Permanenza dei verificatori e corretta modalità di acquisizione dei dati bancari

recentemente la Cassazione ha confermato due pareri sfavorevoli al contribuente: sono validi i dati raccolti dai verificatori con verifiche che eccedono i 30 giorni previsti dallo Statuto del contribuente e sono validi i dati acquisiti dal sistema bancario anche in assenza di una corretta procedura autorizzativa

 

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7584, depositata il 15 aprile 2015, ha delineato il proprio orientamento giurisprudenziale in ordine a due rilevanti questioni, relative sostanzialmente alla valenza presuntiva e all’utilizzabilità, in sede di accertamento, di elementi acquisiti nel corso di ispezioni fiscali, con l’inosservanza da parte degli organi preposti delle specifiche regole procedurali.

La prefata pronuncia, in estrema sintesi, ha avuto ad oggetto:

  • l’utilizzabilità, nell’ambito del procedimento amministrativo di accertamento tributario, dei dati acquisiti dai verificatori presso la sede del contribuente, successivamente al decorso del termine massimo di permanenza di 30 giorni, così come individuato dalla Legge n. 212/2000 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente), all’art. 12, c. 5;

  • la valenza di presunzioni legali, ai sensi dell’art. 32, c. 1, n. 2, del D.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 51, c. 2, n. 2, del D.P.R. n. 633/1972, dei dati bancari/finanziari non acquisiti secondo la procedura disciplinata dalle medesime disposizioni normative, bensì rinvenuti nel corso delle attività di ispezione documentale.

 

Con riguardo al primo punto, occorre preliminarmente richiamare quanto disciplinato dallo Statuto dei Diritti del Contribuente, così come integrato dall’art. 7, c. 2, lett. c, D.L. 13 maggio 2011, n. 70, in ragione del quale:

  • la permanenza degli operatori civili o militari dell’Amministrazione Finanziaria, dovuta a verifiche presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell’indagine individuati e motivati dal dirigente dell’ufficio;

  • gli operatori possono ritornare nella sede del contribuente, decorso tale periodo, per esaminare le osservazioni e le richieste eventualmente presentate dal contribuente dopo la conclusione delle operazioni di verifica ovvero, previo assenso motivato del dirigente dell’ufficio, per specifiche ragioni;

  • il periodo di permanenza presso la sede del contribuente, così come l’eventuale proroga ivi prevista, non può essere superiore a quindici giorni lavorativi contenuti nell’arco di non più di un trimestre, in tutti i casi in cui la verifica sia svolta presso la sede di imprese in contabilità semplificata e lavoratori autonomi1;

  • ai fini del computo dei giorni lavorativi, devono essere considerati i giorni di effettiva presenza degli operatori civili o militari dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente2.

In relazione a tale questione, la Corte di Cassazione, con la citata sentenza n. 7584/2015 (ribadendo quanto già emerso nella precedente pronuncia del 29 novembre 2013, n. 26732) ha affermato che i termini massimi di permanenza presso la sede economica del contribuente, previsti dalla disposizione de qua, pur essendo posti a tutela dei cittadini e volti a limitare il disagio arrecato dalle autorità preposte nell’esecuzione delle attività ispettive di natura tributaria, hanno una valenza ordinatoria e non perentoria e, quindi, l’eventuale inosservanza non comporta la nullità dei relativi atti. In altre parole, in tema di verifiche tributarie, il termine di permanenza degli operatori civili o militari dell’Amministrazione Finanziaria presso la sede del contribuente è meramente ordinatorio, in quanto nessuna disposizione lo dichiara perentorio, o stabilisce la nullità degli atti compiuti dopo il suo decorso, nè la nullità di tali atti può ricavarsi dalla ratio delle disposizioni in materia, apparendo sproporzionata la sanzione del venir meno del potere accertativo fiscale a fronte del disagio arrecato al contribuente dalla più lunga permanenza degli agenti dell’Amministrazione.

