L'accertamento da documentazione extracontabile: brogliaccio o documenti informatici con il "nero"

fino a che punto il Fisco può utilizzare la documentazione extracontabile (brogliaccio scritto o file digitale) rinvenuta in sede di verifica?

finanza_immagine4La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16706 del 12.08.2015, ha deciso un caso in cui da una verifica della GdF era emersa l’esistenza di numerose operazioni riportate su un documento extracontabile (un brogliaccio), alcune delle quali coincidenti con le registrazioni nella contabilità ufficiale (e con pagamenti in parte confluiti su un conto corrente intestato alla stessa società), tutte nei confronti di clienti abituali della società sottoposta a verifica.

Nei confronti di uno di questi clienti conseguiva dunque una verifica della GdF, da cui emergeva l’omessa fatturazione di operazioni imponibili.

La CTR, nel respingere l’appello della società, osservava che l’accertamento non si basava su una doppia presunzione, ma muoveva dal fatto noto delle analitiche annotazioni del brogliaccio extracontabile, munite di riscontri esterni, sicchè poteva dirsi correttamente raggiunta la prova presuntiva delle omesse fatturazioni.

I giudici di legittimità, dopo aver rilevato che i giudici di secondo grado non si erano sostituiti alla amministrazione finanziaria nella somministrazione della prova, avendo acquisito copia del p.v.c. e del brogliaccio allegato, dato che, ai sensi del comma 1 dell’articolo 7 del decreto legislativo 546 del 1992,

“Le commissioni tributarie, ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, esercitano tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributari ed all’ente locale da ciascuna legge d’imposta”(cfr Cass., ord. n. 13549 del 2015, con richiamo a Cass., sent. n. 9843 del 2014, n. 28855 del 2008 e n. 23132 del 2004),

affermano quindi che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 dispone, tra l’altro, che l’infedeltà della dichiarazione, qualora non emerga direttamente dal contenuto di essa o dal confronto con gli elementi di calcolo delle liquidazioni e con le precedenti dichiarazioni annuali, può essere accertata mediante il confronto tra gli elementi indicati nella dichiarazione e quelli annotati nei registri e mediante il controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni, sulla scorta delle fatture ed altri documenti, delle risultanze di altre scritture contabili e degli altri dati e notizie raccolti nei modi previsti negli artt. 51 e 51- bis, con la precisazione che le omissioni e le false o inesatte indicazioni possono essere indirettamente desunte da tali risultanze, dati e notizie anche sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordanti.

L’ufficio, del resto, sottolinea ancora la Suprema Corte, può procedere alla rettifica, indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità del contribuente, qualora l’esistenza di operazioni imponibili per ammontare superiore a quello indicato nella dichiarazione, o l’inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione, risulti in modo certo e diretto, e non in via presuntiva, da verbali, questionari e fatture, dagli elenchi allegati alle dichiarazioni di altri contribuenti o da verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti, nonchè da altri atti e documenti in suo possesso.

La rettifica può essere inoltre effettuata anche in presenza di una contabilità formalmente regolare, sulla base di altri documenti o scritture contabili (diverse da quelle previste dalla legge), o in riferimento ad “altri dati e notizie” raccolti nei modi prescritti dalla legge, potendo le conseguenti omissioni o false o inesatte indicazioni essere indirettamente desunte da tali risultanze, fatta salva l’ulteriore possibilità di desumerle da presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, con l’effetto di spostare sul contribuente l’onere della prova contraria sulla esistenza, verità ed inerenza delle operazioni contestate (cfr. ex multis Cass. nn. 4554 e 14233 del 2015; nn. 25330, 23550, 23551, 16068 e 14068 del 2014).

La Corte ribadisce pertanto la piena legittimità delle rettifiche fondate su ispezioni e acquisizioni eseguite nei confronti di altri contribuenti (per tutte, v. Cass. nn. 70993 e 22195 del 2008), potendo l’Amministrazione Finanziaria rettificare le dichiarazioni del contribuente senza necessità di preventiva ispezione della contabilità e traendo le fonti di convincimento per le contestazioni anche nei questionari inviati ai soggetti con i quali si ritiene che il contribuente abbia intrattenuto rapporti economici.

In sostanza, qualunque documento o dichiarazione può costituire la base per una presunzione idonea a produrre conclusioni probatorie circa i fatti di causa, con ingresso nel processo tributario delle prove atipiche sotto forma di presunzioni semplici (cfr Cass. n. 14233 del 2015).

