I pericolosi effetti dell'adesione non perfezionata: accertamento definito e/o perfezionato

una volta definito l’accertamento con adesione, mediante la fissazione anche del quantum debeatur, al contribuente non resta che eseguire l’accordo, versando quanto da esso risulta; attenzione, nel caso in cui il contribuente non versi la cifra concordata ritorna in vigore la pretesa originaria dell’avviso di accertamento!

giustizia2_immagineLa Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 14553 del 13.07.2015, ha chiarito che quando, come nel caso concreto, l’istanza di adesione abbia avuto buon esito, nel senso che il concordato si sia concluso, l’accertamento così definito diventa intoccabile, tanto da parte del contribuente, che non può più impugnarlo, quanto da parte dell’ufficio, che non può integrarlo o modificarlo, come prescrive l’art. 2, c. 3, del d.lgs. 1997 n.218 (salve le eccezioni, non ricorrenti nel caso di specie, stabilite dal successivo comma 4).

Altra cosa è invece, come ricorda la Corte, il “perfezionamento della definizione” concordata (art. 9), che si ottiene mediante il versamento all’erario di quanto concordemente stabilito (o mediante il versamento della prima rata). Solo dopo il “perfezionamento“, ossia dopo il pagamento del debito tributario scaturente dall’accordo, l’atto impositivo perde infatti efficacia (art. 6, comma 4, ult. per.).

I giudici di legittimità così confermano che, una volta definito l’accertamento con adesione, mediante la fissazione anche del quantum debeatur, al contribuente non resta che eseguire l’accordo, versando quanto da esso risulta; essendo normativamente esclusa la possibilità d’impugnare simile accordo e, a maggior ragione, quella d’impugnare l’atto impositivo oggetto della transazione, il quale conserva efficacia, ma solo a garanzia del fisco, finché non sia stata “perfezionata” la procedura, ossia non sia stata interamente eseguita l’obbligazione scaturente dal concordato (così anche Cass. n. 10086/2009 e, sostanzialmente, nello stesso senso, Cass. nn. 18962/2005 e 11982/2011).

L’accertamento con adesione diviene dunque efficace e comporta il superamento definitivo dell’originario atto impositivo solo con il pagamento (tempestivo) dei relativi importi, per scoraggiare manovre diversive tese a ridurre il debito in adesione, salvo poi omettere il pagamento e poter essere escusso solo per il definito, non per l’accertato.

E comunque interessante l’affermazione, secondo cui l’atto impositivo “conserva efficacia, ma solo a garanzia del Fisco, finché non sia stata perfezionata la procedura, ossia non sia stata interamente eseguita l’obbligazione scaturente dal concordato”.

Le sentenze della Corte suprema, nel definire la natura dell’accertamento con adesione e della conciliazione, ne richiamano quindi la natura negoziale.

Con la sentenza n. 12314/2001, per esempio, i giudici di legittimità hanno espressamente riconosciuto nella conciliazione giudiziale una “forma di composizione convenzionale della lite tributaria nella sede del processo” operante “in deroga al principio più generale della normale indisponibilità per l’erario del credito d’imposta“.

Anche successivi interventi giurisprudenziali hanno confermato tale impostazione.

Con la sentenza n. 21325/2006, per esempio, la Cassazione, ha affermato che “la conciliazione giudiziale di cui all’art. 48 attiene all’esercizio di poteri dispositivi delle parti“, essendo “concepita come una forma di composizione convenzionale della lite nella sede del processo” e “pur nella sua indubbia specificità, costituisce un istituto deflativo di tipo negoziale“.

Capita però, come visto, che, a seguito di avviso di accertamento notificato dall’Ufficio, successivo contraddittorio per adesione, e conclusione del procedimento con la sottoscrizione dell’atto, in pendenza dei 20 giorni per l’effettuazione del pagamento, il contribuente non ottemperi a tale “patto convenzionale” e magari presenti all’Ufficio anche ricorso avverso l’originario avviso.

