L’indennizzo per i danni da forzata inattività solo quando è certo e determinabile, nel rispetto del principio della competenza

la definizione del reddito d’impresa secondo il principio di competenza fissato dal TUIR può generare dubbi su alcune componenti che si verificano raramente: il caso della liquidazione dei danni in sede giudiziale

Con la sentenza n. 19418 del 30 settembre 2015 (ud. 16 giugno 2015) la Corte di Cassazione torna ad affrontare la questione relativa al rispetto del principio di competenza.

La norma

L‘art. 75 T.U.I.R., nel testo in allora vigente (ma la materia non ha subito modificazione a seguito del D.Lgs. n. 344 del 2003, nella disciplina ora dettata dall’art. 109 T.U.I.R.) prevedeva e prevede al primo comma che “i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, per i quali le precedenti norme del presente capo non dispongono diversamente, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza; tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni1“.

Quindi, in base al principio di competenza, i componenti positivi o negativi del reddito di impresa vanno imputati all’esercizio in cui pervengono a maturazione, qualora certi e determinabili, mentre per quelli per i quali l’esistenza non sia provata o l’ammontare non sia determinabile l’imputazione avviene allorchè queste condizioni si realizzano.

Da ciò la Corte ha tratto l’insegnamento che “in tema di imposte sui redditi d’impresa, i componenti positivi o negativi che concorrono a formare il reddito possono essere imputati all’anno di esercizio in cui ne diviene certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare, qualora di tali qualità fossero privi nel corso dell’esercizio di competenza” (3484/14), osservando che tale regola mira a “contemperare la necessità di computare tutte le componenti nell’esercizio di competenza con l’esigenza di non addossare al contribuente un onere troppo difficile da rispettare. Quindi essa va interpretata nel senso che il dovere di conteggiare tali componenti nell’anno di riferimento si arresta soltanto di fronte a quei ricavi ed a quei costi che non siano ancora noti all’atto della determinazione del reddito, e cioè al momento della redazione e presentazione della dichiarazione” (n. 19671/13), fermo per contro che i componenti positivi o negativi che concorrono a formare il reddito possono essere imputati all’anno di esercizio in cui ne diviene certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare, qualora di tali qualità fossero privi nel corso dell’esercizio di competenza (n. 3368/13).

Nel caso di specie, per la Corte, la sentenza impugnata, allorchè ha escluso la legittimità della ripresa operata in punto di indennizzo per i danni da forzata inattività, ritenendo inappropriata la regolazione di esso in base al principio di competenza, si è attenuta al comando giuridico formulato dall’art. 75 T.U.I.R., affermando che esso “non potesse essere accertato nel suo ammontare nell’anno 2003 in quanto i fattori che concorrono alla determinazione del danno emergente e del lucro cessante non possono essere completamente definibili a priori, ma vanno verificati attraverso la produzione di svariati documenti, fatto che richiede un apprezzabile tempo per la determinazione stessa del danno“.

I precedenti della Corte di Cassazione

In sede giurisprudenziale la Corte di Cassazione ha confermato l’inderogabilità del principio di competenza.

Tale regola mira a “contemperare la necessità di computare tutte le componenti nell’esercizio di competenza con l’esigenza di non addossare al contribuente un onere troppo difficile da rispettare. Quindi essa va interpretata nel senso che il dovere di conteggiare tali componenti nell’anno di riferimento si arresta soltanto di fronte a quei ricavi ed a quei costi che non siano ancora noti alt atto della determinatone del reddito, e cioè al momento della redazione e presentazione della dichiaratone” (Cass. n. 19671/2013).

Per converso, i componenti positivi o negativi che concorrono a formare il reddito possono essere imputati all’anno di esercizio in cui ne diviene certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare, qualora di tali qualità fossero privi nel corso dell’esercizio di competenza (Cass. nn. 8250/2008 e 3368/2013). La questione, quindi, concerne i limiti temporali entro i quali l’avvenuto conseguimento del carattere determinato dei componenti negativi possa ancora riferirsi, oltre che civilisticamente, anche fiscalmente all’esercizio in cui i corrispondenti componenti positivi sono stati conseguiti.

Rileviamo ancora ulteriori e recenti pronunce sul tema.

  • Con l’ordinanza n. 9317 del 28 aprile 2014 (ud. 2 aprile 2014) la Corte Suprema di Cassazione ha ribadito che (per tutte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3418 del 12/02/2010) “in tema di reddito d’impresa, il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, (numerazione anteriore a quella introdotta dal D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344) nel prevedere che i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza e che, ai fini dell’individuazione di tale esercizio, le spese di acquisizione dei beni mobili si considerano sostenute alla data della consegna o spedizione, non consente di attribuire rilievo alla data in cui perviene la fattura della spesa sostenuta, né permette la detrazione dei costi in esercizi diversi da quello di competenza, non potendo il contribuente essere lasciato arbitro della scelta del periodo in cui registrare le passività, in quanto l’imputazione di un determinato costo ad un esercizio anzichè ad un altro può, in astratto, comportare l’alterazione dei risultati della dichiarazione, mediante i meccanismi di compensazione dei ricavi e dei costi nei singoli esercizi“. Di conseguenza, “non vi è dubbio perciò che l’omessa registrazione del reddito maturato nel periodo di competenza abbia legittimato l’Agenzia all’adozione dell’avviso di accertamento qui impugnato, avviso che è stato annullato dal giudice del merito in applicazione di un principio fallace”.

