La nuova definizione di imposta evasa e come si calcola ai fini del penale

puntiamo l’attenzione su uno degli aspetti di maggiore interesse della riforma del sistema dei reati tributari, che investe tutti i reati che prevedono una soglia di punibilità: come si calcola l’imposta evasa ai fini penali

Il D.Lgs. n. 158 del 24 settembre 2015, in G.U. n. 233 del 7 ottobre 2015, in vigore dal 22 ottobre 2015, modifica il sistema sanzionatorio penale.

In questo nostro intervento puntiamo l’attenzione su uno degli aspetti di maggiore interesse che investe tutti i reati che prevedono una soglia di punibilità: l’imposta evasa, che non si considera più quella teorica e non effettivamente dovuta collegata ad una rettifica in diminuzione di perdite dell’esercizio o di perdite pregresse, spettanti ed utilizzabili.

Resta fermo che l’imposta evasa è la differenza tra l’imposta effettivamente dovuta e quella indicata in dichiarazione, ovvero l’intera imposta dovuta nel caso di omessa dichiarazione, al netto delle somme versate dal contribuente o da terzi a titolo d’acconto, di ritenuta o comunque in pagamento di detta imposta, prima della presentazione della dichiarazione o della scadenza del relativo termine.

I REATI INTERESSATI

I reati interessati sono quelli che prevedono delle soglie di punibilità, così che in caso di contestazione occorre determinare l’effettiva imposta evasa, che deve tenere conto delle eventuali perdite:

  • dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici;

  • dichiarazione infedele;

  • dichiarazione omessa.

Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici

Per effetto delle modifiche introdotte, il legislatore, fuori dai casi previsti dal precedente art.2, punisce con la reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni chiunque1, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente2 ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti3 idonei ad ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi, quando, congiuntamente:

a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a 30 mila euro;

b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al 5% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque, è superiore a 1,5 milioni di euro, ovvero qualora l’ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell’imposta, è superiore al 5% dell’ammontare dell’imposta medesima o comunque a 30 mila euro.

Viene, quindi, elevata la soglia di punibilità data dall’ammontare complessivo degli elementi attivi non dichiarati o degli elementi passivi fittizi.

Ai fini dell’applicazione della norma, non costituiscono mezzi fraudolenti la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi inferiori a quelli reali.

Resta fermo che il fatto si considera commesso avvalendosi di documenti falsi quando tali documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono detenuti a fini di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria.

Dichiarazione infedele

L’art. 4 del D.Lgs. n. 158/2015 apporta significative modifiche al reato di dichiarazione infedele, previsto dall’art.4 del D.Lgs. n. 74/2000.

Fuori dei casi previsti dagli artt. 2 e 3, è punito con la reclusione da 1 a 3 anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente:

a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a 150 mila euro;

b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a 3 milioni di euro.

 Ai fini dell’applicazione della norma, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali (norma che ricalca sostanzialmente quanto contenuto nel precedente art.7, oggi abrogato dall’art.14, del D.Lgs. n. 158/2015).

Fuori dei casi di cui sopra, non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al 10% da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste per la sussistenza del reato.

Rispetto alla precedente versione:

  • vengono elevate le soglie di punibilità (l’imposta evasa passa da 50 mila a 150 mila euro e l’imponibile passa da 2 milioni di euro a 3 milioni di euro);

  • viene esclusa la rilevanza penale per la non corretta classificazione della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, se i criteri applicati sono stati comunque evidenziati, per i costi indeducibili (se reali), per i rilievi sulla competenza e sull’inerenza; e le valutazioni che singolarmente considerate differiscono meno del 10% da quelle corrette.

 Inoltre, il legislatore ha sostituito, ovunque presente, la parola “fittizi” con “inesistenti“.

Omessa dichiarazione Impote dirette e IVA

L’art. 5, del D.Lgs. n. 185/2015 interviene sul reato di dichiarazione omessa di cui all’art. 5, del D.Lgs. n. 74/2000.

E’ punito con la reclusione da 1 anno e 6 mesi a 4 anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta4, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a 50 mila euro.

In pratica, rispetto alla precedente formulazione, la pena viene innalzata (prima era da 1 a 3 anni) e la soglia di punibilità passa a 50 mila euro rispetto ai 30 mila precedenti.

