La possibilità di richiedere la rimessione in termini: contumace involontario, ignoranza del processo, tutela giurisdizionale

nel processo tributario, l’ammissibilità dell’impugnazione tardiva, oltre il termine lungo della pubblicazione della sentenza, presuppone che la parte dimostri l’ignoranza del processo, ossia di non averne avuto alcuna conoscenza per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza

 

Il pronunciamento recente

Con la sentenza n. 3304 del 19 febbraio 2015, la Corte di Cassazione ha avuto occasione di pronunciarsi sulla possibilità per la parte processuale di essere rimessa in termini e, dunque, di partecipare al procedimento innanzi alle Commissioni tributarie, se dimostri l’ ignoranza del processo.

Assieme al principio di certezza delle situazioni giuridiche, infatti, deve essere sempre tutelato il diritto di difesa, il quale costituisce l’essenza ed il fine ultimo del processo.

La Cassazione, nella recente pronuncia indicata, ha ribadito il principio per cui “nel processo tributario, l’ammissibilità dell’impugnazione tardiva, oltre il termine lungo della pubblicazione della sentenza, presuppone che la parte dimostri l’ignoranza del processo, ossia di non averne avuto alcuna conoscenza per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza.

Una situazione di “ignoranza” non è stata reperita nel caso in esame, in cui al ricorrente costituito in giudizio non poteva “ritenersi ignota la proposizione dell’azione”, nè assumeva rilievo “l’omessa comunicazione della data di trattazione … in mancanza della quale la decisione assume valore definitivo in conseguenza del principio del giudicato”.

Vediamo come questa sentenza si inserisce nel dibattito giurisprudenziale e dottrinale di riferimento.

Il “contumace involontario”: una posizione (ancora) in cerca di un giusto collocamento

Ai sensi del secondo comma dell’art. 327 c.p.c., il contumace (ossia colui che non si costituisce in giudizio, pur avendo l’onere di farlo) per essere rimesso in termini è tenuto a dimostrare alternativamente la nullità dell’atto di citazione ovvero della sua notificazione e, di conseguenza, la mancata conoscenza del processo a causa di quella stessa nullità.

Un orientamento della Cassazione si è, invece, espresso in senso contrario, affermando che l’avvenuta conoscenza del processo da parte del contumace, per il rilievo pubblicistico della decadenza che ne deriva, può essere accertata anche d’ufficio.

Quid iuris nel processo tributario?

Come noto, il procedimento dinanzi alle Commissioni tributarie è spesso terra d’elezione delle coordinate ermeneutiche di fondo tracciate nel processo civile; per tale ragione, si cercheranno di evidenziare le principali analogie e differenze tra i due procedimenti.

Partiamo dalle norme del decreto sul contenzioso tributario.

Ai sensi dell’art. 31 del D. Lgs. 546/92 la segreteria della commissione tributaria dà comunicazione alle parti costituite della data di trattazione della controversia almeno trenta giorni liberi prima dell’udienza. La regolare costituzione del contraddittorio è un principio fondamentale del processo in generale; nel processo tributario, in particolare, la comunicazione dell’avviso di trattazione rappresenta un indefettibile presupposto processuale, in difetto del quale la sentenza eventualmente pronunciata è nulla.

L’art. 38, poi, dispone che ciascuna parte, successivamente all’emanazione della sentenza, possa abbreviare i termini di impugnazione, provvedendo direttamente alla notificazione della sentenza alle altre parti; ove ciò non accada, troverà applicazione l’articolo 327 comma 1 c.p.c., il quale dispone che “indipendentemente dalla notificazione, l’appello, il ricorso per cassazione e la revocazione per i motivi indicati nei numeri 4 e 5 dell’articolo 395 non possono proporsi dopo decorsi sei mesi dalla pubblicazione della sentenza”.

Nel processo tributario si avrà, dunque, un termine d’impugnativa “breve”, di sessanta giorni, che decorre ex articolo 51 comma 1, dalla notifica della sentenza e un termine di impugnativa “lungo” di sei mesi (più la eventuale sospensione feriale dei termini) che decorre, ex articolo 327 comma 1 c.p.c., dalla sua pubblicazione, coincidente con il deposito in segreteria, indipendentemente dalla notificazione.

