Il fondo patrimoniale come scudo contro il Fisco

il fondo patrimoniale può essere uno strumento di aggiramento dell’obbligo di adempimento dei propri debiti, in particolare di quelli tributari? Alcune valutazioni sulle problematiche tributarie nascoste dietro i fondi patrimoniali…

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21396 del 21.10.2015, ha deciso un caso relativo ad una fattispecie attinente ai fondi patrimoniali.

 

La Suprema Corte evidenzia in particolare che

“in tema di fondo patrimoniale, il criterio identificativo dei debiti per i quali può avere luogo l’esecuzione sui beni del fondo va ricercato non già nella natura dell’obbligazione ma nella relazione tra il fatto generatore di essa e i bisogni della famiglia, sicché anche un debito di natura tributaria sorto per l’esercizio dell’attività imprenditoriale può ritenersi contratto per soddisfare tale finalità, fermo restando che essa non può dirsi sussistente per il solo fatto che il debito derivi dall’attività professionale o d’impresa del coniuge, dovendosi accertare che l’obbligazione sia sorta per il soddisfacimento dei bisogni familiari (nel cui ambito vanno incluse le esigenze volte al pieno mantenimento ed all’univoco sviluppo della famiglia), ovvero per il potenziamento della di lui capacità lavorativa, e non per esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi” (cfr Cass. n. 3738 del 2015).

 

Nel caso di specie, tuttavia la motivazione della sentenza impugnata si esauriva, senza alcun altra spiegazione, nell’apodittica affermazione che i debiti posti a base dell’iscrizione ipotecaria impugnata derivavano dall’attività lavorativa del contribuente, con dunque un ragionamento insufficiente a sorreggere la legittimità dell’iscrizione ipotecaria su immobili costituiti in fondo patrimoniale.

Pertanto il ricorso doveva essere accolto, con rinvio della causa ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale.

 

La sentenza dà lo spunto per approfondire una tematica senz’altro interessante.

L’articolo 167 del codice civile stabilisce che

“Ciascuno o ambedue i coniugi, per atto pubblico, o un terzo, anche per testamento, possono costituire un fondo patrimoniale, destinando determinati beni, immobili o mobili iscritti in pubblici registri, o titoli di credito, a far fronte ai bisogni della famiglia…”.

 

L’articolo 170 c.c., a sua volta, poi dispone che

“La esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia”.

 

Infine, l’articolo 2901 c.c., in tema di revocatoria ordinaria, stabilisce che

“Il creditore, anche se il credito è soggetto a condizione o a termine, può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni, quando concorrono le seguenti condizioni:

1) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l’atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento;

2) che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione…”.

 

Su tale argomento, peraltro, la sentenza della Corte suprema n. 15862 del 7 luglio 2010, aveva già affermato importanti principi, stabilendo in particolare che

“Compete al giudice del merito accertare se il debito per il quale l’agente della riscossione intende agire esecutivamente sui beni del contribuente soggetti alla costituzione di fondo patrimoniale ex art. 170 c.c. sia riconducibile alle necessità della famiglia. Il divieto di esecuzione forzata sui beni ricompresi nella convenzione estende la propria efficacia ai crediti sorti anteriormente alla formazione del fondo, salva l’esperibilità dell’azione revocatoria giusta la disciplina stabilita dall’art. 2901 c.c.”.

 

La questione all’esame della Corte riguardava, in particolare, come anche nel caso oggetto della sentenza in commento, il fatto se i debiti tributari potessero o meno ritenersi contratti per sopperire ai bisogni della famiglia, laddove i contribuenti si opponevano alla sentenza di secondo grado, che aveva deciso per l’inopponibilità al creditore/Amministrazione finanziaria del divieto di “aggressione” dei beni costituti in fondo patrimoniale, ritenendo tale divieto limitato alle sole obbligazioni derivanti da contratto e non anche invece a quelle legali, come appunto quelle da debiti tributari.

Come risulta dal richiamato articolo 167, l’istituto del fondo patrimoniale consiste, in sostanza, in un vincolo posto nell’interesse della famiglia su di un complesso di beni determinati (immobili, mobili registrati o titoli di credito) e realizza la costituzione di un patrimonio separato o destinato, con anche limitazione dei poteri dispositivi in capo ai costituenti.

Il vincolo dei beni è infatti finalizzato a destinare gli stessi all’esclusivo soddisfacimento dei diritti di mantenimento, assistenza e contribuzione esistenti nell’ambito della famiglia e giustifica quindi il già citato divieto di esecuzione sui beni destinati al fondo (e sui relativi frutti).

Questi, in virtù della loro specifica destinazione, rispondono soltanto per obbligazioni assunte nell’interesse della famiglia.

La Corte, dunque, affermava e afferma il principio per cui il criterio identificativo dei crediti, il cui soddisfacimento può essere realizzato in via esecutiva sui beni conferiti nel fondo, va in realtà ricercato non già nella natura delle obbligazioni, ma nella relazione esistente tra il fatto generatore di esse e i bisogni della famiglia (cfr anche Cassazione, sentenze nn. 8991/2003 e 12998/06), non potendosi pertanto ritenere non applicabile il divieto di esecuzione sui beni del fondo di cui all’articolo 170 sulla base della natura legale e non contrattuale dell’obbligazione tributaria azionata in via esecutiva, ma dovendosi piuttosto accertare, in punto di fatto, se il debito possa dirsi contratto o meno per soddisfare i bisogni della famiglia.

Proprio per consentire tale accertamento di fatto, appunto, la Corte rinvia anche nel caso di specie al giudice di merito.