Nel caso di specie la conclusione del giudice di secondo grado era dunque corretta, non essendoci alcuna doppia presunzione ed esistendo il fatto noto (il brogliaccio) da cui traeva origine l’unica presunzione ricavata dall’organo accertatore, la quale rivestiva i requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 cod. civ., emergendo, in particolare, la gravità dalle annotazioni rinvenute nel libro extracontabile, laddove le stesse si palesavano chiare ed inequivocabilmente e consistenti; la precisione, non essendoci dubbio che le stesse contenevano i requisiti richiesti dalla norma, essendo esposte singolarmente operazione per operazione in ordine cronologico e suddivise fra entrate ed uscite; la concordanza, ravvisabile nei contenuti del libro extracontabile, poiché parte delle operazioni ivi indicate erano anche transitate sul conto corrente intestato alla società.

In conclusione, le massime enucleabili dalla consolidata giurisprudenza della Corte suprema enunciano il principio in base al quale l’Amministrazione può porre a fondamento della propria attività conoscitiva ogni dato comunque in suo possesso.

Ciò che rileva, afferma la Cassazione, è solo l’attendibilità delle fonti di prova acquisite, anche considerato che non esiste nel procedimento tributario (a differenza che nel procedimento penale) un principio generale di inutilizzabilità delle prove e

“pertanto gli organi di controllo possono utilizzare tutti i documenti dei quali siano venuti in possesso salvo la verifica della attendibilità” (Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 1543/2003).

Quanto invece al valore probatorio, è evidente che quando gli elementi raccolti, tra di loro convergenti, confermano in modo chiaro gli altri dati già emersi nel corso della verifica, allora essi assurgono al valore di vera e propria prova.

La Cassazione ha inoltre anche affermato che è legittimo l’accertamento effettuato sulla base dell’elenco clienti e del giro d’affari degli stessi, posto che l’Amministrazione finanziaria può procedere, anche in via indiziaria, all’accertamento di maggiori ricavi in materia di reddito d’impresa o di lavoro autonomo, anche in presenza di una contabilità formalmente regolare.

In sostanza, i giudici di legittimità (uniformandosi, per esempio, all’indirizzo già espresso nelle sentenze 2217/2006 e 19329/2006), hanno ribadito che è legittima la ricostruzione extracontabile e induttiva del reddito basata su dati e notizie comunque raccolti dall’ufficio.

Se poi il contribuente non sarà in grado di fornire un’idonea prova contraria, non potrà certo esimersi dal subire le conseguenze negative di tale mancanza.

Il problema si può porre semmai per la documentazione extracontabile non “tradizionale”, quale, per esempio, i documenti digitali informatici (trovati magari all’interno del pc).

La documentazione extracontabile digitale, benché, sia ontologicamente e giuridicamente equiparabile alla documentazione extracontabile analogica, appare infatti caratterizzata da profili di peculiare problematicità.

In particolare, appaiono delinearsi due distinte sottotematiche, strettamente interconnesse:

  • da un lato, il tema dell’acquisizione “irrituale” di tale documentazione;
  • dall’altro lato, appare evidente che l’acquisizione di documentazione extracontabile digitale richiede modalità procedurali di carattere tecnico, nonché conseguenti conoscenze di settore.

Procedere all’estrazione di file da supporti informatici è un’operazione non certo equiparabile, per complessità e natura, all’acquisizione (ossia alla manuale “apprensione”) di un documento analogico (quale appunto un brogliaccio) da parte dei funzionari del Fisco.

Dalla documentazione acquisita nel corso di una verifica fiscale ben possono emergere del resto anche risultanze penalmente rilevanti.

Pertanto, andrebbe garantita sin dall’esercizio dei poteri di polizia tributaria, la messa in atto di quegli accorgimenti tecnici atti a garantire, anche in sede penale, la piena utilizzabilità delle evidenze digitali raccolte.

Appare, dunque, necessario garantire, anche in via normativa, la correttezza del processo di acquisizione, anche in sede di verifica fiscale, specificando gli accorgimenti tecnici da adottare per riversare, ove necessario, i dati presenti nell’hard-disk dell’elaboratore su supporti appositamente predisposti.

Solo con specifiche procedure e garanzie la documentazione extracontabile digitale avrà infatti un indubbio valore probatorio e ben potrà essere utilizzata in ambito accertativo, sia tributario che penale.

 

10 febbraio 2016

Giovambattista Palumbo