L’IMPOSTA EVASA

La circolare n.154/2000, diramata all’indomani della pubblicazione del D.Lgs. n.74/2000, evidenziava che “l’imposta evasa (lett. f), alla quale si commisurano alcune soglie di punibilità dei reati, è la differenza tra l’imposta dovuta e quella dichiarata, al netto di quanto versato dal contribuente o da terzi a titolo d’acconto, di ritenuta o comunque in pagamento di detta imposta prima della presentazione della dichiarazione o della scadenza del relativo termine; tale differenza è determinabile al termine del procedimento di accertamento e trova rappresentazione nell’avviso di accertamento o di rettifica della dichiarazione, emesso dall’ufficio delle entrate quale titolare della potestà accertativa5”.

Oggi il legislatore delegato dall’imposta non versata scomputa le perdite, così che potrebbe verificarsi l’ipotesi che il rilievo contestato possa essere assorbito dalle perdite e di conseguenza non avere refluenze penali.

Tutto ciò pone sicuramente dei problemi pratici più per i soggetti deputati ai controlli esterni, che per i controlli a tavolino degli uffici, ai fini del calcolo esatto dell’imposta evasa.

Come è noto, gli Uffici, ai sensi degli artt. 31, c. 1 del DP.R. n. 600 del 1973 e 51, c. 1 del D.P.R. n. 633 del 1972, hanno l’obbligo di presentare, senza ritardo, il rapporto all’autorità giudiziaria per le violazioni sanzionate penalmente.

A norma dell’art. 331 C.p.p., l’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria grava sui dipendenti dell’amministrazione finanziaria, i quali, rivestendo la qualifica di pubblici ufficiali o d’incaricati di un pubblico servizio, vengono a conoscenza, nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, di un reato perseguibile d’ufficio.

La denuncia, redatta per iscritto, deve contenere, ai sensi dell’articolo 331 c.p.p., la sommaria esposizione dei fatti, le fonti di prova, il giorno dell’acquisizione della notizia nonchè le generalità della persona a cui i fatti sono attribuibili.

Secondo le istruzioni operativi fornite a suo tempo con la citata circolare n. 154/2000, “in ragione della ripartizione di attribuzioni all’interno degli uffici dell’amministrazione finanziaria, l’obbligo di denuncia e, di conseguenza, le responsabilità penali connesse alla sua eventuale omissione incombono sui funzionari delegati alla firma degli atti impositivi. Per contro, qualora l’ipotesi di reato emerga in sede di verifica, tutti i componenti il nucleo sottoscriveranno la denuncia; in tal caso, l’obbligo della trasmissione della notizia di reato sorge nel momento della constatazione del fatto costituente reato”.

La stessa nota d’Agenzia precisava che, “con riferimento alle fattispecie delittuose di cui agli articoli 2, 3 e 4, il momento della constatazione del fatto deve intendersi al termine delle operazioni di verifica riguardanti l’anno d’imposta interessato”.

La nuova formulazione normativa imporrà sicuramente per i controlli esterni maggiori attenzioni. Se grossi problemi non sembrano esserci nel caso di annualità chiuse, qualche problema di più sicuramente lo presentano le annualità aperte ovvero ancora in corso. In questi casi, in attesa di precise istruzioni da parte dell’Amministrazione Finanziaria, è prevedibile un raccordo fra organi di controllo esterno (compresa la G.d.F.) e uffici, al fine di calcolare l’imposta evasa.

Ricordiamo che, sempre in vigenza del vecchio dettato normativo, il Comando Generale della Guardia di Finanza, con la circolare n. 1140000 del 14.4.2000, ha fornito alcuni indirizzi di massima ai propri militari verbalizzanti, rilevando subito che il concetto di imposta evasa è legato sostanzialmente a quanto indicato in dichiarazione. Nella determinazione dell’imposta evasa il Corpo della Guardia di Finanza “constata” il principio del cd. “doppio binario”: la circolare rilevava, infatti, che il concetto di imposta evasa era simile, ma non coincidente con quello della “imposta dovuta” ai fini amministrativi (artt.1 e 5 del D.Lgs. n. 471/97 ), per cui si possono determinare, nella realtà, dei casi di scostamento fra i due valori.

Secondo il Comando Generale, i militari operanti dovranno procedere alla ricostruzione della posizione fiscale del contribuente, valutando, caso per caso, se notiziare “senza ritardo” l’autorità giudiziaria, ogni qualvolta siano configurabili nuovi illeciti penali, previa quantificazione dell’imposta evasa, sia ai fini II.DD. che Iva.

