La tassazione dei fringe benefit per gli sportivi professionisti

il recente scandalo che ha colpito il mondo del calcio nasce da una problematica fiscale molto particolare: la gestione dei fringe benefit (nel caso dell’inchiesta la partecipazione delle società sportive ai costi degli agenti che rappresentano i calciatori); in questo articolo analizziamo le diverse casistiche fiscali del pagamento della provvigione dell’agente dello sportivo professionista

pallone_sgonfio_fangoLa recente maxi operazione della Guardia di Finanza sulle attività di serie A e B ha fatto emergere un problema di cui in realtà si sente ormai parlare da parecchio tempo.

La questione attiene, in estrema sintesi, al fatto che, da quanto risulta dalle indagini, si sarebbe consentito ai calciatori di evadere tasse e contributi su fringe benefits, costituiti dalle commissioni del procuratore pagate dalle società, che così potevano dedursi costi considerati per operazioni soggettivamente inesistenti.

I rilievi, a quanto emerge dalle notizie di stampa, atterrebbero in sostanza al fatto che le somme pagate ai procuratori fossero in realtà un fringe benefit a favore dei calciatori (e quindi dovessero andare nella busta paga dell’atleta con l’aliquota Irpef massima da applicare) e che la società non potesse quindi dedurre il costo sostenuto, relativo in realtà al rapporto contrattuale fra calciatore e procuratore.

Il problema operativo nasce del resto dal fatto che in Italia non è prevista, a differenza di quanto accade in altre Leghe, la doppia rappresentanza.

I procuratori possono quindi prestare la loro attività a favore del club oppure del calciatore (compilando specifici e differenti moduli federali, “rosso” e “blu“). Tuttavia, l’attività degli agenti è in realtà diretta a convincere entrambe le parti della trattativa, con la prassi che le società si accollano poi tutte le spese dell’intermediazione.

Con la Legge di Stabilità 2014, peraltro, per porre rimedio a tale problematica, era stato stabilito un prelievo “automatico”, sancendo che il 15% dei compensi versati dai club agli agenti dei calciatori rappresentasse comunque una parte dello stipendio di questi ultimi e consentendo quindi alle società di continuare a dedurre l’85%.

Il testo di cui all’art. 51, c. 4 bis del Tuir disponeva quindi che: “Ai fini della determinazione dei valori di cui al comma 1, per gli atleti professionisti si considera altresì il costo dell’attività di assistenza sostenuto dalle società sportive professionistiche nell’ambito delle trattative aventi ad oggetto le prestazioni sportive degli atleti professionisti medesimi, nella misura del 15 per cento, al netto delle somme versate dall’atleta professionista ai propri agenti per l’attività di assistenza nelle medesime trattative”.

Tale comma è stato però ora abrogato dall’art. 1, comma 8, L. 28 dicembre 2015, n. 208, a decorrere dal 1° gennaio 2016.

Sulla questione è rilevante il rapporto tra Ordinamento sportivo ed Ordinamento generale su cui è chiaro del resto l’indirizzo della Corte Suprema, la quale, con la sentenza n. 3545 del 23 febbraio 2004, ha espressamente stabilito chela valutazione se l’occultamento alla federazione sportiva d’appartenenza dell’accordo integrativo sottostante determini effettivamente l’inefficacia tra le parti dell’accordo stesso deve compiersi, non già con riferimento a norme imperative statali, ma avendo riguardo alle norme regolamentari interne ad un’istituzione dotata di proprio specifico ordinamento, qual è la FIGC. E ciò in conformità al principio secondo cui le violazioni di norme dell’ordinamento sportivo non possono non riflettersi sulla validità di un contratto concluso tra soggetti subordinati alle regole del detto ordinamento, anche per l’ordinamento dello Stato”.

