Contribuente minimo e opzione per il regime ordinario

i contribuenti di minori dimensioni che possono accedere ai regimi semplificati possono optare per l’utilizzo del regime contabile ordinario con liquidazione dell’IVA, tuttavia devono fare attenzione perchè l’opzione è vincolante per 3 anni

 

Il nuovo regime forfetario introdotto e disciplinato dalla legge di Stabilità del 2015 (art. 1, cc. 54 – 89) è naturale, nel senso che il contribuente in presenza delle condizioni previste dalla legge vi accede naturalmente. E’ possibile, però, optare per il regime ordinario e tale possibilità è disciplinata dal comma 70 di cui alla citata legge.

La disposizione così prevede: I contribuenti che applicano il regime forfetario possono optare per l’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto e delle imposte sul reddito nei modi ordinari. L’opzione, valida per almeno un triennio, è comunicata con la prima dichiarazione annuale da presentare successivamente alla scelta operata”.

Dalla lettura della norma si desumono due principi. In primis l’opzione si manifesta tramite il comportamento concludente, cioè avendo riguardo agli atti posti materialmente in essere dal contribuente. Infatti, la successiva indicazione con la prima dichiarazione Iva annuale ha valore di mera comunicazione. In secondo luogo una volta esercitata l’opzione il contribuente risulta vincolato alla permanenza nel regime ordinario per un periodo minimo di tre anni. E’ dunque necessario prestare particolare attenzione ai comportamenti assunti sin dall’inizio dell’anno in quanto questi possono condizionare il regime contabile e di determinazione del reddito e dell’Iva.

 

Ad esempio si è posto il problema di come comportarsi qualora il contribuente abbia per errore materiale emesso le prime fatture con addebito dell’Iva, quindi esercitando la rivalsa ai sensi dell’art. 18 del D.P.R. n. 633/1972. Al contrario, i contribuenti che adottano il regime forfetario in rassegna non esercitano la rivalsa del tributo (art. 1, c. 58, della L. n. 190/2014).

La possibilità di correzione sussiste fin quando non venga effettuata la liquidazione del tributo. E’ consentita, fino al termine previsto per effettuare la prima liquidazione dell’Iva, l’emissione di apposite note di variazione ai sensi dell’art. 26 del Decreto Iva a “storno” delle fatture erroneamente emesse recanti l’addebito del tributo.

In tale ipotesi il contribuente può procedere seguendo due diverse possibilità di “correzione”. La nota di credito può riguardare solo la parte dell’Iva addebitata a titolo di rivalsa. In questo modo la fattura rimane valida per la differenza, cioè per la sola parte che ha natura di corrispettivo. In alternativa, il contribuente può procedere annullando integralmente la fattura emessa con una nota di variazione in diminuzione di pari importo rispetto alla fattura errata (recante l’addebito del tributo). Successivamente, dopo aver “stornato” il documento già emesso, il contribuente dovrà emettere una nuova fattura per l’intero importo senza addebitare l’Iva e citando gli estremi della legge che ha introdotto il nuovo regime forfetario.

Viceversa, una volta effettuata la liquidazione del tributo esercitando il diritto alla detrazione, il comportamento così assunto sarà sufficiente per dimostrare che il contribuente ha di fatto optato per l’applicazione del tributo secondo i criteri ordinari. In questo caso non sarà più possibile correggere, con l’emissione di apposite note di variazione in diminuzione, le fatture precedentemente emesse recanti, sia pure per errore, l’addebito del tributo.

In buona sostanza, il termine ultimo che deve essere osservato al fine di correggere gli errori commessi è rappresentato dalla scadenza prevista (mensile o trimestrale) per effettuare la liquidazione dell’Iva. Se il contribuente considera in detrazione l’Iva sugli acquisti manifesta inequivocabilmente la volontà di scelta del regime ordinario. Pertanto non sarà più possibile, come ricordato, alcuna modifica.

14 aprile 2015

Nicola Forte