Il documento precisa che tale operazione di calcolo dei tributi evasi è strettamente funzionale agli adempimenti di polizia giudiziaria; preliminare e di supporto ai fini delle successive determinazioni di competenza del pubblico ministero e del giudice, nonché eventualmente dei periti e dei consulenti tecnici che potranno essere nominati; aperta a integrazioni da parte degli stessi comandi operanti e degli uffici finanziari operativi, nel caso in cui emergano nuovi fatti di evasione ovvero si possano applicare modalità più corrette di ricostruzione dei tributi effettivamente dovuti; dettagliatamente illustrata nell’informativa di reato per i delitti di cui agli artt.3, 4 e 5 del decreto legislativo di riforma, con l’indicazione del percorso seguito dalla pattuglia e delle componenti attive e passive considerate nel computo.

24 novembre 2015

Gianfranco Antico

1Introducendo il “ chiunque” si trasforma il reato da proprio in comune. Sono soggetti attivi del reato tutti i contribuenti e non più solo quelli obbligati alla tenuta delle scritture contabili.

2Per operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente si intendono le operazioni apparenti, diverse da quelle disciplinate dall’art.10-bis, della L.n.212/2000 ( norma che regola il nuovo abuso del diritto), poste in essere con la volontà di non realizzarle in tutto o in parte ovvero le operazioni riferite a soggetti fittiziamente interposti

3 Per mezzi fraudolenti si intendono condotte artificiose attive nonché quelle omissive realizzate in violazione di uno specifico obbligo giuridico, che determinano una falsa rappresentazione della realtà.

4Non si considera omessa la dichiarazione presentata entro 90 giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto.

5Cfr. Cass. sent. 23 settembre 2014, n. 38684, secondo cui “il reato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000 è integrato solo ove abbia determinato una evasione di imposta pari (ratione temporis) a euro 77.468,53 e che, per imposta evasa, deve intendersi l’intera imposta dovuta, da determinarsi, tenuto conto, delle risultanze probatorie acquisite nel processo penale, sulla base della contrapposizione tra ricavi e costi d’esercizio fiscalmente detraibili, in una prospettiva di prevalenza del dato fattuale reale rispetto ai criteri di natura meramente formale che caratterizzano l’ordinamento tributario (Sez. 3, n. 21213 del 26/02/2008, De Cicco, Rv. 239983)”. Ne consegue per la Corte che, “per la determinazione dell’imposta evasa ai fini della configurabilità del reato di omessa dichiarazione di cui all’art. 5, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, deve tenersi conto anche degli elementi negativi del reddito, a condizione che siano legittimante detraibili, spettando esclusivamente al giudice penale il compito di accertare e determinare l’ammontare dell’imposta evasa, da intendersi come l’intera imposta dovuta, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario, non essendo configurabile alcuna pregiudiziale in tal senso (Sez. 3, n. 36396 del 18/05/2011, Mariutti, Rv. 251280)”. Nel caso specifico, il ricorrente, nelle sue difese, “aveva sempre sostenuto che, per una corretta determinazione dell’entità dell’IVA evasa e, quindi, anche per l’individuazione del presupposto del superamento della soglia di punibilità, si dovesse procedere a detrarre dal ricavo ricostruito (costo del venduto + ricarico) il costo sopportato con riferimento alla merce ritenuta induttivamente venduta, calcolando poi, sul risultato della detrazione operata, l’importo dell’IVA supposta come evasa, per raffrontarla, nella sua entità, a quello che il legislatore aveva individuato come soglia, operazione che avrebbe determinato, secondo il calcolo del ricorrente, non smentito dalle sentenze di merito, un importo imponibile, con consequenziale calcolo dell’IVA evasa, di gran lunga inferiore alla soglia di punibilità, prevista dalla legge all’epoca dei fatti”. Cfr. anche, da ultimo, Cass. Sent. n. 37094 del 15 settembre 2015 (ud. 29 maggio 2015) della Cassazione Penale, Sez. III, secondo cui, “ai fini della ricostruzione dell’imposta evasa ai sensi del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 1, lett. f), è necessario attingere alle regole stabilite dalla normativa fiscale ma con le limitazioni che derivano dalla diversa finalità dell’accertamento penale, per cui i costi concorrono sì alla determinazione dell’imponibile purchè ne sussista la certezza o, come si vedrà, anche solo il ragionevole dubbio circa la loro esistenza”.