Il reato di distruzione della contabilità si integra anche se il Fisco ricostruisce presuntivamente la base imponibile

la Cassazione ha recentemente ribadito che l’occultamento o la distruzione di scritture contabili obbligatorie assume rilevanza penale a prescindere dal fatto che l’Amministrazione Finanziaria sia riuscita, comunque, a pervenire alla rideterminazione della base imponibile

 

La sentenza della Corte di Cassazione n. 41830 del 19 ottobre 2015 ha recentemente ribadito che l’occultamento o la distruzione di scritture contabili obbligatorie assume rilevanza penale a prescindere dal fatto che l’Amministrazione Finanziaria sia riuscita, comunque, a pervenire alla rideterminazione della base imponibile, facendo ricorso alle molteplici potestà istruttorie riconosciute dal Legislatore e, quindi, anche attraverso mezzi diversi dalla documentazione fiscale.

La condotta oggetto della richiamata sentenza è, infatti, disciplinata dallarticolo 10 del D.Lgs. n. 74/2000,– come da ultimo modificato dal D.Lgs. n. 158/2015, il quale prevede la sanzione della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni1 per chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari.

La figura criminosa in esame, la quale sostituisce la previgente fattispecie prevista dalla lettera b dell’articolo 4 della legge 516/82 (c.d. manette agli evasori), posta a tutela del corretto esercizio della funzione di accertamento fiscale, si integra, pertanto, allorquando la condotta del contribuente sia volta ad ostacolare l’azione accertativa dell’Amministrazione Finanziaria e, quindi, a rendere difficoltosa la connessa attività di ricostruzione della base imponibile.

Dalla lettura del testo normativo, come ribadito dalla Corte di Cassazione, si evince, quindi, che il bene giuridico tutelato è da individuarsi nel corretto esercizio dell’attività ispettiva degli organi deputati, a nulla rilevando, ai fini dell’integrazione, il realizzarsi, nel concreto, dell’evento dannoso consistente nella mancata determinazione della capacità contributiva del soggetto agente. In altre parole, trattandosi di un reato di pericolo, assume rilevanza penale la condotta commissiva di occultamento o distruzione, idonee a recare nocumento alle attività ispettive, anche qualora gli organi accertatori siano comunque pervenuti alla quantificazione dei redditi o del volume di affari utilizzando, in mancanza delle scritture contabili, strumenti presuntivi disciplinati dalle norme tributarie.

Ricorrendo – infatti – alla giurisprudenza formatasi sotto la vigenza della normativa precorsa, si evidenzia che per la realizzazione della fattispecie non è necessario che in concreto si verifichi una oggettiva ed assoluta impossibilità di ricostruire il volume d’affari o dei redditi, ma è sufficiente un’impossibilità anche soltanto relativa, a nulla rilevando che a tale ricostruzione, l’ufficio, comunque pervenga per altra via avvalendosi di calcoli presuntivi ovvero di articolati controlli incrociati2.

 

Ciò posto, nella sentenza n. 41830 del 19 ottobre 2015, la Corte di Cassazione afferma che:

  • è irrilevante, ai fini della configurabilità del reato, la possibilità di ricostruzione in via presuntiva del reddito di impresa. Non è necessario, infatti, che si verifichi in concreto una impossibilità assoluta di ricostruire il volume d’affari o dei redditi, essendo sufficiente anche una impossibilità relativa che sussiste anche se a tale ricostruzione si possa pervenire aliunde (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 3, 11.5.1989 n. 7065);

  • proprio perché la norma intende assicurare la trasparenza fiscale del contribuente, è irrilevante che delle operazioni non documentate venga effettuata la ricostruzione ab externo, attraverso riscontri incrociati, presso i soggetti economici cui si riferiscono quelle operazioni (cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 3057/2008);

  • la norma “sarebbe sostanzialmente inutiliter data ove si attribuisse alla solerzia degli accertatori ed alla loro capacità di reperire aliunde elementi di prova una sorta di efficacia sanante dell’illecita condotta dell’imprenditore. Ben difficilmente infatti questa condotta sarebbe sanzionata dal momento che in materia, di regola, in un modo o nell’altro, prima o poi, eventualmente procedendo a controlli incrociati, l’evasione fiscale viene scoperta. Essa per contro, acquista una precisa ragion d’essere anche perché responsabilizza l’imprenditore – allorchè si interpreta nel senso che la ricostruzione dei redditi e del volume di affari dell’impresa deve poter avvenire con i documenti che il titolare è tenuto a conservare – escluso pertanto qualsiasi riferimento ad un impossibilità assoluta di procedere a tale ricostruzione“.

 

Soffermandosi sulle potestà dell’Amministrazione Finanziaria di ricostruire aliunde la base imponibile del contribuente, si ricorda che gli organi accertatori (in caso di indisponibilità della documentazione fiscale, anche per fatti non imputabili al soggetto stesso) possono giungere alla rideterminazione del reddito d’impresa sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza, con la possibilità di avvalersi di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 cod. civ.