Oltre tali termini, si avrà decadenza e la parte non potrà più impugnare la sentenza, salvo che non riesca a dimostrare che la contumacia nel precedente grado di giudizio sia stata involontaria ed incolpevole: solo sussistendo queste condizioni, potrà essere rimesso in termini.

Dunque, l’analisi si sposta sul profilo della sussistenza di “valide ragioni” a sostegno della rimessione in termini: la Cassazione, sul punto, ha seguito un’impostazione rigorosa, interrotta di tanto in tanto, da singole pronunce di segno contrario.

La tesi tradizionale: l’“ignoranza del processo”quale unica esimente per la rimessione in termini

La posizione della Suprema Corte, in merito al tema della decorrenza dei termini di impugnazione e della conoscenza legale del processo, come detto, si è attestata su indirizzi interpretativi rigorosi.

Anche la sentenza in commento conferma tale linea di pensiero, laddove ritiene che la parte non costituita che dimostri di non avere avuto conoscenza del processo in dipendenza della nullità della notifica dell’atto introduttivo ovvero della fissazione dell’udienza è ammessa a contestare la pronuncia resa nei propri confronti qualora sussista una situazione di sostanziale “ignoranza” dell’esistenza del processo.

La prova inerente la mancata conoscenza del procedimento, pertanto, rappresenta una circostanza esimente che non può ricorrere logicamente laddove, ad esempio, la parte sia costituita.

In relazione alla novella di cui alla legge n. 69/2009, la Suprema Corte ha avuto modo di precisare poi che, per le cause cui non risulta applicabile l’istituto della remissione in termini per come modificato dall’art. 153 comma 2 c.p.c., deve ritenersi posticipata la decorrenza del termine di impugnazione al momento di effettiva conoscenza della parte che non abbia ricevuto notizia legale della fissazione dell’udienza ovvero della comunicazione del dispositivo.

La Cassazione abbraccia un’ottica rigorosa sul presupposto che il complesso sistema delle impugnazioni è inevitabilmente collegato al principio dell’intangibilità del giudicato ed alla certezza dei rapporti giuridici: si invoca il giusto bilanciamento fra le esigenze pubblicistiche dell’inviolabilità del diritto alla difesa e del principio di certezza delle situazioni giuridiche, come si è già osservato all’inizio di questo commento.

Al fine di garantire il corretto esercizio dell’amministrazione della giustizia nonché l’efficacia e l’autorità della cosa giudicata, la possibilità di contestare la decisione assunta dal giudice e la conseguente maturazione del giudicato formale devono riconoscersi esclusivamente in casi particolari e di effettiva carenza di conoscenza del processo.

Vediamo che significa in concreto.

A parere della Suprema Corte, ai fini dell’accertamento positivo di tale conoscenza, è sufficiente che sia nota la proposizione del ricorso (si pensi alla notifica dell’atto d’appello).

L’omissione della comunicazione della data dell’udienza di discussione comporta, invece, la nullità della sentenza da far valere con tempestiva impugnazione: la parte a cui sia stato notificato l’atto introduttivo del processo ha l’onere di seguirne lo svolgimento successivo, anche ai fini della decorrenza del termine lungo d’impugnazione decorrente dal deposito della sentenza (cfr. Corte di Cassazione, ordinanza n. 405 del 23/03/2001).

La comunicazione del dispositivo, invece, è un atto esterno rispetto alla sentenza e non influisce sulla sua esistenza, mentre la pubblicazione della sentenza è un atto senza il quale la sentenza non viene a esistenza: ne deriva che, mentre la mancata pubblicazione è un fattore d’inesistenza della sentenza, la mancata comunicazione de qua, pur doverosa alle parti costituite, assurge a situazione patologica del processo, che non impedisce il raggiungimento del risultato del giudicato, al quale il processo è preordinato, e non assurge a condizione necessaria per far scattare il requisito di non conoscenza di cui all’articolo 38 terzo comma, del D.lgs. 546/92.

La scelta interpretativa della Suprema Corte conferma che nell’ordinamento processuale è necessario che le sentenze divengano immutabili entro un arco di tempo circoscritto, indipendentemente dalla comunicazione processuali degli organi ausiliari.
In sostanza, la comunicazione del segretario della Commissione tributaria del dispositivo della sentenza alla parte costituita ex articolo 37 del D.lgs. 546/92 nel termine ordinatorio di dieci giorni dalla pubblicazione della sentenza, ha un valore meramente informativo, adempiendo ad una funzione informativa esterna al procedimento di pubblicazione, di cui non costituisce elemento costitutivo né requisito d’efficacia.

