I problemi fiscali delle società ancora inattive alle prese con lunghe attività preparatorie di tipo amministrativo

la normativa contro le cosiddette società di comodo non può tenere conto delle diverse realtà operative: ecco come possono tutelarsi le società che si trovano alle prese con lunghe attività preparatorie di tipo amministrativo

Aspetti generali

Le società sono spesso caratterizzate, nella loro attività economica, dalle complessità e dai tempi lunghi derivanti da procedimenti amministrativi in corso o dall’esistenza di lavori preparatori pluriennali.

Nel presente contributo si cercherà di esaminare queste circostanze, che incidono sia sulla situazione reddituale delle imprese, sia sulle problematiche relative alla detrazione dell’IVA sulle operazioni a monte, sia infine sui rischi di «non operatività», da vedere in nuova luce a seguito dell’emanazione delle recenti disposizioni attuative della delega fiscale [D.Lgs. n. 156/2015].

Avviamento e relativi costi

I costi di impianto e avviamento (così come quelli di ricerca, sviluppo e pubblicità aventi utilità pluriennale) possono essere iscritti nell’attivo con il consenso, ove esistente, del collegio sindacale e devono essere ammortizzati entro un periodo non superiore a 5 anni, a norma dell’art. 2426, c. 5, c.c.. Finché l’ammortamento non è completato possono essere distribuiti dividendi solamente se residuano riserve disponibili sufficienti a coprire l’ammontare dei costi non ammortizzati.

Il successivo comma 6 dell’articolo in esame si occupa invece dell’avviamento, stabilendo che esso può essere iscritto nell’attivo con il consenso del collegio sindacale (ove esistente), se acquisito a titolo oneroso, nei limiti del costo per esso sostenuto, va ammortizzato entro un periodo di 5 anni.

È tuttavia consentito ammortizzare sistematicamente l’avviamento in un periodo limitato di durata superiore, purché esso non superi la durata per l’utilizzazione di questo attivo e ne sia data adeguata motivazione nella nota integrativa.

Come i costi di impianto, anche l’avviamento «si genera» (o, per meglio dire, se ne genera il presupposto, ossia l’inizio dell’attività d’impresa) nella fase iniziale dell’attività: esso consiste infatti in un «bene» sui generis, che esprime l’idoneità dell’impresa a produrre un risultato economico, ma non già il suo funzionamento «a regime».

Con riguardo sia ai costi di impianto e ampliamento, sia all’avviamento, occorre tener conto delle elaborazioni apportate dall’Organismo Italiano di Contabilità (OIC) in conseguenza dell’influsso esercitato dai principi contabili internazionali.

A tale riguardo, può essere evidenziato che il principio OIC n. 24 (Immobilizzazioni immateriali) individua i primi come costi dotati di «… una intrinseca caratteristica di spiccata maggior aleatorietà rispetto ad altre poste dell’attivo patrimoniale», riconducibili ad « … oneri che vengono sostenuti in modo non ricorrente dall’azienda in precisi e caratteristici momenti della vita dell’impresa, quali la fase pre-operativa o quella di accrescimento della capacità operativa esistente».

Secondo l’OIC, tale categoria comprende tutti i costi e le spese direttamente sostenuti per:

  • la costituzione della società (costi inerenti l’atto costitutivo, le relative tasse, le eventuali consulenze, l’ottenimento delle licenze, di permessi e autorizzazioni, etc.);

  • la costituzione dell’azienda, intesa come assieme organizzato di beni, strumenti e persone (costi sostenuti per disegnare e rendere operativa la struttura aziendale, o per studi preparatori, ricerche di mercato, addestramento del personale etc., necessari ad avviare l’attività aziendale);

  • l’ampliamento della società e dell’azienda, inteso non come il naturale semplice processo di accrescimento quantitativo e qualitativo dell’impresa, ma come una vera e propria espansione della stessa in direzioni ed in attività precedentemente non perseguite, o verso un ampliamento quantitativo con misura «straordinaria», nella prospettiva dell’espansione dell’attività sociale.

