Quando si vende un immobile entro cinque anni dall’acquisto, la plusvalenza è sempre tassata? Non necessariamente. Se si tratta della prima casa, l’esenzione IRPEF può scattare, ma a una condizione cruciale: conta dove si è vissuto, non solo cosa dice l’anagrafe. La Cassazione svela cosa fa davvero la differenza.
Plusvalenze immobiliari e abitazione principale: la Cassazione chiarisce
Le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di un’unità immobiliare urbana acquisita da meno di cinque anni in base a un titolo diverso dalla successione non costituiscono reddito tassabile nel caso in cui il cedente abbia effettivamente adibito l’immobile a propria abitazione principale. Ai fini dell’esenzione da imposizione il legislatore ha inteso attribuire esclusivo rilievo alla situazione di fatto, consistente nella dimora abituale in un determinato immobile, anche a prescindere dalle risultanze anagrafiche.
La Corte di Cassazione ha chiarito il concetto di abitazione principale ai fini della esenzione da tassazione per le plusvalenze da cessioni immobiliari.
Il caso: accertamento di plusvalenza su compravendita immobiliare
Nel caso in esame, l’Agenzia delle Entrate aveva emesso un avviso di accertamento con il quale recuperava a tassazione, ai fini IRPEF, la plusvalenza realizzata nel 2009 a seguito della cessione a titolo oneroso di un bene immobile acquistato l’anno precedente a un prezzo notevolmente inferiore.
A fondamento della propria pretesa l’Ufficio rilevava che l’immobile in questione non era stato adibito ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari, per cui doveva escludersi che la plusvalenza conseguita fosse esente da imposizione ai sensi dell’art. 67, comma 1, lettera b), del D.P.R. n. 917 del 1986.
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