JOBS ACT e riordino tipologie contrattuali: part-time, intermittente, a tempo determinato

E’ stato finalmente emanato il Decreto ‘Poletti’, attuativo del Jobs Act, un provvedimento omnibus di riordino delle diverse tipologie contrattuali subordinate ed a tempo determinato: analisi delle novità salienti del decreto con particolare attenzione ai contratti part-time, intermittente ed a tempo determinato.

 

Decreto attuativo Jobs Act: premessa

Il 24 giugno 2015, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 144 il decreto legislativo n. 81 del 15 giugno 2015 concernente la

“Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”,

meglio noto come decreto attuativo Jobs Act.

 

Il provvedimento in esame, come si desume dal titolo in Gazzetta, è stato predisposto in attuazione della normativa di delega di cui all’articolo 1, comma 7, alinea e lettere a), b), d), e), h) ed i), della legge 10 dicembre 2014, n. 183, laddove si prevedeva l’adozione di un testo organico semplificato sulle tipologie contrattuali ed i rapporti di lavoro, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi, in coerenza con la regolazione dell’Unione europea e le convenzioni internazionali.

 

Più precisamente la delega prevedeva:

  • alla lettera a), il monitoraggio (individuazione ed analisi) di tutte le forme contrattuali esistenti, al fine di valutarne l’effettiva coerenza con il tessuto occupazionale e con il contesto produttivo, nazionale ed internazionale, in funzione di interventi di semplificazione, modifica o superamento delle medesime tipologie contrattuali;
  • alla lettera b), la promozione, in coerenza con le indicazioni europee, del contratto a tempo indeterminato come forma comune di contratto di lavoro, rendendolo più conveniente rispetto agli altri tipi di contratto, in termini di oneri diretti e indiretti;
  • alla lettera d), il rafforzamento degli strumenti per favorire l’alternanza tra scuola e lavoro;
  • alla lettera e), la revisione della disciplina delle mansioni, nell’ipotesi di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione, che contemperi l’interesse dell’impresa all’utile impiego del personale, con quello del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita ed economiche.

 

Ad ogni buon fine, si rammenta che l’attuale ordinamento prevede il divieto di “demansionamento”, a pena di nullità di ogni atto contrario, fermo restando le ipotesi (di genesi giurisprudenziale) correlate a motivi di salute.

  • alla lettera h), l’ampliamento delle possibilità di ricorso all’istituto del lavoro accessorio per le attività lavorative discontinue ed occasionali nei diversi settori produttivi;
  • alla lettera i), infine, l’abrogazione esplicita delle disposizioni incompatibili, al fine di eliminare duplicazioni normative e difficoltà interpretative ed applicative.

Esaminiamo, in questa prima parte, in particolare, le novità salienti relativamente ai contratti part-time, intermittente e a tempo determinato.

JOBS ACT e riordino delle tipologie contrattuali

Decreto legislativo 81/2015 e part time

La disciplina del lavoro a tempo parziale è descritta nella sezione I del Capo II, dagli articoli 4 a 12 riproponendo a grandi linee quanto già disposto dal decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61, che, conseguentemente, viene abrogato.

 

Introduzione del lavoro supplementare

La prima novità di rilevo è l’introduzione del lavoro supplementare (lavoro prestato in più rispetto a quello concordato) che il datore di lavoro, pur se il contratto collettivo applicato non disciplini questa novità, può richiedere al lavoratore in misura non superiore al 25% delle ore di lavoro settimanali concordate.

Tali ore verranno retribuite con una maggiorazione onnicomprensiva del 15%.

 

Clausole elastiche

Altro interessante aspetto è la presenza delle clausole elastiche: la variazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa ovvero la variazione in aumento della sua durata, che non può eccedere il limite del 25% della normale prestazione annua a tempo parziale.

Tale variazione comporta il diritto del lavoratore ad una maggiorazione onnicomprensiva del 15% della retribuzione per le ore di cui è variata la collocazione o prestate in aumento.

Tali clausole possono essere pattuite per iscritto, nel rispetto di quanto previsto dai contratti collettivi, ovvero anche in assenza di una disciplina collettiva autorizzatoria; nel qual caso saranno pattuite sempre per iscritto innanzi alle Commissioni di certificazione (di cui al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, recante “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30”).