I costi di start-up, capitalizzabili secondo la facoltà concessa dalla norma civilistica, non sono invece capitalizzabili secondo lo IAS 38.

Tra di essi, sempre seguendo il «tracciato» del principio OIC, possono includersi anche le spese per aumento del capitale sociale, per operazioni di trasformazione, fusione, scissione, per l’avviamento di nuove produzioni, i costi di preapertura di nuovi centri commerciali, le spese per l’ammissione alla quotazione in borsa dell’impresa, etc. Per tutti i costi in rassegna, l’iscrizione nell’attivo patrimoniale è subordinata alla verifica della congruenza e del « … rapporto causa-effetto tra i costi in questione ed il beneficio (futura utilità) che dagli stessi l’impresa si attende», per ogni singola componente di costo.

Il fatto che l’ammortamento dei costi capitalizzati di impianto ed ampliamento debba limitarsi a un quinquennio risponde, secondo l’OIC, al principio di prudenza, giacché la loro valutazione si presenta particolarmente incerta e il loro contenuto non possiede un autonomo valore di mercato.

Nel predetto principio OIC n. 24 è fornito resoconto della novità consistente nella valutazione al fair value delle immobilizzazioni materiali, immateriali e finanziarie, la quale comporta il superamento del metodo dell’ammortamento sistematico a opera di quello fondato sull’impairment test («test del danneggiamento»). Ne consegue che tali immobilizzazioni (nell’ottica dell’applicazione dei principi contabili internazionali) dovranno annualmente essere sottoposte all’impairment test, confrontando il valore di bilancio con il relativo valore di mercato o d’uso.

Secondo il par. 24 dello IAS 36, le attività immateriali con vita utile indefinita devono essere verificate annualmente per riduzione durevole di valore confrontando il valore contabile con il valore recuperabile, a prescindere se esistano o meno indicazioni che possa aver subito una riduzione durevole di valore.

Alla luce delle indicazioni che promanano dai documenti ufficiali, l’«orizzonte» dei principi contabili internazionali prevede quindi una rilevanza dei costi di start-up non più quali entità soggette ad ammortamento, ma quali perdite di valore implicite in sede di impairment test.

Sotto il profilo che qui interessa – ossia la valutazione della suscettibilità delle attività «non (ancora) attivata» a costituire già «attività di impresa», con le relative conseguenze ai fini fiscali -, non sembrerebbero esservi conseguenze dirette, dato che in ambedue i casi i costi in questione sono valutabili e concorrono all’economia dell’impresa (suggerendo un trattamento tributario coerente con tale impostazione).

Un breve passaggio sull’inerenza

Il principio di inerenza riveste un’importanza cruciale nel sistema del reddito d’impresa, e si impernia sull’art. 109, c. 4, del TUIR, ove è stabilito che «le spese e gli altri componenti negativi non sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui non risultano imputati al conto economico relativo all’esercizio di competenza».

Il secondo periodo del comma, di recente inserimento, aggiunge che «si considerano imputati a conto economico i componenti imputati direttamente a patrimonio per effetto dei principi contabili internazionali», e che «sono tuttavia deducibili:

  • quelli imputati al conto economico di un esercizio precedente, se la deduzione è stata rinviata in conformità alle precedenti norme della presente sezione che dispongono o consentono il rinvio;

  • quelli che pur non essendo imputabili al conto economico, sono deducibili per disposizione di legge».

Non esistono quindi preclusioni, in linea generale, quanto alla possibilità di attribuire rilevanza fiscale ai costi di start-up, sia che questa rilevanza discenda dal processo di ammortamento, sia che essa consegua all’applicazione del criterio dell’impairment test (come si evince dal comma 1-ter dell’articolo 110 del TUIR, inserito dall’art. 1, c. 58, della Finanziaria 2008).