In particolare, detta affermazione si basa sul consolidato principio generale secondo cui i termini di conclusione del procedimento amministrativo devono, salva espressa previsione contraria, essere considerati come ordinatori e non perentori e sulla constatazione che gli artt. 152 e 156 c.p.c., traducono principi generali applicabili a tutti i procedimenti, salvo che per essi non sia diversamente disposto o che la norma generale non possa trovare applicazione per incompatibilità.

In conclusione, l’interpretazione della Corte di Cassazione, in termini più generali, appare fondarsi su linee tese a ritenere esistente la nullità degli atti di accertamento per la violazione di norme dello Statuto del Contribuente solo laddove espressamente previsto (Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit), poiché:

  • il Legislatore, nel disciplinare alcuni aspetti procedimentali a carico dell’Amministrazione Finanziaria, qualora lo ha ritenuto rilevante, ha espressamente sancito la nullità dei provvedimenti adottati in violazione di specifiche prescrizioni, come, ad esempio, nei casi di cui agli artt. 6, c. 53 e 11, c. 24 della Legge n. 212/2000;

  • le norme contenute nello Statuto del contribuente non hanno rango costituzionale né possono essere ritenute norme interposte tra la Costituzione e le leggi ordinarie dal punto di vista della gerarchia delle fonti, con la conseguenza che, in assenza di una espressa comminatoria di nullità, l’inosservanza delle disposizioni ivi contenute non comporta l’invalidità dell’avviso di accertamento.

 

In relazione, invece, al secondo punto, si evidenzia, come è ben noto, che i citati articoli di legge prevedono (in riferimento alle imposte dirette e all’I.V.A.) che:

  • gli importi a qualsiasi titolo accreditati nell’ambito dei rapporti intrattenuti e delle operazioni effettuate dai contribuenti con gli operatori finanziari, sono posti a base della ricostruzione di qualsiasi categoria reddituale quali componenti positivi di reddito (proventi, ricavi, compensi…), qualora il contribuente non dimostri di averne tenuto conto ai fini della determinazione del reddito stesso o che le operazioni relative sono fiscalmente irrilevanti;

  • gli importi riscossi, non risultanti dalla contabilità e, quindi, soltanto nei riguardi dei contribuenti soggetti ad obblighi contabili, a queste medesime condizioni e se non ne viene indicato il beneficiario, si considerano ricavi o compensi e sono quindi utilizzabili per la rettifica del reddito d’impresa o di lavoro autonomo;

  • versamenti non giustificati sono considerati “vendite in nero” ed i prelevamenti “acquisti in nero”, sempre che il contribuente non dimostri di averne tenuto conto nelle dichiarazioni ovvero che non si riferiscono ad operazioni imponibili.

Secondo consolidato orientamento, la valenza di presunzione legale relativa attribuita ai dati bancari è subordinata all’acquisizione degli stessi secondo le vigenti norme procedurali e, quindi, previa autorizzazione del direttore centrale dell’accertamento dell’Agenzia delle Entrate o del Direttore Regionale della stessa, ovvero, per il Corpo della Guardia di Finanza, del Comandante Regionale, ovvero trasfusi dalle risultanze di indagini penali ai sensi degli artt. 63 del D.P.R. n. 633/1972 e 33 del D.P.R. n. 600/1973, come modificati dall’art. 23 del D. Lgs. n. 74/2000.

In altre parole, gli eventuali estratti conto bancari rinvenuti dai verificatori nel corso delle ordinarie attività di ispezione documentale presso l’esercizio economico del contribuente non potrebbero essere posti a base del meccanismo presuntivo (juris tantum) di ricavi o compensi secondo il dettame normativo poc’anzi delineato, pur potendo essere comunque utilizzati per la ricostruzione dell’imponibile, quali elementi probatori o presunzioni, semplici (dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza) ovvero “semplicissime”, in relazione alla metodologia utilizzata (analitico-induttivo ex art. 39, comma 1, lett. d del D.P.R. n. 600/1973; induttivo puro o extracontabile ex art. 39, comma 2 del D.P.R. n. 600/1973).