  • con la sentenza n. 7841 del 17 aprile 2015 (ud. 19 novembre 2014) la Corte di ha dato continuità al principio affermato nella pronuncia n. 3484 del 2014, “secondo il quale i componenti positivi o negativi che concorrono a formare il reddito possono essere imputati all’anno di esercizio in cui ne diviene certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare, qualora di tali qualità fossero privi nel corso dell’esercizio di competenza, precisando tuttavia che i costi sostenuti dopo la chiusura dell’esercizio contabile di riferimento, ma incidenti sul ricavo netto determinato dalle operazioni, dell’anno già definito, devono costituire elementi di rettifica del bilancio dell’anno precedente, così concorrendo a formare il reddito d’impresa di quell’anno ed incidendo legittimamente in flessione sullo stesso – senza che sia lasciata al contribuente la facoltà di decidere a quale anno imputare tali costi – tutte le volte in cui siano divenuti noti, in quanto certi e precisi nell’ammontare, prima della delibera approvativa del risultato d’esercizio”.Nel caso di specie la contestazione riguardava il mancato rispetto del principio di competenza con riguardo ai costi per extrabonus corrisposti ai dirigenti in relazione all’anno 1999 e portati in deduzione nel 2000.

Gli interventi di prassi

Sul punto vanno segnalati diversi interventi di prassi che possono essere di ausilio, da un punto di vista pratico, per evitare il rischio della doppia imposizione.

  • Con la circolare n. 23/E del 4 maggio 2010 l’Agenzia delle Entrate ha riconosciuto la deduzione, nel periodo di imposta di effettiva competenza, di costi oggetto di recupero per mancato rispetto del principio di competenza, può essere in ogni caso riconosciuta. “Il diritto al rimborso della maggiore imposta versata con riguardo a un periodo d’imposta antecedente o successivo a quello oggetto di accertamento, decorre dalla data in cui la sentenza che ha affermato la legittimità del recupero del costo non di competenza è passata in giudicato, ovvero dalla data in cui è divenuta definitiva, anche ad altro titolo, la pretesa dell’Amministrazione finanziaria al recupero del costo oggetto di rettifica. Da tale data, infatti, si deve ritenere affermato irrevocabilmente anche il diritto del contribuente a dedurre nel periodo di imposta di effettiva competenza il componente negativo”. L’istanza di rimborso della maggiore imposta versata può essere presentata, ai sensi dell’art.21, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992, entro due anni dal passaggio in giudicato della sentenza ovvero dalla data in cui è divenuta definitiva, anche ad altro titolo, la pretesa dell’Amministrazione finanziaria al recupero del costo oggetto di rettifica. In nessun caso, ovviamente, potrà accogliersi l’istanza di rimborso del contribuente, qualunque sia la norma invocata, nel caso in cui la pretesa dell’Amministrazione finanziaria al recupero del costo oggetto di rettifica non si sia resa definitiva. Avverso l’eventuale silenzio rifiuto dell’amministrazione è ammesso ricorso, ai sensi dell’art.19 del D.Lgs. n. 546 del 1992, nel termine di prescrizione ordinaria decennale. Il diritto al rimborso dell’imposta indebitamente versata non comporta il venir meno o la rideterminazione delle sanzioni originariamente irrogate per effetto del disconoscimento del costo non di competenza, né degli interessi dovuti.

  • Con la circolare n. 29/E del 27 giugno 2011 l’Agenzia delle Entrate correttamente ritiene di confermare che rientri tra gli atti “ad altro titolo”, che danno diritto alla presentazione dell’istanza di rimborso, gli atti di accertamento fiscale compresi gli strumenti deflattivi del contenzioso. Afferma testualmente la nota d’agenzia: “il diritto al rimborso di cui trattasi consegue a tutte le ipotesi in cui il rilievo divenga definitivo, e quindi anche nelle ipotesi di accertamento resosi definitivo per mancata impugnazione nei termini o per acquiescenza, nonché nei casi di accertamento con adesione o conciliazione giudiziale”.

  • Con la circolare n. 35/E del 20 settembre 2012 (punto 1.4) il documento di prassi estende i principi contenuti nella citata circolare 23/E del 2010, relativamente ai componenti negativi, “anche alla ipotesi di non corretta imputazione temporale di componenti positivi, ripresi a tassazione dall’ufficio accertatore in un periodo di imposta successivo rispetto a quello in cui gli stessi componenti hanno già concorso alla determinazione del reddito. Ciò in quanto anche in tale ipotesi si realizza un fenomeno di doppia imposizione che deve essere evitato”.

  • Con la circolare n. 31/E del 24 settembre 2013 viene precisato che i principi finalizzati ad evitare che in capo al contribuente si verifichino fenomeni di doppia imposizione, trovano applicazione non solo nell’ipotesi di rettifica da parte degli organi di controllo, ma anche nel caso in cui il contribuente abbia autonomamente rettificato precedenti errori contabili, applicando correttamente i principi contabili.

3 dicembre 2015

Gianfranco Antico

1 Il criterio di competenza temporale è coerente con la disciplina civilistica e in particolare con l’art. 2423-bis, c.c., introdotto dall’art. 3 del D.Lgs. 9.4.1991 n. 127, il quale al comma 1, numero 3, stabilisce che, ai fini della redazione del bilancio di esercizio, si deve tenere conto dei proventi e degli oneri di competenza dell’esercizio stesso, indipendentemente dalla data dell’incasso o del pagamento. Sul punto, l’art.14 del D.P.R. n.600/73, dispone che le società e gli enti il cui bilancio è soggetto per legge o per statuto all’approvazione dell’assemblea, possono effettuare nelle scritture contabili gli aggiornamenti conseguenziali all’approvazione stessa fino al termine per la presentazione della dichiarazione.