Ogni discorso sull’inerenza riferita all’IVA non può prescindere da un previo esame della direttiva CEE n. 112 del 28.11.2006, la quale ha integralmente sostituito la Sesta direttiva nel disciplinare il sistema dell’imposta a livello europeo. In particolare, l’art. 1, secondo comma, della nuova direttiva afferma che «il principio del sistema comune d’IVA consiste nell’applicare ai beni ed ai servizi un’imposta generale sui consumi esattamente proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi, qualunque sia il numero delle operazioni intervenute nel processo di produzione e di distribuzione antecedente alla fase d’imposizione. A ciascuna operazione, l’IVA, calcolata sul prezzo del bene o del servizio all’aliquota applicabile al bene o servizio in questione, è esigibile previa detrazione dell’ammontare dell’imposta che ha gravato direttamente sul costo dei diversi elementi costitutivi del prezzo».

Alla luce di tali principi, il diritto alla detrazione non appare condizionato dal fatto che vi sia stato un effettivo svolgimento di attività commerciale, piuttosto che tale svolgimento sia stato solamente programmato dall’impresa.

La natura dell’IVA, quale si manifesta nelle norme comunitarie di riferimento, è quella di un tributo «trasparente», il cui assolvimento da parte di un’impresa legittima di per sé la sua detrazione o il suo rimborso, al di là delle vicende – successive ed eventuali – dell’impresa stessa, o delle attività in funzione delle quali erano stati effettuati degli investimenti «prodromici». D’altra parte, ai fini dell’IVA, sarebbe arduo affermare che i costi «preliminari» sostenuti per l’avviamento di un’impresa societaria non si possano inquadrare in un’attività a sé stante, in considerazione del fatto che il soggetto neo-costituito, libero dei costi in propria vece sostenuti dalla «società preparatoria», avvalendosi dei beni e servizi acquisiti, svolge regolarmente la propria attività d’impresa.

Gli orientamenti europei

Nella sentenza 14.2.1985, relativa alla causa 268/83, «Rompelman», la Corte di Giustizia ha stabilito quanto segue:

  • le attività economiche di cui all’art. 4, n. 1, della Sesta Direttiva, possono consistere in vari atti consecutivi;

  • gli atti preparatori, come il procurarsi i mezzi per esercitare tali attività e, pertanto, anche l’acquisto di un bene immobile, devono già ritenersi parte integrante delle attività economiche.

Anche le prime spese di investimento effettuate ai fini di una data operazione possono quindi essere considerate come attività economiche ai sensi dell’art. 4 della Sesta direttiva (corrispondente all’art. 9 della direttiva del 2006); in tale contesto, l’Amministrazione deve prendere in considerazione la dichiarata intenzione dell’ impresa.

Se l’Amministrazione ha riconosciuto la qualità di soggetto passivo IVA di una società che ha dichiarato la propria intenzione di avviare un’attività economica che dà luogo ad operazioni imponibili, la realizzazione di uno studio sugli aspetti tecnici ed economici dell’attività programmata può quindi essere considerata come un’attività economica, anche se tale studio è finalizzato solamente a esaminare la prevista redditività dell’attività stessa. Alle medesime condizioni, l’IVA versata per tale studio può in via di principio essere detratta. La detrazione operata rimane acquisita anche se, successivamente, si è deciso, in considerazione dei risultati dello studio, di non passare alla fase operativa e di porre la società in liquidazione.

In armonia con le statuizioni dei Giudici comunitari, la Corte di Cassazione italiana, nella sentenza della Sezione tributaria n. 6083 del 26.4.2001, ha ritenuto che una società di capitali avesse diritto alla detrazione dell’imposta sugli acquisti anche se la stessa aveva realizzato solamente operazioni passive propedeutiche all’avviamento dell’attività d’impresa, e non erano state ancora effettuate operazioni imponibili.

