe stata sostenibile “… se la norma avesse indicato i fatti materiali come ‘risultato delle valutazioni’”.

Ed ancora,

“Nel momento in cui, invece, il dato letterale collocava i fatti materiali 'a monte'delle valutazioni, designandoli quali oggetto delle stesse, l’espressa previsione di rilevanza penale di queste ultime era viceversa determinante nell’estendere la portata della norma incriminatrice alle registrazioni contabili non direttamente afferenti a fatti materiali, ma riconducibili agli stessi per il tramite delle valutazioni che le giustificano.

 

L’assunto a cui giunge la Cassazione con questa considerazione, ripreso dalla sentenza n. 33774/2015, spinge il redattore del bilancio alla individuazione degli elementi oggettivanti, in ordine al falso valutativo, (associazione di un dato numerico ad una realtà economica esistente), ponendo lo stesso nella condizione di distinguere le situazioni nelle quali l’associazione di un valore numerico ad una determinata realtà può essere considerata come il risultato di una valutazione (che non costituisce reato societario), da quelle in cui attraverso un’operazione di questo genere si fornisce di fatto una rappresentazione difforme dal vero della stessa realtà materiale (che costituisce reato societario).

Il pregio della pronuncia della Cassazione n. 6916 del 22.02.2016, che per ovvie ragioni non può essere esaustiva, è quello del tentativo di individuare una demarcazione tra il reato ed il non reato:

“Determinante può essere in tal senso il riferimento all’oggettività giuridica del reato, ed alla preminenza assunta, nell’ambito dello stesso, dall’affidamento dei terzi sulla corretta informazione in ordine alle condizioni economiche della società.

Qualora cioè il valore numerico sia esposto con modalità che ne escludano la percepibilità come esito di una valutazione, e siano pertanto idonee ad indurre in errore i terzi sulla stessa consistenza fisica del dato materiale, potrà ritenersi che il falso cada in realtà su quest’ultimo, venendo pertanto ad essere integrata, anche nella nuova formulazione, la fattispecie incriminatrice.”

 

È chiaro, tuttavia, che il superiore “suggerimento”, tenuto conto che la maggior parte delle poste di bilancio sono il frutto di valutazioni, lascia più dubbi che altro.

Per esempio, la valutazione della posta di bilancio quale è l'avviamento (dato determinato e determinabile in sede di prima iscrizione in bilancio), a determinate condizioni nel corso della vita può essere oggetto di svalutazione (svalutazione definitiva); la svalutazione della posta in questione, può poggiare su elementi e dati che ancorché prospettici permettono se correttamente attualizzati, di individuare la capacita dell'avvenimento di concorrere ai futuri esercizi o meno. Bene, l'analisi distorta dei dati utilizzati per defalcare il valore dell'avvenimento e di conseguenza usufruire di una svalutazione maggiore di quella effettiva riportata in bilancio, integra il reato di falso materiale.

Altro esempio lo si può ritrarre dalle valutazioni delle partecipazioni societarie ma in generale su tutte le voci di bilancio i cui riflessi incidono sulla reale determinazione del patrimonio societario.

Questione collegata al reato societario è la possibilità, quando configurato, di aggredire per il tramite della confisca il profitto a esso collegato.

Riprendendo l'esempio della svalutazione dell'avviamento, se ne deve dedurre che il profitto è pari alla differenza tra il dato correttamente determinabile ed il dato distorto. 

Ciò è avvalorato, sempre secondo la Cassazione che: “… la non corretta iscrizione in bilancio … ha comportato la chiusura degli esercizi in contestazione in utile anziché in perdita” la cui diretta conseguenza è una immediata disponibilità finanziaria talché detta maggiore risorsa finanziaria risulta essere “in rapporto di causalità diretta con la commissione del reato”.

L'analisi degli elementi oggettivamente ed autonomamente in grado di falsare un bilancio e la conseguente confiscabilità del profitto, richiama il D.Lgs. n. 74/20003 dove la questione valutativa, in attesa della pronuncia della cassazione a sezioni unite, potrebbe portare a rivedere il nuovo art. 4 relativo all’infedele dichiarazione.

In vero, stando alla elencazione sopra riportata dei fatti materiali oggettivamente in grado di ledere l’altrui affidamento tutelato dagli artt. 2621 e ss. del c.c., non vi è dubbio che il comma 1-bis del predetto art. 4

“… non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali”

va commisurato in ordine ad un duplice effetto derivante dal combinato disposto delle prescizioni penal tribuatrie e civilistiche.

In buona sostanza, se l’obiettivo del legislatore fiscale, in ultimo perseguito co D.Lgs. n. 158 del 2015, in attuazione delle legge delega 23/2014, è quello di escludere una configurazione penale a fatti, ancorché arrecanti un danno alla collettività (minore versamento di imposte quale conseguenza di una valutazione errata per la sovrastima di un componente negativo di reddito), in quanto “comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali” ciò che esce dalla porta dei reati penali tributari rientra dalla finestra dei reati societari; ciò sia perché l’erario è un soggetto terzo stakeholder interessato alle politiche di bilancio4 sia perché potrà richiedere, per il pagamento delle maggiori imposte scaturenti da una errata valutazione di poste di bilancio, l’attivazione della confisca non azionabile sul presupposto del nuovo art. 12bis del D. Lgs. n. 74/2000, ma sull’assunto dei nuovi reati societari.

 

11 marzo 2016

Giuseppe Bennici

articolo redatto a titolo personale

 

NOTE

1 La pronuncia è attesa il 31 marzo 2016, appena 30 giorni prima la scadenza ordinaria per il deposito dei bilanci.

2 Cfr. Cassazione n. 33774/2015.

3 In ultimo modificato dal D. Lgs. n. 158 del 2015.

4 Cfr. art. 83 del D.P.R. n. 917/1986.