Tale possibilità viene però ora definitivamente esclusa dalla Suprema Corte, dato che, una volta definito (seppur non perfezionato) l’accertamento con adesione, al contribuente non resta che eseguire l’accordo, almeno per quanto concordato, essendo esclusa la possibilità d’impugnare simile accordo e, a maggior ragione, quella d’impugnare integralmente l’atto impositivo oggetto della transazione.

La sentenza in esame evidenzia dunque la distinzione (almeno nei suoi effetti) tra accertamento “definito (accordo sottoscritto, ma assenza di versamento) e accertamento “perfezionato (accordo sottoscritto e versamento entro il termine di legge).

Nella motivazione della sopra citata sentenza viene infatti evidenziato che quando l’istanza abbia avuto buon esito, nel senso che il concordato si sia concluso, l’accertamento definito con adesione, seppur non perfezionatosi con il tempestivo versamento, diventa intoccabile per il quantum concordato, in quanto avente valore sostanziale di obbligazione civilistica frutto dell’incontro della volontà negoziale delle parti.

Altra cosa, secondo la Corte, è e resta però “il “perfezionamento della definizione” concordata (art. 9), che si ottiene (soltanto) mediante il versamento all’Erario di quanto concordemente stabilito (o mediante il versamento della prima rata, con prestazione di garanzia per quelle successive). Solo dopo il “perfezionamento”, ossia dopo il pagamento tempestivo del debito tributario scaturente dall’accordo, l’atto impositivo perde del tutto efficacia, essendo ex lege sostituito dallo stesso accordo.

Questa espressa specificazione in merito al fatto che solo l’adesione perfezionata fa perdere di efficacia all’atto impositivo rappresenta la chiave di volta per interpretare correttamente la decisione dei giudici di legittimità.

Se infatti il perfezionamento non avviene, l’atto impositivo, almeno dal punto di vista di colui a garanzia del quale la sua efficacia rappresenta la garanzia e cioè l’Erario, rimane comunque valido.

Le conseguenze di tali considerazioni comportano che, a seguito della “definizione” dell’accordo (non ancora perfezionato), come detto, si dividono le posizioni e i ruoli delle due parti, quella privata e quella pubblica.

Tale distinzione di ruoli ed effetti viene peraltro evidenziata anche dalla stessa Corte nella sentenza n. 18962/2005, dove, riferendosi esclusivamente alla posizione del contribuente, ricorda che il reddito definito con adesione non può successivamente essere mai messo in discussione dal contribuente e nega quindi il potere d’impugnazione dell’atto a chi abbia inequivocabilmente concordato, in via di adesione, la misura del tributo da pagare (almeno appunto nei limiti di quella misura). La Corte conclude dunque affermando che il contribuente, a seguito della sottoscrizione dell’accordo transattivo, non può poi avere “ripensamenti”.

La disciplina in materia di adesione infatti, sancisce espressamente l’immodificabilità dell’accordo (art. 3 c. 4 cit.), mentre il successivo inadempimento (perfezionamento), nei termini e con le modalità stabilite dall’art. 8, giustificherebbe l’adozione dei normali mezzi di coercizione, naturalmente solo per l’importo definito (e riconosciuto) e non per l’accertato; e non con sanzioni ridotte a 1/4, dato che tale iscrizione a ruolo non avviene nell’ambito e nei limiti del procedimento di adesione (non perfezionatosi), ma nell’ambito, limiti ed effetti della promessa di pagamento e riconoscimento di debito ex articolo 1988 e 2720 del codice civile (in base a questo ultimo articolo e alla relativa giurisprudenza, del resto, l’atto di ricognizione, quale in sostanza l’atto di adesione sottoscritto, ha natura “confessoria” – vedi Cass. 9687/2003).

In conclusione:

– l’articolo 3, comma 4 citato, richiamato dalla Cassazione, dice che “L’accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione” (conseguenza a carico del contribuente);

– e che “non è integrabile o modificabile da parte dell’ufficio” (conseguenza a carico dell’Ufficio).