Se, in base agli enunciati principi, la detrazione IVA è legittima anche in presenza di attività solamente «progettate», e mai passate alla fase operativa, si ritiene che i componenti reddituali negativi relativi a tali attività abbiano piena cittadinanza nel sistema del reddito d’impresa, senza che esse siano inficiate dalla presunzione di non operatività di cui all’art. 30 della L. n. 724/1994; anzi, l’effettuazione di studi concretamente finalizzati all’avvio dell’attività dovrebbe poter valere quale esimente in sede di interpello speciale.

A tale riguardo, però, occorre evidenziare che la decisione di non procedere all’avvio della fase operativa, pur fondata sui risultati dello studio, verrebbe interpretata come una libera scelta, in conseguenza della quale non potrebbe essere mantenuta la struttura societaria, ma semmai programmata la sua liquidazione e la cancellazione dal registro delle imprese.

Relativamente alla possibilità di assumere come validi gli orientamenti espressi in sede comunitaria anche con riguardo al settore delle imposte sui redditi, possono essere segnalate le conclusioni svolte dalla Corte di Cassazione nella sentenza della sezione tributaria n. 6502 del 21.1.2000. Secondo tale pronuncia, la pubblicità non svolge più il ruolo meramente informativo di far conoscere l’esistenza di un prodotto sul mercato, potendo essere utilizzata anche per sensibilizzare preventivamente l’interesse dei consumatori verso beni o servizi non ancora concretamente offerti.

Le spese pubblicitarie devono quindi essere qualificate come inerenti all’esercizio d’impresa anche se sostenute prima che l’offerta del bene o del servizio pubblicizzato si sia concretamente realizzata.

A tale riguardo, è stato chiarito che il messaggio pubblicitario può essere «proiettato» verso il futuro, «… e non necessariamente ancorato all’attività di produzione già svolta», sicché «… non rileva … che alle spese pubblicitarie … poste in essere non abbiano, nell’immediato, corrisposto realizzazioni concrete ed apprezzabili». Anche gli atti finalizzati «… a porre le premesse indispensabili per lo svolgimento o il rafforzamento di una data attività economica» costituiscono infatti «… parte integrante dell’attività imprenditoriale», ragion per cui «… anche i relativi costi, anticipatori e prodromici, in quanto strumentali al consolidamento e all’ampliamento del mercato, che solo all’imprenditore spetta valutare, non possono che ritenersi deducibili, in quanto inerenti all’attività d’impresa».

Le società non operative

Secondo le vigenti norme in materia di società «di comodo», di cui all’art. 30, L. n. 724/1994, e s.m.i., il mancato o «insufficiente» esercizio dell’attività è sanzionato da una presunzione legale in base alla quale l’amministrazione finanziaria disconosce il reddito effettivo e impone la rideterminazione dello stesso in base all’applicazione di determinate percentuali, a prescindere dalla realtà economica dell’impresa e all’eventuale adozione della contabilità ordinaria.

Ai fini delle imposte sui redditi, quindi, la determinazione del reddito minimo presunto si sovrappone al sistema analitico vigente in generale per il reddito d’impresa, mentre per l’IVA scattano i vincoli alla fruizione dei crediti maturati.

Si rammenta che, secondo la normativa in esame, le S.p.a., le S.a.p.a., le S.r.l., le S.n.c. e le S.a.s., nonché le società e gli enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, si considerano, salvo prova contraria, non operative se l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico, ove prescritto, è inferiore alla somma degli importi che risultano applicando le percentuali indicate in tabella. Se non viene concessa la disapplicazione, la società deve adeguarsi al c.d. reddito minimo presunto.