 

Diritti dei malati affetti da patologie oncologiche o croniche

Il decreto in argomento estende, inoltre, il diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale, già previsto per il lavoratore affetto da patologie oncologiche, anche ai lavoratori del settore pubblico e privato affetti da gravi patologie cronico-degenerative, per i quali residui una ridotta capacità lavorativa, anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una commissione medica istituita presso l’azienda unità sanitaria locale territorialmente competente.

Anche i familiari (coniuge, figli e genitori) delle persone affette da dette patologie, come già avviene oggi per i familiari dei soggetti affetti da patologie oncologiche, hanno un titolo di priorità nella trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.

 

Congedo parentale

Altra novità è la possibilità concessa al lavoratore di chiedere, per una sola volta, in luogo del congedo parentale od entro i limiti del congedo ancora spettante, la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in part-time, con una riduzione d’orario non superiore al 50%.

 

Decreto legislativo 81/2015 e lavoro intermittente

comunicaizone obbligatoria intermittenti 2019La normativa in questione è dettata nella sezione II del Capo II, dagli articoli 13 a 18.

Il contratto di lavoro intermittente, previsto per soggetti con meno di 24 anni di età, purché le prestazioni lavorative siano svolte entro il venticinquesimo anno, e con più di 55 anni, consente al lavoratore di porsi a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi, anche con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno.

Il periodo massimo per questo tipo di contratto, fatta eccezione per i settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo, è di 400 giornate di effettivo lavoro nell’arco di 3 anni solari.

Se si sfora, il relativo rapporto si trasforma in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato.

Il lavoratore intermittente, quando non viene utilizzata la sua prestazione, non matura alcun trattamento economico e normativo, salvo che abbia garantito al datore di lavoro la propria disponibilità a rispondere alle chiamate, nel qual caso gli spetta l’indennità di disponibilità di cui all’articolo 16 del citato decreto legislativo 81/2015.

Il contratto di lavoro intermittente, stipulato sempre in forma scritta, non trova applicazione nei rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni ed è, inoltre, vietato:

  • per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero,
  • presso unità produttive nelle quali sono stati operati, entro i sei mesi precedenti, licenziamenti collettivi di lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente, ovvero sono operanti una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di cassa integrazione, che interessano lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente;
  • ai datori di lavoro che non hanno effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori 1.

 

 

Decreto legislativo 81/2015 e lavoro a tempo determinato

Sul lavoro a tempo determinato troviamo la relativa disciplina nel Capo III, dagli articoli 19 a 29.

Il contratto a tempo determinato è stato profondamente modificato con il decreto-legge 20 marzo 2014, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 maggio 2014, n.78 recante “disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese” e, quindi, l’attuale intervento si pone l’obiettivo di semplificare la disciplina in materia e di riportare la normativa relativa:

  • a questo tipo di contratto anche nelle start-up, oggi contenuta nel decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 recante “ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese”;
  • all’impugnazione del contratto di lavoro a tempo determinato illegittimo e le relative conseguenze sanzionatorie, oggi prevista dalla legge 4 novembre 2010, n. 183 recante “Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro”.

 

Durata del contratto di lavoro a tempo determinato

In linea generale possiamo dire che la durata di questo tipo di contratto non può eccedere i 36 mesi.

Se si va oltre, per effetto di un unico contratto o di una successione di contratti, lo stesso si trasforma in contratto a tempo indeterminato.

L’eccezione è datata da un ulteriore contratto fra gli stessi soggetti, della durata massima di 12 mesi, che può essere stipulato presso la direzione territoriale del lavoro competente per territorio.

Il mancato rispetto della descritta procedura o il superamento del termine stabilito nel medesimo contratto ne determina la sua trasformazione in contratto a tempo indeterminato.

La medesima situazione si verifica:

  • quando il lavoratore sia riassunto a tempo determinato entro 10 giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a 6 mesi,
  • ovvero 20 giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore a 6 mesi.

Disposizione non applicabile nei confronti dei lavoratori impiegati nelle attività stagionali individuate con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi e alle imprese start-up, almeno per il periodo di quattro anni successivo alla costituzione della società.

Nel caso comunque il rapporto di lavoro dovesse continuare oltre il termine stabilito (es. 6 mesi), il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione pari al 20% fino al decimo giorno successivo e al 40% per ciascun giorno ulteriore, fermo restando che la continuazione del rapporto oltre i 30 giorni in caso di contratto di durata inferiore a 6 mesi, ovvero oltre i 50 giorni negli altri casi, ne determina la sua trasformazione in contratto a tempo indeterminato.