Ma questo, coerentemente con il ragionamento sopra descritto, ai soli fini delle somme oggetto di definizione, iscrivibili infatti a ruolo in modo coercitivo e definitivo in caso di mancato pagamento e quindi mancato perfezionamento (e pertanto le sanzioni dovranno essere iscritte per l’intero, dato che, appunto, di adesione non si può parlare, ma di vincolo “negoziale” su una posta debitoria rispetto alla quale, anche se solo in parte, il contribuente ha esercitato i propri poteri dispositivi di riconoscimento del debito).

Corrispondentemente, secondo chi scrive, anche solo come “bilanciamento” del potere dell’Ufficio di poter iscrivere a ruolo per l’intero la somma già oggetto di adesione non perfezionata, il contribuente dovrebbe poter quindi impugnare la parte rimanente dell’accertamento non perfezionata (solo definita) e il cui debito non ha riconosciuto.

Del resto, anche secondo la Cassazione, l’atto impositivo conserva comunque efficacia fino al perfezionamento della procedura e fino a quel momento (che in realtà, trascorsi i 20 giorni, non si potrà più avverare) l’atto impositivo, almeno per la parte non “definita” (rispetto alla quale ogni ipotesi di ricorso dovrà essere dichiarata inammissibile), conserva efficacia e dunque il contribuente potrà impugnarla e l’Ufficio potrà resistervi.

Se infatti il contribuente non la impugnasse anche tale restante parte diverrebbe definitiva (per decorso dei termini).

Sostenere dunque la inammissibilità del ricorso tout court violerebbe l’art. 24 della Costituzione in tema di diritto alla difesa.

Così come, dal lato dell’Ufficio, sostenere che non possa richiedere l’adempimento anche per la parte oltre la somma concordata ma non perfezionata, violerebbe l’art. 23 della Costituzione, in tema di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, consentita solo in caso di tempestivo versamento e dunque di perfezionamento dell’adesione, nei casi di specie però non verificatasi.

Quindi, proprio sulla base della distinzione fatta dalla Cassazione tra accertamento definito e perfezionato, si conferma che, rimanendo solo nel primo caso l’efficacia dell’atto impositivo e non potendo però il contribuente mettere in questo caso in discussione la parte di tale accertamento su cui ha prestato adesione (vedi riconoscimento di debito), solo per la parte residua dovrebbe poter eventualmente continuare il contenzioso.

Il solo modo per l’ufficio per abbandonare legittimamente la pretesa rimanente dopo l’adesione definita, ma non perfezionata, sarebbe dunque, al limite, quella di annullarla in autotutela (come implicitamente suggerito anche dalla Circolare n. 65/E del 28 giugno 2001, laddove parla, in caso di accordo sottoscritto ma non perfezionato, di notifica di un nuovo accertamento che rispecchi l’accordo già sottoscritto, ma non perfezionato).

Cosa peraltro che sarebbe coerente con il citato principio di indisponibilità.

Una volta non perfezionatasi l’adesione, in conclusione, l’Ufficio, dopo aver iscritto a ruolo, a titolo definitivo e con sanzioni per intero, la pretesa già riconosciuta dal contribuente, laddove il contribuente proponga ricorso, dopo aver chiesto la inammissibilità dello stesso ricorso per la parte rispetto alla quale il contribuente/ricorrente ha già sottoscritto l’adesione e quindi riconosciuto il proprio debito, dovrà necessariamente difendere la propria, rimasta, pretesa (rimasta tale non per causa sua, ma per l’espletamento del riconoscimento di debito da parte del contribuente), salvo, in linea con quanto dal medesimo Ufficio sottoscritto in adesione, non ritenere corretto annullare il resto della pretesa in autotutela, annullando così (per la parte restante) l’atto impositivo, che, a seguito del mancato perfezionamento, come detto anche dalla Cassazione, seppur con fini di garanzia, ha nel frattempo comunque ripreso efficacia.

29 febbraio 2016

Giovambattista Palumbo