Per tali società infatti, secondo il quarto comma dell’art. 30 della L. n. 724/1994 (e salvo il positivo esperimento dell’interpello disapplicativo) l’eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione presentata ai fini IVA non è ammessa al rimborso e non può essere compensata ai sensi dell’art. 17, D.Lgs. 241/1997, né ceduta ai sensi dell’art. 5, c. 4-ter, D.L. 14.03.1988, n. 70, convertito con modificazioni dalla L. 13.05.1988, n. 154. Inoltre, un ulteriore penalizzazione è prevista nel caso in cui la società tre periodi d’imposta consecutivi non abbia effettuato «operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto non inferiore all’importo che risulta dalla applicazione delle percentuali di cui al comma 1»: in tale ipotesi, infatti, l’eccedenza di credito non è neppure riportabile a scomputo dell’IVA a debito relativa ai successivi periodi d’imposta, e pertanto – sostanzialmente – il credito è perduto in via definitiva.

In tale contesto, le società alle prese con lunghe attività preparatorie, che per tale ragione non possono ancora esercitare la vera e propria attività di impresa, possono fornire all’amministrazione finanziaria tutte le dimostrazioni necessarie interpellando la competente direzione regionale1.

Si osserva al riguardo che in epoca anteriore rispetto alla riforma del 2015, in attuazione della «delega fiscale» di cui alla L. n. 23/2014 (attuata dal D.Lgs. «interpello e contenzioso» n. 156/2015 con vigenza dal primo gennaio 2016), l’interpello in materia di non operatività si inquadrava tra quelli «disapplicativi» di cui all’ottavo comma dell’abrogato art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973; tale interpello è invece ora facoltativo e viene a collocarsi tra quelli «probatori» di cui al nuovo art. 11, c.1, lett. c, della L. n. 212/2000 nella nuova versione.

La produzione dei riscontri necessari a dimostrare la presenza di circostanze oggettive in grado di consentire la disapplicazione (costituite, nel caso di specie, dalla necessità di una adeguata preparazione e di tempi lunghi per motivi tecnici, produttivi e/o amministrativi) può quindi avvenire sia in sede di interpello preventivo che nell’ambito del contraddittorio con l’ufficio. La società che si trovi in situazione di non operatività dovrà tuttavia fornire tale indicazione nella dichiarazione dei redditi; mancando tale indicazione, se la società stessa non avrà presentato interpello, si renderà applicabile una sanzione amministrativa da 2.000 a 21.000 euro come previsto dal nuovo comma 3-ter dell’art.icolo8 del D.Lgs. n. 471/1997, come inserito dal c.d. «decreto sanzioni» n. 158/2015. Tale sanzione si renderà applicabile solo a partire dal primo gennaio 2017, ma secondo alcune dichiarazioni provenienti dall’Esecutivo2 vi è l’intenzione di anticiparne la decorrenza [insieme a quella dell’intero nuovo impianto sanzionatorio amministrativo] al primo gennaio 2016.

La situazione delle società in perdita

Come è noto, le società in perdita sistemica o sistematica [di cui ai commi da 36-quinquies a 36-duodecies dell’art. 2 del D.L. 13.8.2011, n. 138, convertito dalla L. 14.9.2011, n. 148] sono, a partire dal sesto periodo di imposta, quei soggetti societari che per cinque periodi di imposta consecutivi realizzano perdite fiscali, ovvero si trovano in perdita per quattro periodi su cinque mentre nel rimanente periodo dichiarano un reddito inferiore a quello minimo presunto ai sensi dell’art. 30 della L. n. 724/1994.

Si tratta per così dire di una sottospecie di società «di comodo», contraddistinta non dalla produzione di un risultato economico insufficiente rispetto ai beni patrimoniali, bensì dalle perdite protratte, sicché anche le società senza cespiti può risultare inclusa in questa fattispecie se non realizza ricavi o altri componenti reddituali positivi utili a coprire i costi di esercizio.