 

Ricorso a lavoratori a tempo determinato: il limite del 20%

retribuzione lavoratori stranieri privi di conto correnteIl datore di lavoro non può ricevere da lavoratori a tempo determinato più del 20% delle prestazioni lavorative necessarie, con la precisazione che, ai fini del computo, gli eventuali decimali superiori a 0,5 consentono l’arrotondamento all’unità superiore.

Inoltre, nel caso di inizio dell’attività nel corso dell’anno, il limite percentuale si computa sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al momento dell’assunzione.

Se detto limite percentuale viene violato, resta esclusa la trasformazione dei contratti interessati in contratti a tempo indeterminato, ma ne consegue solo l’applicazione di una sanzione amministrativa.

 

Il limite del 20% non è applicabile:

  • nella fase di avvio di nuove attività, per periodi definiti dai contratti collettivi;
  • da imprese start-up, almeno per il menzionato periodo di quattro anni;
  • per lo svolgimento delle già dette attività stagionali;
  • per specifici spettacoli ovvero programmi radiofonici o televisivi;
  • per sostituzione di lavoratori assenti;
  • con lavoratori di età superiore a 50 anni;
  • ai contratti stipulati tra università private, istituti pubblici ed enti privati di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere attività di insegnamento, di ricerca scientifica o tecnologica, tra istituti della cultura di appartenenza statale ovvero enti, pubblici e privati, derivanti da trasformazione di precedenti enti pubblici, vigilati dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ad esclusione delle fondazioni di produzione musicale, e lavoratori impiegati per soddisfare esigenze temporanee legate alla realizzazione di mostre, eventi e manifestazioni di interesse culturale.

 

Impugnazione del contratto a tempo determinato illegittimo

Il contratto a tempo determinato ritenuto illegittimo deve essere impugnato entro 120 giorni dalla sua cessazione.

 

Vale la pena, infine, riportare quanto dispone il 3° comma dell’articolo 28:

“Nei casi di trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno a favore del lavoratore stabilendo un’indennità’ onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’articolo 8 della legge n. 604 del 1966. La predetta indennità ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia con la quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro”.

 

 

Il Jobs Act: le opinioni 

Come detto, i pareri sulla bontà del provvedimento non sono univoci, nel rispetto delle dinamiche del confronto politico, purtuttavia, un professionista, nei giudizi, deve attenersi ai dati, in tal senso il 10 luglio 2015, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha pubblicato, nel sito istituzionale, la nota flash (a 40 giorni) relativa ai  tratti dal sistema informativo delle Comunicazioni Obbligatorie (il SISCO).dati ufficiali sui movimenti di rapporti di lavoro nel mese di maggio,

In sintesi, nel mese di maggio 2015 il numero di attivazioni di nuovi contratti di lavoro, in tutti i settori di attività economica, è stato pari a 934.258.

Di queste:

  • 179.643 (circa il 19%), sono contratti a tempo indeterminato,
  • 643.032 sono contratti a tempo determinato,
  • 19.728 sono contratti di apprendistato, 36.376 sono collaborazioni
  • e 55.479 sono le forme di lavoro classificate nella voce “Altro”.

Il mercato del lavoro parrebbe, quindi, dati alla mano, lentamente rimettersi in movimento, anche se analisi puntuali possono essere fatte solo con dati storici consolidati a medio termine.

Ad adiuvandum, occorre, poi, segnalare ulteriori tre schemi di decreto legislativo, approvati all’esame preliminare ed attualmente all’esame delle Commissioni parlamentari, precisamente:

  • l’Atto Governo 176, recante disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure ed adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di lavoro e pari opportunità;

  • l’Atto Governo 177, recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizio per il lavoro e di politiche attive;

  • l’Atto Governo 179, recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in deroga in costanza di rapporto di lavoro.

 

In attesa dell’esame definitivo da parte del Governo, i testi sono, comunque, disponibili e liberamente consultabili nel sito del Senato e della Camera dei Deputati: sezione attività non legislativa.

 

20 luglio 2015

Fabrizio Stella e Vincenzo Mirra

 

NOTE

1 Si veda anche, degli stessi autori, in questa rivista, “Fondo di solidarietà per i lavoratori in somministrazione al via!”.