Tale metodologia di accertamento – come noto – può trovare applicazione solo quando si ha una rappresentazione contabile del tutto inutilizzabile, o per l’inesistenza dell’impianto contabile stesso, o per la sua oggettiva indisponibilità e complessiva inaffidabilità, o perché vi è stato l’inadempimento dell’obbligo di dichiarare il reddito d’impresa. Infatti, il comma 2 dell’articolo 39 del D.P.R. nr.600/1973 delinea in modo tassativo i presupposti al verificarsi dei quali l’Amministrazione Finanziaria è legittimata a porre in essere un accertamento di tal guisa. Questo può aver luogo quando il reddito d’impresa non è stato indicato nella dichiarazione; quando dal verbale di ispezione redatto ai sensi dell’art. 33 dello stesso decreto risulta che il contribuente non ha tenuto o ha comunque sottratto all’ispezione una o più delle scritture contabili prescritte dall’art. 14 ovvero quando le scritture medesime non sono disponibili per cause di forza maggiore; quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni accertate ai sensi del primo comma dell’art. 39 ovvero le irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica; quando il contribuente non ha dato seguito agli inviti disposti dagli uffici ai sensi dell’art. 32, c. 1, nn. 3 – 4, del D.P.R. n. 600/1973 o dell’art. 58, c. 2, nn. 3 – 4, del D.P.R. n. 633/1972.

 

Pertanto, il ricorso all’accertamento induttivo, con le conseguenze di diritto e di fatto previste dalle disposizioni normative richiamate, è legittimo anche nel caso in cui sussista l’oggettiva indisponibilità delle scritture contabili per forza maggiore e, quindi, per eventi non imputabili o rimproverabili al contribuente3 come nel caso, ad esempio, di furto regolarmente denunciato alle Autorità competenti. La Corte di Cassazione, infatti, confermando quanto già chiarito in precedenti e numerose pronunce, con la sentenza nr. 9919 del 23 gennaio 2008 e depositata il 16 aprile 2008, ha stabilito che l’Amministrazione Finanziaria è legittimata al ricorso all’accertamento induttivo anche nel momento in cui le scritture contabili obbligatorie siano state oggetto di illecita sottrazione da parte di soggetti terzi4 poiché permane in capo al contribuente l’onere probatorio relativo agli elementi di fatto e di diritto a sostegno della sussistenza di componenti negative, dedotte dal reddito d’impresa. A detta della Corte di Cassazione, pertanto, lo smarrimento o furto della documentazione contabile non può costituire elemento idoneo a giustificare la deduzione di costi qualora lo stesso contribuente non sia in grado di provare i fatti che legittimano il riconoscimento dei costi stessi.

 

Quanto sopra, d’altra parte, non preclude al contribuente la possibilità di ricostruire aliunde la propria contabilità e di fornire la prova che le detrazioni competono nella misura indicata. Infatti, così come affermato dalla stessa Corte di Cassazione con sentenza del 16 settembre 2003 nr.13605, anche nel caso di illecita sottrazione della contabilità da parte di terzi o di altro evento di forza maggiore, l’onere della prova deve essere posto integralmente a carico del contribuente, il quale è tenuto a giustificare quanto indicato, fornendo gli elementi di fatto inerenti, ad esempio, l’acquisizione di beni o servizi collegati alle fatture oggetto di smarrimento o furto, il corretto assolvimento dell’Iva passiva ad esse connesse e la conseguente detraibilità. L’organo giurisdizionale de quo, infatti, nella sentenza in analisi, afferma che non sussistono ragioni di fatto o di diritto che possano consentire di addossare all’Amministrazione Finanziaria l’onere di effettuare eventuali controlli “incrociati” al fine di verificare la sussistenza o meno delle condizioni di detraibilità nel caso di smarrimento o furto delle relative fatture di acquisto. In altre parole, se per causa di forza maggiore, il contribuente sia privo della documentazione contabile, non viene precluso allo stesso la possibilità di ricostruirne il contenuto, ad esempio, acquisendo presso i fornitori copia delle fatture inerenti beni o servizi o altri documenti di contenuto equivalente; in tal modo, il contribuente, parte sulla quale grava l’onere probatorio, è posto nelle condizioni di dimostrare l’effettiva sussistenza dei rapporti sostanziali relativi alle varie operazioni.