Nell’ambito dello specifico interpello possono valere solo in parte le dimostrazioni che sono utili a comprovare le situazioni oggettive di non operatività, perché occorre anche fornire riscontro circa quei componenti negativi, il cui effetto è stato di produrre le perdite fiscali.

Certamente una società la cui attività economica rimane per più esercizi in sospeso a causa di situazioni particolari, di tipo amministrativo o gestionale, o anche riferibili alla particolare tipologia di attività esercitata (che può richiedere un avviamento pluriennale) si troverà più facilmente di altre nella condizione di generare delle perdite, dal momento che continuerà a produrre dei pur limitati costi di esercizio a fronte di un risultato economico nullo.

In relazione alla riforma fiscale del 2015, occorre segnalare che né il decreto interpello, né il decreto certezza del diritto, contengono espliciti riferimenti alla situazione delle società in perdita sistemica: da ciò potrebbe desumersi che queste ultime vengono a tutti gli effetti assimilate alle società non operative (con la conseguente riconduzione alla relativa nuova disciplina, e quindi alla facoltatività dell’interpello e ai nuovi profili sanzionatori).

Considerazioni di sintesi

Alla luce degli orientamenti giurisprudenziali della CGCE e della Cassazione, le attività «preparatorie» e quelle «non in essere» nel tempo presente, ma pianificate, programmate…, possono conferire il diritto alla detrazione dell’IVA pagata a monte e alla deduzione dei costi sostenuti. il limite a tale diritto generale sembra tuttavia risiedere nell’eventuale finalizzazione «abusiva» dell’operazione, ove l’imprenditore avesse preordinato una «falsa attività» allo scopo esclusivo di fruire di detrazioni (o deduzioni) che non gli sarebbero spettate.

La questione delle attività preparatorie consente altresì di accedere al più generale problema della riconoscibilità dei costi sostenuti in relazione alle attività dell’impresa secondo un criterio di inerenza a vasto raggio, in grado di includere componenti ordinariamente non ammessi secondo l’impostazione fiscale (solitamente restrittiva).

In definitiva, occorrerebbe riconoscere senza particolari problemi i costi che non presentassero un carattere fittizio e «abusivo», anche se ricollegati a un’impresa solamente «progettata». È tuttavia evidente che l’applicazione estensiva del principio di inerenza richiede la massima permeabilità della situazione dell’impresa (e degli scambi della stessa con soggetti terzi) di fronte alle attività di controllo del fisco, che hanno la funzione di impedire la violazione e/o l’aggiramento di regole poste a presidio del corretto funzionamento del sistema.

La presenza di attività prodromiche rispetto alla normale attività di impresa, che è «per il momento» solamente programmata, o comunque non può svolgersi per la mancanza di atti amministrativi, nonché a causa di lavori in corso di effettuazione o di particolari produzioni dalla lunga preparazione, assume rilevanza anche in quanto tali soggetti societari possono esser fatti rientrare, in linea di principio, tra quelli non operativi ovvero in perdita sistemica.

È chiaro al riguardo che non si tratta in realtà di soggetti artificialmente costituiti per la fruizione indebita di normative fiscali associate al sistema di impresa senza che sussista alcuna attività commerciale / produttiva, bensì di società «votate» all’attività economica, che tuttavia rimane temporaneamente sospesa. Per tale ragione è più che sensato e anzi necessario che gli investimenti dalle stesse posti in essere vengano fin da subito ritenuti afferenti all’impresa, con la conseguente generazione di costi deducibili e di IVA detraibile.

26 gennaio 2016

Fabio Carrirolo

1 Per quanto riguarda la possibilità di valorizzare le circostanze oggettive costituite dall’attesa di autorizzazioni e permessi, si veda la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 44/E del 9.7.2007.

2 Cfr. l’articolo «Sanzioni tributarie dal 2016», di Valerio Stroppa – su Italia Oggi del 16.10.2015, che riferisce di un intervento in tal senso del Viceministro Casero nel corso del V Congresso nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili.