Dirigenti (legittimi?): se la delega non è corretta, l'accertamento è nullo!

nella battaglia Fisco-contribuente sui dirigenti illegittimi interviene di nuovo la Cassazione in merito alle deleghe al contenzioso: se il Fisco non prova che l’accertamento è firmato da un funzionario legittimamente delegato, l’atto è nullo!

Se l’ufficio finanziario non prova che l’accertamento è firmato da un funzionario legittimamente delegato, l’atto è nullo.

Quanto precede è contenuto nella recente sent n. 24492/2015 della Cass. in cui viene affermato che gli accertamenti sono nulli tutte le volte che gli avvisi non risultano sottoscritti dal capo dell’ufficio o da un funzionario validamente delegato.

Come è noto la vicenda, giunta ormai al giudice di legittimità, ha riguardato un consistente numero di funzionari (circa 800) a cui è stato conferito un incarico dirigenziale poi prorogato più volte nelò corso del tempo.

Trattasi di incarichi a contratto concessi dall’Agenzia delle entrate senza il superamento di una procedura concorsuale nonché il sistema di assegnazione dei incarichi dirigenziali ai funzionari (ciò che fino a qualche anno fa poteva effettuarsi facendo ricorso all’istituto della cd Reggenza), secondo l’applicazione non conforme alla legge dell’art. 19, c. 6, del D.Lgs. n. 165/2001 secondo cui è possibile assegnare incarichi dirigenziali a funzionari interni, sulla base dl presupposto di essere funzionari.

Gli incarichi in esame sono previsti dall’art. 24 del Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate e hanno consentito il conferimento di incarichi dirigenziali in favore di funzionari non in possesso della relativa qualifica (fino al 2010). Tali dirigenti a vario titolo sono i direttori provinciali “reggenti”; i dirigenti “incaricati” che sottoscrivono gli atti su delega dei reggenti.

 

EVOLUZIONE GIURISPRUDENZA

Le motivazioni della sentenza in esame sono interessanti e rappresentano una revisione di quanto affermato nelle recenti sentenze n. 22800, n. 22803 e n. 22810 del 9 novembre 2015..

La vicenda trae origine dalla decisione n. 37/2015 della Corte Costituzionale che ha chiarito l’illegittimità costituzionale delle posizioni occupate dai suddetti funzionari.

I giudici delle leggi hanno ritenuto che secondo la costante giurisprudenza della Corte, nessun dubbio può nutrirsi in ordine al fatto che il conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito di una PA debba avvenire previo esperimento di un pubblico concorso, e che il concorso sia necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio (Cfr. sentenza n. 194 del 2002; n. 217 del 2012, n. 7 del 2011, n. 150 del 2010, n. 293 del 2009). E’ stato chiarito che le reiterate delibere di proroga del termine finale hanno di fatto consentito, negli anni, di utilizzare uno strumento pensato per situazioni peculiari quale metodo ordinario per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti. In realtà, nell’ambito dell’ordinamento del lavoro delle pubbliche amministrazioni, l’illegittimità di questa copertura delle posizioni dirigenziali deriva dalla sua non riconducibilità, né al modello dell’affidamento di mansioni superiori a impiegati appartenenti ad un livello inferiore, né all’istituto della cd reggenza.

Invero, è stato precisato, che l’assegnazione di posizioni dirigenziali a un funzionario può avvenire solo ricorrendo all’istituto della reggenza, disciplinato dall’art. 20 del d.P.R. 266/1987.

I giudici hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 3, 51 e 97 Cost..

Successivamente il Consiglio di Stato (sent. n. 04641/2015) ha chiarito che la procedura di assegnazione degli incarichi a propri funzionari di cui all’art. 24 del Regolamento di amministrazione da parte dell’Agenzia delle entrate non è conforme alla legge e alla Costituzione ed ha determinato di fatto una grave situazione di illegittimità tra la situazione concreta e l’organizzazione amministrativa. Tale Regolamento ha violato sia il principio di uguaglianza dei cittadini nell’accesso ai pubblici uffici (nella specie, dirigenziali), sia il principio secondo cui ai pubblici uffici si accede mediante concorso (art. 97 Cost.).

La Corte di Cassazione con le richiamate sentenze (nn. 22800, 22803 e 22810) ha affermato che gli atti firmati dagli “ex dirigenti” incaricati, decaduti a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 37 del 2015, purché trattasi di capi dell’ufficio fiscale che non devono necessariamente essere dirigenti, a condizione che fosse legittimato da una particolare delega.