Allo stesso modo, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 1181 del 27 gennaio 20015, afferma che la forza maggiore, quale, nel caso di specie, la distruzione della contabilità a seguito di incendio dei locali aziendali, non ricade in maniera “irreparabile” sul contribuente, avendo quest’ultimo la possibilità di ricostruire indirettamente la propria contabilità. Pertanto, “Quando il contribuente non è in grado di provare la fonte che legittima la detrazione, evidentemente non è in grado di provare il fatto costitutivo del suo diritto, sicché legittimamente la detrazione non viene riconosciuta e si procede a recuperare a tassazione l’imposta detratta irritualmente. “ Di conseguenza, la prova della legittimità e della correttezza delle detrazioni Iva deve essere fornita, in caso di contestazione da parte dell’Amministrazione, dal contribuente con la esibizione dei documenti contabili legittimanti6 e nel caso di oggettiva indisponibilità degli stessi per causa di forza maggiore, lo stesso contribuente, e non l’Amministrazione, è tenuto a procedere alla ricostruzione della propria posizione reddituale, anche in ragione del fatto che, nel caso siano possibili riscontri incrociati, è molto più facile per il soggetto interessato che per l’Ufficio procurarsi la documentazione necessaria a dimostrare la sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto per la deduzione di componenti negative dal reddito d’impresa o per la detrazioni dell’Iva passiva per l’acquisizione di beni o servizi inerenti all’esercizio d’impresa.

4 novembre 2015

Nicola Monfreda

1 In precedenza, la pena prevista era la reclusione da sei mesi a cinque anni.

2Di diverso avviso la Suprema Corte in materia di bancarotta fraudolenta documentale allorquando decide che “…può essere esclusa la sussistenza del reato … qualora la ricostruzione del patrimonio possa avvenire aliunde, cioè, per esempio, anche per mezzo dei libri fiscali, in mancanza dei libri e delle scritture contabili prescritte” (Cass. Sez. V, 13/05/81). Rileva tuttavia che in questo caso la Corte postuma l’esistenza di parte della documentazione obbligatoria (quella fiscale) per cui si potrebbe pensare all’insistenza del reato in presenza di distruzione parziale della contabilità.

3 Pur essendo i moduli accertativi dell’Iva e delle imposte reddituali speculari, sembra opportuno precisare che le disposizioni normative in materia di imposta sul valore aggiunto di cui all’art. 55, c. 2, n. 1, D.P.R. n. 633/1972 diversamente dalla disposizione analoga dettata in tema di accertamento dei redditi di impresa dall’art. 39, c. 2, lett. c, DPR n. 600/1973, non disciplinano il caso in cui le scritture contabili siano indisponibili per causa di forza maggiore. In realtà, così come affermato da CIPOLLA G.M.. L’accertamento contabile e l’accertamento extracontabile negli artt. 54 e 55 DPR n. 633/1972, Riv. dir. trib. 2000, 6, 615, “gli artt. 39, comma 2 DPR n. 600/1973 e 55 possono integrarsi reciprocamente, colmando le lacune presenti in una delle norme in parola con le disposizioni dettate dall’altra norma”.

4 Sulla natura dell’accertamento induttivo e sulla sua conseguente legittima adozione in caso di indisponibilità della documentazione contabile per causa di forza maggiore, si rinvia a quanto affermato da CIPOLLA G.M., L’accertamento contabile e l’accertamento extracontabile negli artt. 54 e 55 DPR n. 633/1972, cit. L’autore, infatti, afferma “Giova qui chiarire che il riconoscimento all’accertamento induttivo di una natura sanzionatoria o parasanzionatoria non implica che, a monte della sanzione, vi sia necessariamente un comportamento illecito del contribuente. Se infatti si collega la sanzione dell’accertamento induttivo al comportamento contra legem del contribuente (il quale non ha tenuto affatto la contabilità o non l’ha tenuta in modo regolare) si deve pervenire alla conclusione che nessun comportamento illecito e, quindi, nessuna sanzione è configurabile nel caso di indisponibilità delle scritture per causa di forza maggiore. Se, invece, si ritiene – come sembra potersi ritenere – che le norme (tutte le norme) sull’accertamento induttivo hanno la funzione di indurre il contribuente a tenere correttamente le scritture contabili, si può sostenere che anche la disposizione dettata dall’art. 39, comma 2, lett. c) DPR n. 600/1973 ha, in senso generalissimo, natura sanzionatoria (o, comunque, parasanzionatoria).” Sul punto si rinvia, altresì, a Fantozzi A., Prospettive dell’accertamento nella riforma tributaria, in Riv. Guardia di Finanza, 1981, 10; Tinelli G., Riflessioni sulla prova per presunzioni nell’accertamento del reddito d’impresa, in Riv. dir. fin., 1986, I, 489

5 Si rinvia, altresì, alla sentenza della stessa Corte di Cassazione n. 15228 del 3 dicembre 2001. Sulla medesima linea cfr Corte di Cassazione, ordinanza n. 5213 del 30 marzo 2012.

6 In senso conforme anche la sentenza della Corte di Cassazione n. 13662 del 5 novembre 2001.