Qualora occorressero entrambe le previste condizioni, ossia:

1) la nullità della notificazione del ricorso;

2) l’omessa comunicazione dell’avviso di trattazione;

la parte ignara del processo può “impugnazione tardiva”, comunque entro sei mesi dall’avvenuta conoscenza della pronuncia, anziché dalla precedente pubblicazione della medesima. In tal caso, sarà cura della parte che impugna “tardivamente” la pronuncia fornire la prova della nullità della notificazione del ricorso introduttivo e anche della mancata conoscenza del processo a causa di siffatta nullità.

Inoltre, sempre nell’ipotesi in cui non si renda applicabile l’articolo 327, 1° comma, c.p.c., se è notificata la sentenza alla parte non costituita, si è sostenuto, in dottrina, che ciò non comporta l’operatività del termine breve (poiché quest’ultimo presuppone la decorrenza di quello semestrale), ma dal giorno di detta notifica o comunque dal giorno dell’acquisita conoscenza del processo decorre il termine lungo d’impugnazione, essendosi verificata la conoscenza del processo (cfr. Corte di Cassazione sentenze nn. 4196/1990; 8622/2003).

La tesi minoritaria fa leva sul principio di effettività della tutela giurisdizionale

La Cassazione, in una pronuncia sostanzialmente rimasta isolata (cfr. Corte di Cassazione sentenza n. 6048/2013) ha assunto un atteggiamento interpretativo critico nei confronti dell’orientamento consolidato in materia di rimessione in termini.

Secondo l’art. 38 D.Lgs. 546/1992, come visto, è rimessa in termini ai fini dell’impugnazione la parte “non costituita” che dimostri di non avere avuto conoscenza del processo per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione d’udienza; ad avviso della dottrina, essa sarebbe praticamente di impossibile applicazione al ricorrente nel processo tributario, risultando improbabile che nel suo caso possano verificarsi entrambe le condizioni della nullità della notificazione del ricorso (atteso che è sempre il contribuente ad iniziare il giudizio) e della comunicazione dell’avviso di trattazione della causa.

Proprio in considerazione di questo ridotto perimetro applicativo della norma in esame che la Corte, nel caso qui considerato – in cui andava vagliato se fosse stato rispettato il principio di effettività della tutela giurisdizionale per la parte cui non era stata comunicata né la data di trattazione del ricorso né il deposito della sentenza – ha ritenuto di non considerare utilizzabile un’interpretazione estensiva del terzo comma dell’art. 38 del d.lgs. n. 546 del 1992, e di fare invece diretta applicazione, al suo posto, e sostanzialmente assorbendolo, del secondo comma dell’art. 153 c.p.c., giustificandone, peraltro, l’applicazione retroattiva, in base alla considerazione che esso è espressione del principio di effettività della tutela giurisdizionale contenuto nell’art. 111 della Costituzione e nell’art. 6 della Carta Europea dei diritti dell’Uomo, da intendere nel senso che il diritto alla difesa ed all’attiva partecipazione al processo non può essere vanificato da omissioni degli Uffici pubblici (in questo caso, della segreteria della Commissione tributaria che ha omesso di effettuare le prescritte comunicazioni).

Attesa anche la circostanza che si tratta di una sentenza recente, potrebbe trattarsi di uno spiraglio a favore della parte che lamenta, appunto, una mancanza di effettività della tutela.

 

Conclusioni

In sostanza, al di là delle aperture che pure si riscontrano in giurisprudenza, appare evidente, stante quanto sopra detto in ordine al dovere di vigilanza sulle sorti del ricorso a cura di chi abbia chiesto la tutela, che il comportamento colpevole della parte che, essendo a conoscenza della pendenza della controversia, non si sia adoperata per conoscere le sorti degli atti e le vicende del processo, esclude il requisito della non imputabilità dalla decadenza e, di conseguenza, l’ammissibilità dell’impugnazione tardiva.

10 aprile 2015

Martino Verrengia1

1 Il presente scritto è a titolo personale e non vincola in ogni caso l’Amministrazione di appartenenza