Al riguardo, la Corte di Cassazione (con la richiamata sentenza n. n. 7584, depositata il 15 aprile 2015) ribalta quanto in precedenza evidenziato, affermando che le presunzioni legali scattano a prescindere dalle modalità di acquisizione dei dati bancari.

26 maggio 2015

Nicola Monfreda

 

1 Con riferimento alle disposizioni inerenti la contabilità semplificata, si reputa opportuno rammentare che il comma 1 dell’articolo 18 del D.P.R. n. 600/1973 è stato modificato dal più volte menzionato D.L. n. 70/2011; pertanto, per le società in nome collettivo, le società in accomandita semplice e le società ad esse equiparate (ai sensi dell’art.5 del D.P.R. n. 917/1986) e per le persone fisiche che esercitano imprese commerciali ai sensi dell’art. 55 del D.P.R. n. 917/1986 che abbiano conseguito ricavi in un anno intero non superiori ad € 400.000 per le imprese aventi per oggetto prestazione di servizi ed € 700.000 per le imprese aventi per oggetto altre attività, il regime contabile naturale è quello semplificato. In precedenza, i limiti di cui sopra erano, rispettivamente, di € 309.874,14 ed € 516.456,90.

2 Sul punto occorre chiarire che (prima delle modifiche apportate dal menzionato D.L. n. 70/2011) le disposizioni inerenti la permanenza dei verificatori non esplicitavano se tali termini erano da intendersi con riguardo alla durata complessiva della verifica tributaria o solo con riferimento alla presenza degli organi accertatori presso la sede del contribuente.

Al riguardo, sia la prassi operativa dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza che la giurisprudenza hanno abbracciato la linea interpretativa tesa a ritenere applicabili le disposizioni in argomento alla sola presenza effettiva presso l’attività economica ispezionata.

Infatti, la stessa Corte di Cassazione (con la sentenza del 15.02.2013 n. 3762) ha affermato che lo Statuto del Contribuente determina la durata massima della permanenza degli operatori civili o militari dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente quando dovuta a verifiche. Il termine in questione, quindi, assume rilevanza solo a seguito della somma dei giorni lavorativi di effettiva permanenza presso la sede del contribuente e non sulla base dei giorni trascorsi tra l’inizio e la fine delle operazioni di verifica, computando quindi anche quelli impiegati per verifiche eseguite al di fuori della sede del contribuente. Lo stesso organo, inoltre, nella sentenza n. 23595 dell’11.11.2011 aveva chiarito che “il quinto comma dell’art. 12 della Legge 27 luglio 2000, n. 212 si riferisce ai soli giorni di effettiva attività lavorativa svolta presso la sede del contribuente, escludendo, quindi, dal computo quelli impiegati per verifiche ed attività eseguite in altri luoghi; né, in materia, assumono alcuna rilevanza le disposizioni, peraltro di natura meramente amministrativa, assunte – come il d.m. Finanze 30 dicembre 1993 – per mere finalità di autorganizzazione e di coordinamento della capacità operativa dell’Amministrazione finanziaria da destinare all’azione accertatrice”.

3 L’art. 6, c. 5 della Legge n. 212/2000 prevede l’obbligo per l’Amministrazione Finanziaria di invitare il contribuente, a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici, a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta, prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione. Il legislatore, a tal proposito, prevede espressamente che “sono nulli i provvedimenti emessi in violazione delle disposizioni di cui al presente comma.”

4 Il comma 2 dell’articolo 11 dello Statuto dei contribuenti dispone la nullità dei provvedimenti, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio, emanati dall’Amministrazione Finanziaria in difformità dalla risposta, scritta e motivata, notificata al contribuente a seguito dell’attivazione, da parte dello stesso, dell’istituto dell’interpello.