E ciò, inoltre, in conformità al principio, come ricorda ancora la Corte nella sentenza citata, “secondo cui le violazioni di norme dell’ordinamento sportivo non possono non riflettersi sulla validità di un contratto concluso tra soggetti assoggettati alle regole del detto ordinamento” (come sicuramente le società e i calciatori rappresentati dagli agenti nella cui sfera giuridica gli effetti delle azioni dei procuratori sono destinati a riverberarsi) “anche per l’ordinamento dello Stato, poiché se esse non ne determinano direttamente la nullità per violazione di norme imperative (art. 1418 del codice civile), incidono necessariamente sulla funzionalità del contratto medesimo, vale a dire sulla sua idoneità a realizzare un interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico (art. 1322, comma 2, del codice civile); non può infatti ritenersi idoneo, sotto il profilo della meritevolezza della tutela dell’interesse perseguito dai contraenti, un contratto posto in essere in frode alle regole dell’ordinamento sportivo, e senza l’osservanza delle prescrizioni formali all’uopo richieste, e, come tale, inidoneo ad attuare la sua funzione proprio in quell’ordinamento sportivo nel quale detta funzione deve esplicarsi (sent. n. 4845/1981)”.

Il problema quindi attiene anche ai rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento generale dello Stato nella disciplina dell’attività negoziale dei privati.

I rapporti tra l’ordinamento sportivo e quello generale sono stati con chiarezza definiti dalla Corte di Cassazione nel modo seguente: “a) per la coincidenza tra la funzione amministrativa dell’ordinamento sportivo e la funzione amministrativa dell’ordinamento giuridico statale nel settore sportivo, quest’ultimo non si limita a riconoscere l’ordinamento giuridico sportivo, ma gli attribuisce anche la sua funzione amministrativa nella materia sportiva; b) l’ordinamento giuridico sportivo, quale ente pubblico distinto dallo Stato, è utilizzato dall’ordinamento giuridico statale per l’esercizio in via indiretta della funzione amministrativa nel settore sportivo sì che l’efficacia degli atti amministrativi e della normativa regolamentare si estende nell’ambito dell’ordinamento giuridico statale …” (Sentenza 11 febbraio 1978, n. 625, in “Giust. civ.”, 1978, I, pag. 817).

Con la sentenza del 28 luglio 1981, n. 4845, la Suprema Corte, muovendo dai principi espressi nella motivazione precedentemente citata, ha poi affermato la necessità di spostare l’indagine al di fuori dell’art. 5, L. n. 426/1942, anche considerato che in un ordinamento interno particolare quale quello sportivo “il potere di dettare regole per la futura conclusione di contratti nel proprio ambito è assimilabile al concetto dell’atto normativo. Il relativo potere trae, invero, il suo fondamento giuridico non già in una delegazione di poteri (normativi) da parte dello Stato, ma nella stessa potestà – originaria e indipendente dall’autorità dello Stato – di ogni nucleo sociale di darsi una serie più o meno complessa di regole che servano a determinare il contenuto degli eventuali futuri contratti …“.

Ai fini di un efficace controllo su tali tipi di fattispecie occorre pertanto sempre acquisire le relative pattuizioni contrattuali.

Particolarmente rilevante è dunque, a tal proposito, il riscontro dell’esistenza del cosiddetto modulo blu federale, con il quale il calciatore affida l’incarico al procuratore di stipulare un contratto di prestazione sportiva con una società di calcio.

Viceversa il reperimento dello speculare “modulo rosso”, con cui è la società di calcio che affida al procuratore l’incarico di assisterla per il tesseramento di un calciatore, potrebbe essere un primo indizio che conferma l’inerenza del costo all’attività della società.

Senza però la compilazione dell’apposito modulo (rosso nel caso di specie) il costo corrisposto al procuratore per la prestazione non può essere considerato della società e dunque la società non lo può dedurre ai fini fiscali.