In particolare, con la sentenza n. 22800/2015 i giudici di legittimità hanno chiarito che migliaia di accertamenti fiscali firmati dagli incaricati sono validi e ciò ha ingenerato delle perplessità tra i contribuenti, le associazioni dei consumatori in attesa di ulteriori pronunciamenti

Con successiva sentenza n. 04641/2015 il Consiglio di Stato ha chiarito che la procedura di assegnazione degli incarichi a propri funzionari di cui all’art. 24 del Regolamento di amministrazione da parte dell’Agenzia delle entrate non è conforme alla legge e alle norme della Costituzione, situazione che ha determinato di fatto una grave situazione di illegittimità tra la situazione concreta e l’organizzazione amministrativa. Tale Regolamento ha violato sia il principio di uguaglianza dei cittadini nell’accesso ai pubblici uffici (nella specie, dirigenziali), sia il principio secondo cui ai pubblici uffici si accede mediante concorso (art. 97 Cost.).

Occorre annoverare, inoltre, numerose decisioni di merito tra cui la sentenza n. 184/13/2015 della CTR di Milano, sentenza che si aggiunge ad altro analogo intervento della CTP di Milano (sent. n. 3222/25/2015); della CTP di Frosinone sentenza n. 414/02/2015; della CTP di Brescia sentenza n. 277/1/2015 ed alle sentenze 1789/02/2015 e 1790/02/2015 della CTP di Lecce.

 

SENTENZA n. 24492/2015 Cass.

Nella fattispecie in esame l’Agenzia delle entrate ha notificato al contribuente due avvisi di accertamento per il recupero a tassazione di alcune imposte e quest’ultimo eccepiva, tra l’altro, l’illegittimità degli atti impositivi in quanto non sottoscritti dal Capo dell’Ufficio o da un sostituto di grado dirigenziale validamente delegato. I giudici tributari di primo grado e di secondo grado non hanno accolto il ricorso del contribuente che ha proposto ricorso per Cassazione.

In uno dei motivi il ricorrente ha fatto presente che la CTR ha omesso di rilevare l’illegittimità degli accertamenti “in quanto sottoscritti da soggetto diverso dal capo dell’ufficio in assenza di indicazione alcuna in ordine alla qualifica e ai poteri conferiti e in mancanza di prova dell’esistenza di un provvedimento di delega da parte del capo dell’ufficio: prova che…non è stata fornita dall’ufficio neppure nel corso del giudizio di merito…”

 

La Suprema Corte ha ritenuto che l’accertamento è nullo ai sensi dell’art. 42, del Dpr n. 600/1973 se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. Se la sottoscrizione non è quella del capo ufficio titolare ma di un funzionario della carriera direttiva, incombe all’Amministrazione dimostrare il corretto esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega (Cass. n. 17400/2012).

Successiva giurisprudenza di legittimità, nel ribadire un orientamento consolidato, ha ritenuto che , nell’individuazione del soggetto legittimato a sottoscrivere l’atto impositivo, grava sull’Agenzia delle entrate dimostrare il corretto esercizio del potere e l’eventuale delega (Cass n. 14942/2013).

I giudici di legittimità, nel precisare che solo in alcune specifiche ipotesi opera la presunzione generale di riferibilità dell’atto all’organo amministrativo titolare del potere nel cui esercizio è adottato, hanno affermato che l’orientamento in rassegna non è contraddetto dalla sent n. 22800/2015 che, seppur ponendo l’accento sull’impiegato della carriera direttiva, ribadisce che se viene contestato un specifico atto di delega da parte del capo ufficio incombe all’Amministrazione fornire la prova della non sussistenza dell’atto. Quanto precede sia in virtù del principio di leale collaborazione che grava sulle parti processuali che in virtù del principio della vicinanza della prova, non essendo consentito nemmeno al giudice attiavre d’ufficio poteri istruttori (Cass nn. 18758/2014; 1704/2013).

Pertanto, atteso che la decisione impugnata non ha risposto al principio sopra esposto, la Suprema Corte ha accolto il ricorso limitatamente alla parte riguardante la nullità dell’avviso di accertamento in quanto non validamente sottoscritto.

Si ritiene che per dirimere definitivamente la questione in oggetto si renderà necessario un pronunciamento a sezioni unite della Cassazione, al fine di conferire certezza a quest’ultimo orientamento.

 

4 dicembre 2015

Enzo Di Giacomo