L’accertamento relativo alla riconducibilità dei debiti alle esigenze della famiglia va dunque rimesso al giudice di merito, che può eventualmente legittimare la possibilità per l’ufficio di poter prescindere dal divieto di esecuzione di cui al citato articolo 170 del codice civile.

Quanto poi ai criteri cui tale accertamento deve conformarsi, sono ricompresi nei detti bisogni familiari, anche le esigenze volte al pieno mantenimento e sviluppo della famiglia, nonchè al potenziamento della sua capacità lavorativa, “con esclusione solo delle esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi” (cfr Cass. n. 5684/06), laddove peraltro “anche operazioni meramente speculative possono essere ricondotte ai bisogni della famiglia, allorchè appaia certo, in punto di fatto, che esse siano state poste in essere al solo fine di impedire un danno sicuro al nucleo familiare” (cfr Cass. n. 15862 del 7 luglio 2010).

Del resto, è invece irrilevante qualsiasi indagine riguardo alla anteriorità del credito rispetto alla costituzione del fondo, in quanto l’art. 170 c.c. non limita il divieto di esecuzione forzata ai soli crediti (estranei ai bisogni della famiglia) sorti successivamente alla costituzione del fondo, ma estende la sua efficacia anche ai crediti sorti anteriormente, salva la possibilità per il creditore, ricorrendone i presupposti, di agire in revocatoria ordinaria (cfr Cass. nn. 3251/96, 4933/05).

Infine, non bisogna dimenticare che l’articolo 2901, in tema di revocatoria ordinaria, stabilisce che

“Il creditore, anche se il credito è soggetto a condizione o a termine, può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni, quando concorrono le seguenti condizioni:

1) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l’atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento;

2) che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione…”.

 

Per capire allora in quali casi è possibile ricorrere a tale ultimo strumento, è necessario ritornare sui precedenti della Corte Suprema, laddove la stessa, con la sentenza n. 966/2007, dopo aver ribadito che il negozio costitutivo del fondo patrimoniale, anche quando proviene da entrambi i coniugi, è atto a titolo gratuito, che può essere dichiarato inefficace nei confronti dei creditori a mezzo di azione revocatoria ordinaria, ha poi affermato che “a determinare l’eventus damni è sufficiente anche la mera variazione qualitativa del patrimonio del debitore integrata con la costituzione in fondo patrimoniale di bene immobile (nel caso l’unico) di proprietà dei coniugi”, in tal caso determinandosi il pericolo di danno costituito dalla eventuale infruttuosità di una futura azione esecutiva.

 

Secondo la Corte, inoltre, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, nei casi di costituzione in fondo patrimoniale successiva all’assunzione del debito,

“è sufficiente la mera consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore scientia damni, la cui prova può essere fornita anche tramite presunzioni, senza che assumano viceversa rilevanza l’intenzione del debitore medesimo di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore consilium fraudis né la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo”.

 

La costituzione del fondo patrimoniale può essere dunque dichiarata inefficace a mezzo di azione revocatoria ordinaria, laddove sussistano le condizioni (esistenza di un valido rapporto di credito, effettività del danno, inteso come lesione della garanzia patrimoniale a seguito del compimento da parte del debitore di un atto traslativo, ricorrenza, in capo al debitore, ed eventualmente in capo al terzo, della consapevolezza che, con l’atto di disposizione, venga a diminuire la consistenza delle garanzie spettanti ai creditori).

Attraverso la stessa revocatoria potrà essere dunque ricostituita la garanzia assicurata al creditore dal patrimonio del suo debitore, al fine di permettergli appunto il soddisfacimento coattivo del suo credito, avendo peraltro la revocatoria efficacia retroattiva, in quanto l’atto dispositivo risulta viziato sin dall’origine (cfr Cassazione, sentenza n. 19131/2004).

In termini di prova, infine, si sottolinea come la Corte di cassazione ha ritenuto che i presupposti per la revocatoria sussistano senz’altro laddove il debitore abbia posto in essere una serie contestuale e plurima di atti dispositivi del proprio patrimonio, potendosi in questi casi fondatamente presumere che egli fosse consapevole che, così facendo, arrecava un concreto pregiudizio alle ragioni dei propri creditori.

Quindi, anche se è vero che la costituzione del fondo patrimoniale prevista dall’art. 167 del codice civile comporta un limite di disponibilità di determinati beni, vincolati a soddisfare i bisogni della famiglia, è però anche vero che essa limita l’aggredibilità dei beni conferiti solamente alla ricorrenza di determinate condizioni (vedi art. 170 del codice civile), come è anche vero che, dato che la costituzione di tale fondo rende senza dubbio più incerta o difficile la soddisfazione del credito, laddove sussistano le condizioni per l’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria, attraverso la stessa revocatoria potrà essere ricostituita la garanzia assicurata al creditore dal patrimonio del suo debitore.

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In conclusione, i presupposti per l’esperibilità dell’azione revocatoria sono, ex art. 2901 del codice civile:

– l’elemento oggettivo o eventus damni, cioè il pregiudizio che può derivare al creditore in termini di lesione della garanzia patrimoniale prevista dall’art. 2740 del codice civile;

– l’elemento soggettivo e cioè la scientia damni e il consilium fraudis: per gli atti anteriori al sorgere del credito si richiede, infatti, la consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore (scientia damni) e la dolosa preordinazione (consilium fraudis) della disposizione patrimoniale a diminuire le possibilità di soddisfazione delle ragioni creditorie, mentre per gli atti successivi al sorgere del credito è sufficiente la mera generica conoscenza del pregiudizio.

La costituzione di fondi patrimoniali non può essere quindi utilizzata come strumento di aggiramento dell’obbligo di adempimento dei propri debiti (in particolare di quelli tributari).

 

14 dicembre 2015

Giovambattista Palumbo