Dopo aver appurato l’effettiva stipula del contratto di mandato con le modalità previste dal Regolamento, al fine di confermare il quadro probatorio in ordine alla effettiva deducibilità del costo sostenuto dalla società, si potrà comunque eventualmente anche passare a raccogliere altri elementi, idonei magari ad attestare, al di là dell’aspetto formale, che il pagamento della società sia avvenuto in luogo di quello dovuto dal calciatore (nel qual caso si porrà la questione in ordine alla natura e alla relativa tassazione degli stessi pagamenti come fringe benefits a favore dei calciatori).

Neppure dunque la riscontrata inerenza sulla base delle regole dell’Ordinamento sportivo, laddove dimostrata mediante la produzione della stipula di contratto sul modulo rosso federale, sarebbe sufficiente alla deducibilità del costo, dovendo essere poi comunque anche dimostrato l’effettivo pagamento da parte della società di quello che, per sua natura, non è un costo di sua pertinenza (ma, semmai, di pertinenza del calciatore).

E’ del resto chiaramente da escludere che il legislatore abbia voluto condizionare all’osservanza delle modalità fissate dalle norme federali solo la cessione dei contratti, lasciando poi libere le parti di concludere, magari mediante intermediari professionali, quali appunto i procuratori e gli agenti, accordi, non formalizzati, finalizzati al raggiungimento dello stesso risultato.

E’ quindi ormai confermata, sia in sede normativa che giurisprudenziale, l’esistenza di una circolarità e corrispondenza tra legge statale e norme federali.

Queste ultime, in particolare, assumono il ruolo di vere e proprie condizioni di ammissibilità ai fini della piena valorizzazione degli accordi (e dei loro effetti) nell’ordinamento giuridico statale.

Ogni schema negoziale adottato dalle parti non adeguandosi alle prescrizioni federali, pur non essendo astrattamente illecito, risulta pertanto inidoneo ad assolvere qualsiasi funzione concreta nel nostro Ordinamento giuridico, compresa la deducibilità fiscale del relativo costo.

Il principio, del resto, come detto, è stato già affermato più volte dalla Cassazione, la quale ha infatti rilevato, ai sensi dell’art. 1322, comma 2, del codice civile, la mancanza di causa e la non meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti.

In una sentenza del TAR Lazio (la n. 33427/2010), nella parte conferente con la vicenda in esame, si afferma poi che “non condivisibile è invece la censura dedotta nei confronti dell’art. 20 del regolamento, avente ad oggetto “divieti e conflitti di interessi”, di cui si chiede l’annullamento nella parte in cui (comma 5) vieta “qualsiasi forma di accordo o di collaborazione fra agente e/o società di agenti”, perché ritenuta lesiva della libertà d’iniziativa economica garantita dall’art. 41 Cost, che non consentirebbe di vietare o sanzionare ex ante e a priori le intese fra operatori economici. Si tratta di tesi che, ad avviso del Collegio, impropriamente attribuisce alla norma costituzionale il divieto di introduzione di norme intese a prevenire, in presenza di determinati presupposti specificamente indicati, l’insorgere di potenziali situazioni di conflitto di interessi in capo ad agenti portatori di mandato ad essi rilasciato dai rispettivi clienti, ciascuno mirante ad ottenere dallo stipulando contratto il maggior vantaggio economico possibile … Il che non solo è assolutamente legittimo e ragionevole, ma è implicito nel mandato rilasciato all’agente dal cliente, il quale ha diritto ad un sistema normativo che gli garantisca che l’agente si preoccuperà solo di curare i suoi interessi, senza che la strategia da seguire nei singoli casi per la migliore conclusione dell’affare affidatogli sia esposta ai condizionamenti potenzialmente derivanti dai rapporti stabili di collaborazione con altri agenti o società di agenti o addirittura da preventive intese di reciproca collaborazione nel loro personale, reciproco interesse”.

Del resto, come giustamente ricorda il Tar, non c’è bisogno in questo caso neppure di scomodare il diritto sportivo, essendo un principio generale del nostro Ordinamento il fatto che un procuratore non può contemporaneamente rappresentare interessi potenzialmente configgenti.

28 gennaio 2016

Giovambattista Palumbo