Cessioni di beni immobili o di aziende, cambia la plusvalenza ai fini reddituali: fine degli accertamenti basati sul valore dichiarato ai fini dell'imposta di registro

la delega fiscale interviene sulla prassi degli uffici di rettificare, ai fini reddituali, la plusvalenza dichiarata a seguito di cessione d’azienda (art. 86 del T.U. n. 917/86) ovvero a seguito di cessione di un bene immobili (art. 67, del T.U. n. 917/86) sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al D.P.R. n. 131/86

 

L’art. 5, comma  3, del D.Lgs. n.147 del 14 settembre 2015, in G.U. n.220 del 22 settembre 2015, in vigore dal 7 ottobre 2015, interviene sulla prassi degli uffici di rettificare, ai fini reddituali, la plusvalenza dichiarata a seguito di cessione d’azienda (art. 86 del T.U. n. 917/86) ovvero a seguito di cessione di un bene immobili (art. 67, del T.U. n. 917/86) sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al D.P.R. n. 131/86.

Pur se la modifica interviene su entrambi i versanti, in questo nostro intervento puntiamo l’attenzione sulla plusvalenza derivante dalla cessioni di immobili.

 

Il nuovo dettato normativo

Riportiamo il testo del nuovo dettato normativo.

Art.5, comma 3, del D.Lgs.n.147/2015

Gli articoli 58, 68, 85 e 86 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e gli articoli 5, 5-bis, 6 e 7 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonchè per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347”.

CESSIONI DI IMMOBILI

La questione non è certamente nuova ed è stata affrontata sia in sede di prassi che di giurisprudenza.

 

In sede di prassi

In sede di prassi, la circolare n. 18/2010, nel fissare dei paletti alla prosecuzione del contenzioso, ha di fatto indicato agli uffici una serie di elementi integrativi per meglio supportare la pretesa accertativa.

In particolare, la nota d’Agenzia invitava a coltivare il contenzioso qualora, “in sede di controllo, l’infedeltà del corrispettivo dichiarato sia sostenuta, oltre che dal mero riferimento allo scostamento dello stesso rispetto al prezzo mediamente praticato per immobili della stessa specie o similari, anche da ulteriori elementi presuntivi idonei ad integrare la prova della pretesa (quali, a titolo meramente esemplificativo, il valore del mutuo qualora di importo superiore a quello della compravendita, i prezzi che emergono dagli accertamenti effettuati con la ricostruzione dei ricavi sulla base delle risultanze delle indagini finanziarie, i prezzi che emergono da precedenti atti di compravendita del medesimo immobile)”.

 

In sede di giurisprudenza

In sede di giurisprudenza, da ultimo, con la sentenza n. 6666 dell’1 aprile 2015 (ud. 4 marzo 2015) la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito che nel caso di rettifica della plusvalenza reddituale per cessione di terreno edificabile, sulla base dell’accertamento effettuato ai fini dell’imposta di registro, è onere del contribuente dimostrare, sul versante reddituale, che il bene è stato ceduto ad un prezzo inferiore. La Corte, richiamando un proprio precedente pronunciamento (Sent. n. 17653 del 2014 ), ha affermato che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’amministrazione finanziaria è legittimata a procedere in via induttiva all’accertamento del reddito da plusvalenza a seguito di cessione di un terreno edificabile, sulla base dell’accertamento di valore effettuato in sede di applicazione dell’imposta di registro, e dunque presumendo la corrispondenza del prezzo incassato con il valore di mercato così accertato, essendo onere probatorio del contribuente superare (anche con ricorso ad elementi indiziari) detta presunzione anche quando il valore di mercato sia quello in tal modo accertato, perciò dimostrando di avere in concreto venduto ad un prezzo inferiore. E tale principio trova applicazione anche quando l’accertamento dell’imposta di registro sia divenuto definitivo a seguito di adesione del compratore (mentre la plusvalenza è accertata a carico del venditore)”.

Vanno comunque registrati ulteriori interventi che negavano legittimità agli accertamenti fondati, sic et sempliciter, sul valore definito ai fini del registro, ovvero, sul valore OMI (Cass. ord. n. 1972 del 10 febbraio 2012).

 

Brevi conclusioni

La norma di interpretazione autentica introdotta, che produce effetti anche sul contenzioso attualmente pendente, porta a verificare quali sono gli elementi che possono indurre l’Amministrazione finanziaria a proseguire il contenzioso.

Se sicuramente gli importi dei mutui contratti dagli acquirenti risultano superiori ai prezzi di acquisto dichiarati, possono costituire una spia, certamente se l’ufficio ha delle risultanze da indagini finanziarie difficilmente abbandonerà il contenzioso.

Nel caso in cui non sia l’ufficio a fare la prima mossa, ben potrà farla il contribuente, presentando istanza di autotutela in tutti i casi in cui l’accertamento risulti privi di qualsiasi ulteriore elemento, ovvero potrà valutare di richiedere una conciliazione giudiziale, nei casi in cui gli elementi presenti possono comunque portare ad una diversa quantificazione dell’imposta1.

 

6 novembre 2015

Roberto Pasquini e Davide Pazzini

 

1 Ricordiamo che, con l’art.9, del D.Lgs. n. 156 del 24 settembre 2015, in G.U.n.233 del 7 ottobre 2010, in vigore dall’1 gennaio 2016, il legislatore delegato, è intervenuto sulla conciliazione giudiziale, disciplinandola in maniera più organica, attraverso tre specifici articoli 48, 48-bis e 48-ter (fuori udienza, in udienza, e modalità di definizione e pagamento delle somme dovute), estendendola anche al secondo grado (con una riduzione delle sanzioni del 50%; resta ferma la sanzione del 40% del minimo di legge, se la conciliazione si perfeziona nel corso del primo grado di giudizio).Per quanto riguarda le spese di lite, l’art. 9, del D.Lgs. n. 156/2015 ha modificato l’art. 15, del D.Lgs. n. 546/1992. In particolare, il comma 2-octies, del citato articolo 15, del D.Lgs.n.546/92, prevede che qualora una delle parti abbia formulato una proposta conciliativa, non accettata dall’altra parte senza giustificato motivo, restano a carico di quest’ultima le spese del processo ove il riconoscimento delle sue pretese risulti inferiore al contenuto della proposta ad essa effettuata. Se è intervenuta conciliazione le spese si intendono compensate, salvo che le parti stesse abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazione.